Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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La salute fra scienza, religioni e ideologie — Malattia e guarigione 1:

   Ecco le parti principali:
■ La questione della medicina e delle sue alternative
■ Guarigione e problematica
■ La medicina e la Bibbia

 

Dizionario delle medicine alternative — Malattia e guarigione 2:

   Ecco il procedimento usato per i singoli temi:
■ Presentazione del metodo o della problematica
■ Analisi critica scientifica, medica, razionale
■ Punto di vista biblico e valutazione della questione nel cristianesimo
■ Possibili alternative.

 

Inoltre ci sono anche queste parti:
■ Fatti, casi ed eventi nella paramedicina
■ Registro delle voci
■ Registro ragionato delle voci

 

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Malattia e guarigione 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SEGNALI DI «FUMO»

 

 a cura di Nicola Martella

 

«Fumare è peccato?»: questo è il titolo di una serie, di cui ho ricevuto solo le ultime due puntate. La sua tesi è che lo è sempre e in ogni caso.

   Per verità di cronaca, all’inizio del Risveglio non era inusuale in Toscana vedere che alcuni fratelli, dopo il culto uscissero fuori della sala di culto e, parlando insieme, s’accendessero un Toscanino. Non è inusuale all’estero vedere anche conduttori di chiesa e pastori che fumano la pipa. Non dico questo per fare un’apologia del «fumo», ma per mostrare che in molte di queste cose gioca un forte ruolo la percezione culturale. Può essere che alcuni, facendo una campagna contro il «fumo», stigmatizzato a «peccato», coprano così le loro altre debolezze?

   Ma allora, mi si dirà, sei d’accordo col «fumo»? No, io personalmente sono contrario; ma non per chiare motivazioni esegetiche! A me sembra però che l’autore di tali articoli (Warren) parta dalla tesi che il «fumo» sia «peccato» e basta e cerchi versetti per accreditarla. Il peccato è l’infrazione chiara di una legge (1 Gv 3,4): dove si trova tale inoppugnabile e incontrovertibile prescrizione nella Bibbia? Dove non c’è una chiara prescrizione, bisogna distinguere fra una corretta esegesi e argomentazioni secondarie, basate sul buon senso, sulla ricerca scientifica e medica o altro. Ma ciò non risolve in modo definitivo e rigoroso un argomento. Infatti, ciò è mostrato dal fatto che, pur partendo dalle stesse premesse, su temi etici si può arrivare a risultati differenti; e ognuno reclamerà la correttezza «biblica» e razionale della propria posizione. Spesso il metodo usato da alcuni in tali temi è la «versettologia», ossia l'accumulo di versetti presi fuori contesto; ma ciò non è una buona soluzione a problemi di cui la Bibbia non ci dà una diretta e chiara soluzione. Come affrontare problemi del genere in modo esegeticamente e razionalmente corretto? Affrontando questo tema così controverso, vogliamo metterci alla ricerca di un'«etica della libertà e della responsabilità».

   Sulla questione rimando anche al libro: Nicola Martella (a cura di), Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce, Roma 2001), specialmente agli articoli: «Quando nessuno ha ragione» (di Marvin Oxenham), pp. 77-81; «Il bianco, il nero e il grigio» (di N. Martella), pp. 82-91; «Verità che ci uniscono, questioni che ci differenziano» (Rinaldo Diprose), pp. 92ss.

 

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Tonino Mele

2. Nicola Martella

3. Tonino Mele

4. Nicola Martella

5. Minop

6. Tonino Mele

7. Nicola Martella

8. Argentino Quintavalle

9. Nicola Martella

10. Sandro Bertone

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Tonino Mele} 

 

Riguardo al fumo, capisco la tua levata di scudi e in parte la condivido, perché anch’io credo che debba esser netta la linea di demarcazione tra ciò che è peccato e ciò che non lo è, per non cadere nel pericolo di «fare di tutta l’erba un fascio», finendo per «aggiungere» (Dt 4,2; Ap 22,18), per confondere e annullare la Parola di Dio (Mc 7,8-13). Tuttavia, nel caso del fumo credo che tu sbagli nel metterlo completamente fuori dal raggio di applicazione delle prescrizioni divine. Se tu stai cercando nella Bibbia una «prescrizione inoppugnabile e incontrovertibile» del tipo «vietato fumare», è chiaro che non esiste. E forse Warren si spinge troppo su questo versante della questione, dicendo quello che nella Bibbia non è così espressamente affermato. Tuttavia mi pare che tu cada troppo nel versante opposto, almeno a giudicare dalle poche righe che mi hai scritto, tirando fuori il «problema fumo» dalla sfera di applicazione di una «corretta esegesi» per posizionarlo nel versante delle «argomentazioni secondarie, basate sul buon senso, sulla ricerca o altro». Questo mi pare molto riduttivo, perché non tiene conto della sostanza del problema, né della sufficienza della Scrittura nel darci indicazioni etiche vincolanti anche in merito a tale questione.

     Se è vero che «il fumo uccide», sia esso attivo o passivo, com’è anche scritto nei pacchetti delle sigarette, e come sempre più sta dimostrando la ricerca, non rientra questo nel raggio di applicazione di prescrizioni inoppugnabili e incontrovertibili tipo «Non Uccidere» (Es 20,13), «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18), «l’amore non fa nessun male al prossimo» (Rm 13,10), «astenetevi da ogni specie di male» (1 Ts 5,22) ecc.? Può anche darsi che l’autore umano non aveva in mente «il problema fumo» come lo intendiamo oggi, però, il principio etico che ne viene fuori, ha molto da dire proprio su tale «moderna» questione. Come del resto possiamo affrontare le altre moderne questioni tipo la fecondazione artificiale, la manipolazione genetica, la clonazione ecc., se non sappiamo cogliere dalle prescrizioni bibliche quei principi universali valevoli per ogni luogo e per ogni tempo? Visto che la sigaretta è un male e un danno sotto qualsiasi aspetto, sia per la sua tossicità che per la dipendenza che crea, io credo che il fumo rientra nella sfera di applicazione di una corretta esegesi perlomeno dei brani su menzionati.

     Proprio da te Nicola ho sentito che la Scrittura è la norma che serve a regolare tutta la realtà. Addirittura hai scritto: «La Bibbia non è un quindi un libro di filosofia ne di storia ne di scienze o altro; ma ciò che dice è verità e norma, anche nei campi suddetti. Essa è norma di fede, di vita e di morale… La Bibbia è — come dicevano gli antichi teologi — la norma normante della realtà» [Nicola Martella, Radici 1-2 (Punto°A°Croce, Roma 1994), p. 15]. Un’esegesi dunque è corretta se sa tirar fuori quel seme, quel criterio, quel principio che può fecondare, valutare e regolare tutta la realtà. Sarebbe dunque incompleta e non corretta quell’esegesi che si blocca a metà strada e non regola tutti gli aspetti del reale. Nel reale troviamo la sigaretta, il problema fumo con i suoi dannosi effetti. La Scrittura non ha niente da dire su questo male moderno? È solo una questione secondaria, un problema di buon senso od altro? NO! La Scrittura dice di astenerci da ogni specie di male (1 Ts 5,22) e sarebbe cattiva esegesi togliere dal novero di queste ogni specie il male del fumo. Come bisognerebbe levare la voce su altri mali moderni non espressamente contemplati nella Bibbia, ma che sono comunque una palese violazione dei suoi principi, e come tale ci attirano il giudizio di Dio, così bisogna levare la voce contro il fumo. Il fumo lede il fondamentale principio di rispetto per la vita. Il fumo è uno spreco di vita! Il fumo è una pistola puntata alla testa, la cui pallottola impiega 40 anni in più per colpire, ma prima o poi colpisce! Non pensi che tutto questo sia un offesa per il nostro Creatore che ci ha dato la vita? Già solo sotto l’aspetto creazionale l’uomo è colpevole davanti a Dio per le sigarette che si fuma. Tanto più è colpevole un cristiano che è chiamato a spendere la sua vita per Cristo e non per i fumi della sigaretta.

     In linea generale, mi pare utile riprendere la classificazione fatta da Giuseppe Martelli apparsa su Lux Biblica 16 (Ibei, Roma), su «come consultare la Bibbia nelle questioni etiche». Egli dice che le Sacre Scritture hanno, nelle questioni etiche, un triplice ruolo:

     ■ 1) Un «ruolo di guida, tutte le volte che forniscono indicazioni o comandamenti su una data materia» e cita a titolo di esempio le pratiche dell’adulterio, del divorzio e dell’omosessualità (p. 24).

     ■ 2) Un «ruolo di giudice, nel senso che essa può rivestire un importante funzione critica se vengono utilizzati i chiari dati in essa contenuti… In tal modo si consentirà alla Parola di Dio di fornirci utili paradigmi sulla base dei quali esprimere giudizi su altre questioni etiche che essa non tratta direttamente, ma sono strettamente collegate alle precedenti… In questo caso non esistono comandamenti espliciti e diretti di Dio in merito a dette questioni» (p. 24).

     ■ 3) Un ruolo di «cartello indicatore, in altri aspetti della morale da essa non espressamente regolati. In questo senso, in particolare assumono rilevanza e possono esser sufficienti dati biblici di carattere generale quali la creazione, oppure principi scritturali come il rispetto della vita umana» (p. 25).

     Mi pare che questa classificazione abbia il merito di mostrare che il ruolo etico della Scrittura non si esaurisca con le sue «prescrizioni inoppugnabili e incontrovertibili». Nella questione del fumo, la Scrittura può svolgere sia un ruolo di giudice che di cartello indicatore. {2006-2007}

 

 

2. {Nicola Martella} 

 

Ringrazio Tonino Mele per la sua presa di posizione. La domanda che si pone per l'intera etica è se le sue osservazioni esauriscano l'intera portata del tema.

   Il problema del «fumo», come si vede, è qui basilare per l’intera etica. Allora poniamo le seguenti domande. ▪ 1) Chi stabilisce ciò che è peccato o meno? (la morale dei cristiani? la convenzione religiosa? i chiari comandamenti di Dio?). ▪ 2) Visto che la Parola distingue fra «trasgressione» e «impurità», perché oggigiorno viene classificato tutto come «peccato»? ▪ 3) Come regolarsi in senso esegetico ed etico su temi che la Bibbia non affronta direttamente (quale appunto il «fumo»)? ▪ 4) Perché i «moralizzanti» applicano certi brani biblici (il corpo quale tempio dello Spirito, ecc.) a certi temi sì (p.es. il «fumo») e altri temi no (abuso di caffè, di cibo, di TV, uso sbagliato delle proprie forze, ecc.)? ▪ 5) Non è più corretto affermare che la Bibbia non affronta certi temi, perciò non possono essere chiaramente dichiarati come «peccato», e usare motivazioni di tipo scientifico, medico e salutista, lasciando infine all’individuo e alla sua coscienza dinanzi a Dio di decidere («quello che uno semina, miete»), senza mettere in forse la sua fede, come alcuni invece fanno?

   A tutto ciò si aggiunga quanto segue: Come inquadrare la problematica specifica, facendola passare per le seguenti porte? ▪ 1) La cosa in questione è chiaramente proibita nella Bibbia? ▪ 2) Se non è chiaramente proibita, come s’accorda col «tutto m’è lecito» di Paolo? ▪ 3) Se è una cosa lecita, il suo uso mi rende un uomo «libero» o «dipendente»? ▪ 4) Sebbene una cosa sia lecita e non coercitiva sulla psiche, essa edifica gli altri? ▪ 5) Brani: 1 Cor 6,12; 10,23.

   Si veda al riguardo il seguente tema: La morale dei cristiani.

 

 

3. {Tonino Mele} 

 

Ci tengo a precisare che quella che Nicola chiama una mia «presa di posizione» sul fumo, in realtà non è una «postazione» nella quale sto fermo e trincerato. Più che fermo in una posizione determinata, mi ritengo in cammino, alla ricerca della verità. Ed è per questo che vorrei ora essere più propositivo che affermativo. Del resto, le mie precedenti affermazioni erano dettate soprattutto dal fatto che ritengo insoddisfacente il mettere il problema del fumo completamente al di fuori delle prescrizioni divine. Per intenderci, non credo che sia solo un problema di tipo culturale, ma etico nel vero senso della parola, perché ha a che fare con il rispetto della vita umana. Se i fratelli di qualche secolo fa si fumavano il Toscanino è anche perché non erano edotti sugli effetti e i rischi del fumo come invece lo siamo noi oggi, grazie alla ricerca scientifica. Permettimi di dire che noi siamo molto più responsabili di loro, proprio grazie a questa maggior conoscenza. Oggi abbiamo più elementi per «esaminare ogni cosa e ritenere il bene» e, «chi sa fare il bene e non lo fa commette peccato». Del resto, mi pare che anche tu riconosci l’elemento etico della questione, quando dici che «il problema del “fumo”», come si vede, è qui basilare per l’intera etica.

     Le tue domande critiche poste alla mia «posizione» sono interessanti, ma credo che hanno tutte un presupposto comune, che, per te sembra assodato, ma per me non lo è. L’assunto da cui tu parti è che la Scrittura non ha niente da dire sul fumo. Lasciamo da parte i moralizzatori, che già il Signore Gesù ha messo a tacere, quando ha detto: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Ma perché si continua a parlare di «motivazioni di tipo scientifico, medico e salutista», e non anche di motivazioni bibliche, teologiche e antropologiche. Perché questa separazione concettuale che rischia di trasformare queste «motivazioni di tipo scientifico» in dei paraventi, di modo che l’individuo non si assuma le proprie responsabilità dinanzi al Creatore della sua vita? Non è Dio il Creatore delle leggi scientifiche, mediche e salutiste che governano la vita umana? Disattendere queste leggi non diventa, a secondo della gravità, anche un problema morale? Distruggere l’ordine creazionale delle cose (e il fumo lo fa a livello cellulare) non è andare contro la volontà di Dio? C’è bisogno che il fumo compaia in una lista biblica di peccati? Non basta riconoscere che la sigaretta distrugge ciò che di buono Dio ha fatto? La dottrina biblica della creazione, non è un forte richiamo ad astenersi da ciò che deturpa l’opera delle mani di Dio? Come si può sostenere che la Scrittura non ha niente da dire sul fumo?

     Tutte queste domande ci sospingono verso la questione che mi pare veramente cruciale: Cos’è l’esegesi? Come dobbiamo fare esegesi? Dove si ferma l’esegesi? L’applicazione fa parte dell’esegesi? L’applicazione va intesa come un impulso elettrico che da un punto finisce in un altro punto, o come un faro che illumina un ventaglio di situazioni? Per capire la relazione tra queste domande e la questione del fumo, chiediamoci ancora: i primi missionari giudeo-cristiani quando hanno evangelizzato i pagani, come hanno applicato l’etica della legge (data in un determinato contesto culturale, con abitudini peccaminose proprie) ai nuovi contesti e alle nuove forme di peccato (ogni cultura sforna i suoi peccati)? Se è vero che il peccato è la violazione della legge, come poteva la legge data ai giudei, in un contesto storico e culturale preciso, avere valore per i nuovi popoli, con i loro «diversi» modi di essere e di peccare? Possiamo dire che tutte queste nuove forme di peccato erano direttamente e dettagliatamente disciplinate dalla legge? Penso che soprattutto una ricerca di questo tipo ci aiuterà a vedere, in un ottica più aderente all’esegesi, le moderne questioni etiche, tra cui quella del fumo. Penso che una ricerca di questo tipo dovrebbe mostrare il carattere universale della legge, il quale, costruendosi sulle sue chiare affermazioni, si eleva a principi di carattere generale, che ci danno modo di valutare la realtà di ogni tempo e di ogni luogo. Questa però non vuol essere un’affermazione ma un’idea tutta da dimostrare e credo che l’ipotesi di lavoro su menzionata sia lo strumento adatto per suffragarla o meno. Come ho detto all’inizio, non voglio essere affermativo, ma propositivo. Anch’io concordo che non «la morale dei cristiani» o «la convenzione religiosa» stabiliscono ciò che è peccato, ma «i chiari comandamenti di Dio». Il problema è come dobbiamo intendere questi comandamenti. Soprattutto, come li hanno intesi e usati i missionari giudeo-cristiani dell’era apostolica, davanti alle nuove realtà costituite dai popoli pagani. Forse, tra un estremo (ogni pagina della legge parla contro il fumo) e l’altro (nessuna pagina della legge parla del fumo)… c’è un terzo approccio, probabilmente più equilibrato di cui tener conto. Avanti con la ricerca! {2006-2007}

 

 

4. {Nicola Martella} 

 

Sono contento della disponibilità di Tonino di ragionare insieme su un livello più di ricerca della verità che di posizione assolutistica. Come detto, io personalmente sono contro il «fumo». Ma qui di seguito sono chiamato a difendere quella che io chiamo «l’etica di libertà e responsabilità», chiaramente prescritta e ancorata nel NT.

     Ora, il titolo dell’articolo di Tony Warren «Is Smoking a Sin?» — arrivatomi da te in italiano come «Fumare è peccato? Sì, in tutti i sensi!» — non lascia scampo. A ciò si aggiunga che un primo bilancio, dopo l’introduzione, contiene già la sentenza inappellabile: «Di fatto, se si esaminano a fondo le Scritture e si considerano tutti i fatti pertinenti, l’unica risposta “onesta” che si possa dare a questa domanda è sì. Fumare è peccato, ed è peccato a molteplici livelli». Questo è il tipico modo di argomentare di chi ha già la soluzione e che cerca solo di sostenere con argomenti biblici (diciamo versettologici) e logici. Ciò che si vuole dimostrare, viene messo come apriorismo insindacabile! Questa è correttezza?

     Per questi motivi, leggere che ti ritieni «in cammino, alla ricerca della verità», non può che rallegrare. Nessuno vuol «mettere il problema del fumo completamente al di fuori delle prescrizioni divine», la questione è che si deve rimanere assolutamente corretti e intellettualmente onesti. I problemi culturali investono certamente la sfera etica, ma non si può dire che tutto ciò, che culturalmente ed eticamente non ci aggrada, sia automaticamente «peccato». Paolo discusse tali questioni in Rm 14, dove si incontravano e scontravano due sensibilità religiose e culturali (cibi da mangiare e giorni da osservare), e altrove, quando parlò della circoncisione e degli altri costumi giudaici. Anche i Giudei cristiani ponevano riguardo all’alimentazione la questione del rispetto della vita umana (e della Torà) e della sua salvaguardia.

     Riguardo al fatto che i credenti «qualche secolo fa si fumavano il Toscanino», tu adduci come argomentazione: «anche perché non erano edotti sugli effetti e i rischi del fumo come invece lo siamo noi oggi, grazie alla ricerca scientifica». Nota che non adduci un argomento di tipo esegetico del tipo «non avevano abbastanza conoscenza biblica» (cosa che potrebbe essere ovviamente smentita), ma di tipo razionalistico. Ma ciò non chiarisce che in tutto il mondo attualmente ci sono centinaia di migliaia di cristiani che fumano: sono tutti falsi credenti o trasgressori di un chiaro comandamento di Dio? Abbiamo la presunzione di avere «maggior conoscenza» anche di loro? Non è possibile che, vagliato il tema a livello personale ed ecclesiale, siano arrivati ad altre conclusioni? Dico questo, sebbene io sia contrario al «fumo».

     È chiaro che ogni problema, quindi anche il «fumo» abbia una portata per l’etica, ma non bisogna «barare», assolutizzando le questioni. Nei due principi biblici, da te menzionati — «esaminare ogni cosa e ritenere il bene» e «chi sa fare il bene e non lo fa commette peccato» — non li si può assurgere a principi tagliati su misura per il «fumo», ma anzi qui si mostra il grande pericolo della decontestualizzazione basato sulla «versettologia». Applichiamo i principi dell’esegesi e verifichiamo come stanno veramente le cose! ● Il primo verso si trova in 1 Ts 5,19-22: qui cui Paolo raccomandava di «non spegnere lo Spirito», quando Egli dava ai credenti delle intuizioni profetiche (cfr. 1 Cor 14,3.29ss), ma consigliava loro che essi — lungi dal disprezzarle — le vagliassero e ritenessero il buono che c’era in esse, ricordandosi però che — siccome lo Spirito non poteva suggerire ai credenti qualcosa contraria alla Scrittura — essi si astenessero da ogni specie di male. Che c’entra questo con il «fumo»? L’apostolo non affrontò qui l’abuso di sostanze o l’uso sbagliato di esse. ● Il secondo verso si trova in Gcm 4,17: qui cui Giacomo trae le conseguenze di un lungo discorso, in cui affronta i seguenti argomenti: le contese fra credenti (vv. 1s), i piaceri e l’amicizia del mondo (vv. 3s), il rapporto viziato con Dio (vv. 5-10), sparlare dietro alle spalle degli altri credenti (vv. 11s), la programmazione dell’esistenza senza aver consultato Dio (vv. 13ss) e in tutto ciò un sentimento di millanteria e vanto (v. 16). Giacomo non affrontò qui l’abuso di sostanze o l’uso sbagliato di esse. Ma, nelle cose appena dette, egli conclude che chi, essendo a conoscenza della volontà di Dio, non fa ciò che è «buono», commette un’infrazione. Egli parlò a Giudei che conoscevano la Legge e che sapevano che si commetteva un peccato, quando dalla Legge si veniva convinti di essere dei trasgressori (Gcm 2,9). ● Chi conosce la letteratura rabbinica del Medioevo (cfr. il Talmud), sa che essi discutevano sul significato preciso di ogni comandamento e di ogni parola in esso. Dove non c’era una risposta precisa su una nuova questione, i rabbini si guardavano dall’abusare della Parola di Dio, ma cercavano dei principi (p.es. analogia, dal minore al maggiore, ecc.); tali principi potevano solo orientare, ma non costituire una regola assoluta, tant’è vero che sorsero diverse correnti nel giudaismo. Anche Gesù si batté per difendere l’uso corretto dei comandamenti della Torà contro le aggiunte della tradizione e l’uso arbitrario da parte di alcune frange del giudaismo (cfr. Mc 7,9ss). A Gesù non veniva in mente di mettere nei comandamenti di Dio un significato differente a quello evidente e difese l’uso originario contro le «incrostazioni» venute dalla tradizione (cfr. Mt 5,17ss). In tal senso, l’apostolo Giovanni ricordò ai credenti: «Chi fa il peccato commette una violazione della legge; e il peccato è la violazione della legge» (1 Gv 3,14). Se l’interpretazione della legge fosse soggettiva, non ci sarebbe freno al soggettivismo; allora poveri noi tutti! Sui principi dell’«etica della libertà e della responsabilità» del NT abbiamo già parlato e ne parleremo ancora.

     Tornando al contributo precedente, io non parto dall’assunto che la Scrittura non abbia niente da dire sul fumo, come pensa Tonino, ma la questione è tutta da accertare, però in modo corretto, onesto e oggettivo. Bisogna parlare certamente di «motivazioni bibliche», quando ci sono, ma il termine «biblico» è alquanto inflazionato ed è usato spesso da alcuni come una coperta (versettologica) che essi tirano dalla propria parte per motivare le proprie posizioni. Questa questione l’ho trattata abbondantemente nell’articolo «Il bianco, il nero e il grigio» nel seguente libro Nicola Martella (a cura di), Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce, Roma 2001), pp. 82-91; rimando a tale articolo. In certi articoli c’è un cocktail di motivazioni, in cui — mancando aspetti espressamente chiari ed evidenti — si pensa di renderle tali con una commistione di versetti, spesso fuori contesto, argomenti di tipo razionali, convenzioni sociali e morali, pratiche denominazionali, eccetera. Questa non è una via corretta e convincente.

     Certo che bisogna assumersi le «responsabilità dinanzi al Creatore della sua vita», certo che «Dio il Creatore delle leggi scientifiche, mediche e salutiste che governano la vita umana», ma questo non sostituisce una corretta esegesi e un approccio corretto alla questione!

     Il «fumo» dovrebbe comparire in una «lista biblica di peccati»? Sì, sarebbe utile. Non è la «sigaretta» distruttiva, deturpante, eccetera? Ora, pur essendo io contrario al fumo, so che gli stessi argomenti sono usati in America contro ogni uso di bevande a base di alcool (vino, birra). Almeno al riguardo la Bibbia parla contro gli ubriaconi (! 1 Cor 5,11; 6,10; Gal 5,21; ecc.), ma il vino viene consigliato anche come farmaco! (Pr 31,6s; 1 Tm 5,23). Per i proibizionisti tali brani non valgono o vengono rimossi dalla convenzione. Essi usano proprio le stesse argomentazioni!

     Quindi, che cos’è l’esegesi? Essa è l’analisi di un testo nel suo contesto naturale (storico, letterario, culturale, teologico) per risalire a ciò che l’autore originario intendeva dire veramente. ● L’applicazione fa parte dell’esegesi? No nel modo più assoluto. Infatti, l’applicazione dipende dalla situazione non dell’autore, ma del lettore e questa può essere alquanto diversa. L’esegesi è una, le applicazioni (legittime, verosimili e arbitrarie) possono essere molte.

     Portiamo un esempio: «il figlio prodigo» (Lc 15,11ss). Un’esegesi corretta ci porterebbe a concludere che Gesù intendeva Israele quale figlio (Es 4,22; Os 11,1) e Dio quale padre (Is 63,16; 64,8; cfr. Mt 6,9); il Messia ingiungeva ai Giudei di credere in Lui e di tornare così a Dio. Ricordiamo che si tratta delle parabole del regno. Come sappiamo i Giudei rifiutarono Gesù quale Messia. L’applicazione legittima di questa parabola riguarda un credente che si è sviato e che è esortato a tornare al Padre (Dio è Padre solo dei credenti!). Alcuni applicano questa parabola (impropriamente) anche per predicare l’Evangelo ai non credenti; ma dov’è la coerenza teologica, secondo cui Dio è Padre di coloro che hanno già accettato Gesù quale Messia? Da un’errata applicazione si può costruire — come poi si fa — una falsa dottrina di una paternità universale di Dio (siamo tutti figli di Dio!).

     Una cattiva pratica dei cristiani è la «versettologia», ossia una lista di versetti tolti dal loro contesto e usati per accreditare le proprie convinzioni. Alcuni decenni fa un agguerrito avventista venne nella chiesa italiana di Stoccarda lesse 10-15 versetti sul sabato, concludendo: «Da ciò risulta chiaro che noi abbiamo la dottrina giusta». ● Altra cosa sono i principi che guidano la ricerca di criteri biblici in cose che la Bibbia non tratta per nulla, in modo oscuro o solo indirettamente (si pensi ad esempio a questioni come la masturbazione, gli anticoncezionali). Come abbiamo visto già i rabbini insegnavano principi come l’analogia, risalire da una cosa minore a una maggiore e così via; ma essi rimangono principi orientativi e non sono pari all’esegesi.

     I primi missionari giudeo-cristiani, a cui Tonino si appella, avevano in mente solo di giudaizzare i credenti delle nazioni. Fu Dio stesso a mandare (proprio) Pietro da Cornelio (At 10) ed egli non ebbe poche difficoltà a dover convincere i fratelli di Gerusalemme, che lo rimproverarono per tale fatto (At 11,1ss). Il grande apostolo delle genti fu Paolo, ed egli si oppose nettamente che i Gentili fossero assoggettati al giogo della Legge; si veda qui la lettera ai Galati e la decisione storica del concilio di Gerusalemme (At 15; 21,25). E nonostante ciò, altri cristiani giudei continuarono con la loro opera di giudaizzazione dei cristiani delle nazioni! Non si può quindi prendere i Giudei cristiani quali esempio per la questione etica (cfr. anche Gal 2,13s). Paolo dovette spesso scontrarsi con i giudaizzanti. Paolo insegnò ai cristiani gentili l’etica del nuovo patto o quella che io chiamo «l’etica della libertà e responsabilità». Perciò anche nel NT troviamo dei cataloghi precisi di peccati (1 Cor 6,9; Gal 5,19ss; Ap 21,8). L’enfasi venne messa però sulla ricerca della volontà di Dio; certo al riguardo l’AT divenne fonte di analogia (Rm 15,4), ma esso aveva perso però il suo carattere d’ingiunzione a causa del mutamento del patto. In ogni modo, anche nel NT si parla chiaramente di peccati concreti; e non tutto ciò che i credenti facevano, era dichiarato peccato.

     In tutto ciò, una cosa è ciò che si evince chiaramente dall’esegesi, altra cosa sono i principi di analogia che si vogliono evincere. Nelle scuole bibliche americane o iniziate da loro, si insegna che bere vino sia peccato e condannato da Dio. Quando ero in Germania in una scuola biblica del genere, mi si fece firmare un impegno al riguardo. In quel tempo evangelizzando fra gli italiani, mi trovai in un paradosso incredibile, a causa dell’ospitalità di quest’ultimi e del fatto che si offendevano, quando si rifiutava quanto essi offrivano. I fondatori di tale scuola biblica ritenevano di basarsi su «chiare» affermazioni bibliche, elevati a «principi di carattere generale» e ritenevano che essi dessero «modo di valutare la realtà di ogni tempo e di ogni luogo»! È sempre pericoloso partire dalle convenzioni stabilite dai cristiani in una certa situazione storica e assurte e principi biblici e universali. È chiaro che poi in altre situazioni e contesti, si penserà che i cristiani ivi presenti siano chiari trasgressori della Parola di Dio (in effetti delle loro convenzioni assurte a principi divini).

     Non è strano che i cristiani americani (e non) cerchino di argomentare «biblicamente» contro il «fumo», ma non facciano altrettanto con altre cose che costano la vita ogni anno a tanti loro concittadini. Ecco alcuni esempi. Mangiare non è peccato, ma in America l’obesità è una vera emergenza sociale. Quand’è che qualcuno come Warren scriverà un articolo su tale «peccato»? In articoli del genere basta sostituire la parola incriminata (qui «fumo») con un’altra e il discorso filerebbe lo stesso (p.es. obesità) o si arriverebbe a dei paradossi (p.es. caffè, shopping, gioco, TV, sport, cure del corpo). Stare al sole non è peccato, ma quante persone, che prendono la tintarella, danneggiano ogni anno la loro salute, facendo invecchiare il corpo e buscandosi il cancro alla pelle? Guidare la macchina non è peccato, ma statisticamente quante persone vengono ferite e quante muoiono ogni anno sulle strade!? Ne muoiono più per il «fumo» o in incidenti stradali? La lista potrebbe continuare a lungo. Ciò mostra che potremmo filtrare il famoso moscerino (qui il «fumo»), perché appare evidente, e inghiottire il rinomato cammello.

     Per i principi esegetici da tener presente in questioni non chiaramente trattate dalla Bibbia rimandiamo a un articolo a parte. [ L’interpretazione biblica]

 

Sul valore della Legge per i cristiani cfr. Nicola Martella, «La questione della legge», Šabbât(Punto°A°Croce, Roma 1999), pp. 51-56. Vedi qui anche «La questione della domenica», pp. 57-69.

 

 

5. {Minop} 

 

Per distendere l'argomento, riportiamo un vecchio motto di spirito, riscaldato per l'occasione dal «giovane dentro», alias minop:

Segnali di fumo: «Un conduttore di chiesa predicò sul tema “Fumare è lecito per un cristiano?”. Alla fine concluse con la seguente battuta: “Inoltre, se il Signore fosse d’accordo con i credenti che fumano, avrebbe creato sulla loro testa anche un ...camino”» {adattamento da un testo di minop}. {2006-2007}

 

 

6. {Tonino Mele} 

 

Nota editoriale: È da tempo che l’autore mi ha mandato questo testo. Già la sua lunghezza mi subito ha spaventato. Nella lettura ho scoperto un testo che è poco lineare (per chi legge). A ciò si aggiunga che più che rispondere a una questione e più che affrontare un tema, l’autore ci presenta una «enciclopedia» di questioni e d’argomenti.

     Tonino ha certamente una grande capacità d’analisi e di ricerca e bisogna riconoscere il suo sforzo di argomentare in modo corretto e profondo. Scrivere per il Web è un’arte particolare, dove lunghi documenti e testi poco lineari e strutturati hanno poca chance di essere letti.

     Purtroppo il suo dilungarsi su alcuni aspetti secondari o addirittura marginali (tornandoci continuamente sopra) e la sua mancanza di un’argomentazione lineare e sintetica, mi ha trattenuto dal metterla in rete così com’è o dall’accompagnarla da un minimo di analisi e valutazione finale.

     Vista la sua (legittima) sollecitazione, faccio ora l’una e l’altra cosa. Riconosco a Tonino una grande capacità di ragionamento e disputazione, ma la sua mancanza di sintesi potrebbe dissuadere nella lettura e comprensione i lettori meno preparati. Tonino avrebbe fatto meglio a dividere il suo lungo documento in più argomenti (p.es. fumo, esegesi, altro), tanto più che si tratta di un contributo a un tema di discussione. Farà certamente meglio la prossima volta. {Nicola Martella}

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Caro Nicola, mi rallegro di sentirti dire finalmente che non vuoi «mettere il problema del fumo completamente al di fuori delle prescrizioni divine», che anche «il fumo abbia una portata per l’etica», che non parti «dall’assunto che la Scrittura non abbia niente da dire sul fumo», che bisogna «assumersi le responsabilità dinanzi al Creatore della propria vita» e che certamente «Dio è il Creatore delle leggi scientifiche, mediche e salutiste che governano la vita umana». Ti ringrazio anche per la tua doppia «puntualità”: sia perché le tue risposte sono giunte a stretto giro di posta e sia perché le hai costruite punto per punto. Tuttavia, non posso non fare alcune riprese critiche di quanto tu affermi.

     ■ Un elemento «forte» della tua risposta è che continui a parlare del «fumo» come di un «problema culturale», precisando sì che «certamente investe la sfera etica», ma che resta comunque culturalmente condizionato. Ed è così preponderante quest’aspetto, che lo riprendi spesso, corroborandolo soprattutto con esperienze personali, sicuramente interessanti, ma che restano semplicemente soggettive e che possono essere agevolmente smentite da altre esperienze soggettive di segno opposto. Per conto mio ti posso dire che le persone più intransigenti verso il fumo che io conosco, sono missionari tedeschi e non americani. Inoltre, da quello che ho visto e sentito, ti posso assicurare che molto spesso, in questi casi non gioca tanto un fattore culturale, ma un fattore personale, ad es. un figlio che fuma, l’incapacità di opporsi al richiamo della sigaretta, ecc. Ed è proprio in questi casi che io ho sentito dire le tue stesse parole: «Io personalmente sono contro il fumo, ma non possiamo dire che il fumo è peccato», laddove, in un passato recente non si facevano per niente «distinguo» di questo tipo. Un’altra apologia del fumo che ho sentito con le mie orecchie da persone così coinvolte è che «la voglia di fumare è qualcosa di ereditario». Un altro apologeta del fumo, personalmente coinvolto, mi diceva una volta, che in prossimità del mio paese si è usato molto l’amianto per costruire non ricordo cosa e che quindi eravamo tutti a rischio di tumore, perché preoccuparsi dunque del tumore che può causare la sigaretta? Un altro ancora, per equilibrare probabilmente la tesi che «il fumo non è peccato», ne diceva peste e corna sotto il profilo medico e salutistico, in un modo talmente esagerato, che sarebbe stato preferibile e più tranquillizzante sentirgli dire il fatidico verdetto: «il fumo è peccato». Un altra impressione soggettiva che mi son fatto in merito è che oggi dire che «il fumo non è peccato» sta diventando una sorta di rivalsa e di atteggiamento emancipatorio contro chi continua a sostenere una tal cosa. Prima si diceva «non riesco a smettere». Oggi si sente sempre più dire «non è peccato, perché smettere?». Così, forti della nuova «libertà», oggigiorno, molto paradossalmente, assistiamo a dei cristiani che fumano sfacciatamente, mentre molti non credenti stanno smettendo, anche dall’oggi dal domani. Mi è stato raccontato di quest’assemblea tedesca, dove anche anziani e fratelli che hanno un ministero pubblico nella chiesa fumano. La sorella che me lo raccontava è salita, in un momento d’intervallo, nella caffetteria sopra la chiesa, dove, uno di questi anziani, appena l’ha vista, tutto imbarazzato ha nascosto la sigaretta. Domanda: quanti sono quelli che fumano dopo aver veramente «vagliato il tema a livello personale ed ecclesiale»?

     ■ Come vedi, non giova ad una sincera e onesta ricerca della verità, mettere il problema fumo su questo piano. Anche la realtà ha bisogno della sua corretta esegesi, con regole che siano il più possibile oggettive, altrimenti, anche qui si corre il rischio di tirare la coperta (culturale) dalla parte delle proprie posizioni preconcette. Se si tratta di un problema culturalmente determinato, lo dovrebbe stabilire meglio un’indagine sociologica e statistica rigorosa, più che le nostre soggettive esperienze. Un’indagine di questo tipo dovrebbe poi aiutare a chiarire chi sono queste «centinaia di migliaia di cristiani che fumano attualmente in tutto il mondo». Anche qui si rischia di «barare» se si da come acquisita l’equità del loro comportamento, semplicemente perché sono «centinaia di migliaia in tutto il mondo». Non voglio fare facile moralismo, ma anche questa è una cosa «tutta da accertare». Per quel che ne so, mi è giunta voce (non conosco però la fonte ne il metodo di ricerca seguito) di statistiche fatte su un campionario di cristiani che fumano, e i risultati hanno messo in evidenza un livello spirituale alquanto precario. Vero è che un altro termine alquanto inflazionato oggigiorno è anche quello di «cristiani».

     ■ Si badi bene: non sto affermando che sul problema fumo, la «percezione culturale» non abbia nessun ruolo. Tutt’altro! Esiste anche una dimensione culturale del problema, e questa investe sia chi si schiera contro il fumo e chi a «favore». Sarebbe interessante a tal proposito, che un’indagine sociologica accertasse anche che ruolo gioca sulla «questione del fumo», una certa insofferenza strisciante che caratterizza le scuole teologiche europee, più attente alle questioni di principio, rispetto alle scuole teologiche americane, considerate più pragmatiche e approssimative. È stato detto della teologia americana che è animata da un «pragmatismo senza dogmi» e da «una libertà scientifica che non cessa di scandalizzare gli europei (corsivo mio)». [E. Genre, Nuovi itinerari di teologia pratica (Claudiana, Torino 1991), p. 143.] E come illustri bene, la questione del fumo si presta abbastanza a evidenziare le contraddizioni della cultura e della teologia americana. Ci sono dunque gli estremi per chiedersi: quanto ha condizionato la visione del problema «fumo», quest’atteggiamento insofferente e scandalizzato di certi ambienti teologici europei? Quanto delle attuali posizioni teologiche «pro-fumo» sono motivate, forse anche inconsciamente da questo latente antiamericanismo teologico? Quanto di queste posizioni deriva da un uso strumentale della questione più che da una serena e oggettiva ricerca della verità? Si tratta davvero della solita «americanata»?

     ■ Un altro elemento che sento di dover riprendere, più per correttezza storica che per altro, è quello dei fratelli del passato che ormai possiamo simpaticamente identificare come «quelli del toscanino». Citarli «per verità di cronaca» in un dibattito come questo dovrebbe esser fatto distinguendo quella che è una «cronaca storica» da una «cronaca giornalistica», altrimenti si rischia di non dare più una «verità di cronaca». Dare una «cronaca giornalistica» significa, di solito, dare una notizia e basta. Dare una «cronaca storica» significa dare anche delle notizie sul periodo storico da cui quella cronaca è stata attinta e soprattutto la «visione del mondo» che avevano i personaggi coinvolti. Rispetto al «fumo» la loro visione del mondo era limitata. Non avevano le conoscenze scientifiche e mediche che oggi abbiamo. Equiparare il loro toscanino e con esso il loro comportamento «disinformato ed inconsapevole» alla nostra moderna sigaretta e quindi al nostro «informato e consapevole» comportamento, significa confondere i tempi, adombrando la falsa idea che essi continuerebbero anche oggi a fumare, a dispetto di tutti gli avvertimenti che la scienza ci ha dato nel frattempo sugli effetti dannosi del tabacco. È questa correttezza storica? Non possiamo omologare il loro comportamento al nostro. Uomini di forti principi com’erano, mi chiedo come avrebbero visto oggi il problema fumo, se fossero edotti sui suoi effetti. Certamente che non è in discussione la loro conoscenza biblica, ma la loro conoscenza della realtà del problema, sì. Il ruolo determinante non lo gioca qui la percezione culturale, ma la percezione del reale. Anche qui, uno storico che non «bara» dovrebbe dare il giusto peso a questa diversa consapevolezza tra noi e loro. E così è infatti. Cito Daisy Ronco, autrice della pregevole biografia del Rossetti (probabilmente uno di quelli del toscanino che cita Nicola): «Non mi risulta che i fratelli inglesi fumassero e Isabella (moglie del Rossetti) doveva aver messo come condizione al marito di fumare solo nel suo studio. In Italia questa abitudine era frequente fino all’inizio di questo secolo; ricordo un aneddoto che mio padre mi raccontava dell’assemblea di Casorzo Monferrato, dove era nato e si era convertito (1898). I fratelli si riunivano molto tempo prima che il culto cominciasse chiacchierando amichevolmente, fumando chi il sigaro, chi la pipa ecc. Quando giungeva l’ora del culto, l’anziano, molto stimato, Sig. Buraghi diceva in Piemontese “cominciamo” e immediatamente si faceva silenzio e le pipe e i sigari venivano spenti. Pochi anni dopo una missionaria inglese, Mrs. Willy, in visita a varie comunità fece osservare con molta delicatezza che non le sembrava convenevole né alla gloria di Dio celebrare un culto in un’atmosfera affumicata simile a quella di un’osteria. Quali altri argomenti contro il fumo potesse dare a quel tempo (oggi ne conosciamo le disastrose conseguenze sulla salute! - corsivo mio) mio padre non ricordava, ma il fatto fu che tutti i fratelli, dall’anziano Buraghi ai più giovani, smisero di colpo di fumare!». [D.D. Ronco, Crocifisso con Cristo (UCEB, Fondi 1991), p. 77s.] Questo è fare cronaca storica. Ma Daisy non si ferma qui e completa il quadro come segue: «Secondo il giudizio di due amici medici, a cui ho spiegato le condizioni fisiche del Rossetti, questi era probabilmente affetto da tubercolosi — dato che sputava sangue ed era soggetto a bronchiti ecc. — aveva la pressione alta — condizione che non era aiutata dal fatto che fumava e gustava molto la buona tavola — e il cuore malandato. Questo spiega i due attacchi di paralisi e infine il fatale infarto». [Ibid., p. 110.] A questo punto sarebbe opportuno dire, visto l’argomento che stiamo trattando, che, per «verità di cronaca» il Rossetti fumava il toscanino e molto presumibilmente questa è una delle cause che l’ha portato a una morte prematura.

     ■ Certamente che qui siamo ancora nella sfera delle argomentazioni di «tipo razionalistico», ma anche queste vanno fatte in modo corretto, soprattutto in questo caso, ove, proprio la realtà ci aiuta a definire il problema e quindi a dargli l’opportuna collocazione nell’ambito delle «prescrizioni» divine. È sempre rischioso citare il passato nel presente, se non lo si fa con criterio. Cosa ne direbbe Nicola se, in una discussione sui «bicchierini» e il pane sminuzzato della «santa cena», si citasse «per verità di cronaca» quanto scritto , presumibilmente dal Rossetti sugli «errori» delle «chiese protestanti»: «Errano nella Santa Cena, dando il pane sminuzzato, come il prete da l’ostia, e contro la Parola che dice che dobbiamo romperlo»? [T.P. Rossetti, Principi della chiesa romana, della chiesa protestante e della chiesa cristiana, citato da A. Biginelli, I fratelli ieri oggi e la Bibbia (UCEB, Fondi 1991), p. 127.]

     ■ Parliamo ora di quella che tu definisci «versettologia». Sono d’accordo su tutta la linea. Ma quando usi come esempio i due testi da me citati nel mio precedente contributo, credo che non hai scelto gli esempi migliori. Certo che la tua ricostruzione esegetica è quella, più o meno, a cui conducono i due testi, ma poi c’è un principio generale che può riguardare anche il fumo come altre questioni. Il primo principio è che, data una questione (siano esse le intuizioni profetiche che altre questioni anche moderne), bisogna valutarla per discernere il bene dal male e ritenere anche praticamente il bene. Il secondo principio è ancora più semplice e dice che non basta sapere il bene, ma bisogna anche praticarlo, altrimenti si pecca. È vero che il contesto del libro pone l’enfasi su alcuni peccati specifici, ma non mi pare che ciò escluda la sua applicazione anche in altri ambiti. Al di la del principio contingente proprio del brano, c’è anche un principio più generale che rende il testo rilevante anche per noi oggi. Non parlo di un principio arbitrario, costruito a posteriori dall’esegesi sulla base di qualche criterio rabbinico, ma di un principio legittimo, emergente dal senso stesso del testo e per via del quale esiste il testo stesso sul quale si fa esegesi. Il principio di «esaminare ogni cosa e ritenere il bene» (1Ts. 5,19-22) è un principio generale che qui Paolo applica a una situazione particolare. «Questo è un precetto generale, non limitato alla prova dei doni spirituali, anche se ha un’applicazione a quel problema. Il verbo è dokimazo, spesso usato per provare i metalli, e può derivare da questa pratica. Giunge a significare il provare in generale… Qui significa chiaramente “evitare la credulità”». [L. Morris, Le epistole di Paolo ai Tessalonicesi (GBU, Torino 1985), p. 142.] Anche tu nei fai un uso generale, quando dici: «Il colloquio di cura d’anime parte, quindi, da una posizione d’amore (1 Cor 13), dalla richiesta fatta a Dio circa la sapienza necessaria (Gcm 1,5), da una base di conoscenza dei fatti (1 Ts 5,21- corsivo mio)». [N. Martella, Entrare nella breccia (Punto a Croce, Roma 1996), p. 236.] «Il colloquio di cura d’anime» c’entra qui più del fumo? Forse, ma resta il fatto che non è di questo che il testo sta esattamente parlando. Altrove colleghi 1Ts 5,21 a Fil 1,9s [Ibid., p. 58.]: «Prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, perché possiate apprezzare le cose migliori». Quest’ultimo esprime in nuce il principio generale e non lo lega a nessun ambito particolare; l’altro testo in discussione invece lo applica ad un contesto specifico, però lo esprime in una forma a mio modesto avviso più felice. È un «barare» il riportare tale principio al suo ambito generale anche se lo cito nella forma che gli è stata data in un contesto particolare? Stessa cosa dicasi dell’altro testo da me citato (Gcm 4,17). R. V. G. Tasker definisce questo testo «una massima le cui conclusioni sono per i cristiani assai più vaste di quella che se ne possa trarre da questo contesto particolare». [R. V. G. Tasker, L’epistola di Giacomo (GBU, Torino 1982), p. 136.] Anche qui c’è un movimento dal generale al particolare, che non preclude la sua applicazione ad altri ambiti, ma anzi la incoraggia e la istruisce, perché ci mostra il modo di farlo. Cosa c’entrano 1 Ts 5,21 e Gcm 4,17 col problema fumo? Niente di più di quello che pensa Nicola. Infatti, non li ho citati per fare un apologia del fumo, altrimenti vi avrei costruito su delle argomentazioni più poderose, ma semplicemente li ho menzionati en passant, concludendo il discorso intorno a «quelli del toscanino» per dire che essi non avevano tutti gli elementi che abbiamo noi oggi per «esaminare ogni cosa e ritenere il bene» e quindi, se non consideravano il fumo come «peccato», non è perché «mancava loro la conoscenza biblica», ma perché mancava loro la conoscenza scientifica per avere una percezione più corretta ed equilibrata del problema. Concordo che applicare questi testi al fumo in senso stretto non è possibile, almeno finché non si dimostra che il fumo è peccato e certamente non sono questi testi che lo dimostrano, anche se, mostrano la via per valutare tutta la questione ed arrivare ad una definizione di ciò che è bene.

     ■ Qui apro una parentesi sui «principi generali» e chiedo: è vero che sono tutti distinti dall’esegesi e frutto di un’applicazione che non hanno lo stesso valore dell’esegesi? Quanto visto poc’anzi, non mostra che in certi testi, esiste un principio generale, ribadito da altri brani, di cui, il testo in questione ne fa ne un uso particolare? Può un testo particolare che è il frutto dell’applicazione di un principio più generale diventare la prigione del principio stesso? È corretto partire da un testo così particolare, per arrivare a decretarne la sua irrilevanza per altre questioni (es. il fumo), non menzionate esplicitamente nel testo, ma che possono anch’esse esser regolate dal principio presente nel testo medesimo? Non si finisce anche così per decontestualizzare il testo biblico dandogli più peso di quello che ha alla luce di tutta la Scrittura? Non finisce anche questa per esser esegesi non-corretta e versettologica? Soprattutto il genere epistolare, usato per affrontare situazioni particolari mi pare che sia ricco di questi principi, che dal generale scendono al particolare. L’allegoria è una cosa distinta da tutto questo, perché, essa da un senso secondario alle parole, sganciato dal loro senso proprio e naturale. L’allegoria è aprioristica e arbitraria. Qui invece stiamo parlando di principi generali, rintracciabili nel testo medesimo, e non frutto di un’applicazione posteriore all’esegesi. Anche il «metodo deduttivo» mi pare che si distingua sostanzialmente da quanto sto dicendo. L’arbitrarietà del metodo deduttivo sta nel fatto che il principio generale premesso trova il suo carattere assoluto strada facendo, attraverso la verifica che le viene dai casi particolari. Il principio è così un principio arbitrario il quale trova la sua forza da tutti i casi particolari che gli corrispondono. Nel nostro caso invece, il principio generale è dato dalla Scrittura e trova il suo carattere di assoluto nell’autorità della Scrittura, ed è in virtù di ciò, che «dal monte» scendiamo dove c’è «il popolo» per regolare tutta la realtà. Inoltre, altra differenza sostanziale è che la Scrittura ci indica anche il modus operandi per applicare questi principi generali ai casi particolari, anche diversi. Un profondo conoscitore della Scrittura come Paolo in un microcosmo di situazioni multiformi come quello gentile e quello giudeo-gentile della chiesa delle origini: quale campo di ricerca è questo per esaminare come i principi si possono legittimamente calare nelle situazioni particolari. È questo che chiedevo nel mio contributo precedente e non mi riferivo assolutamente ai giudaizzanti. Mi pare dunque che l’applicazione non è interamente sganciata dall’esegesi, ma in certo qual modo la precede. È innegabile che la «Scrittura applica la Scrittura». Non c’è bisogno di ricorrere ai rabbini per sapere come applicare la Scrittura a situazioni particolari! Credo che il carattere permanente della Scrittura, quel carattere universale adatto per ogni tempo e per ogni luogo, faccia parte della sua stessa natura, oltre che della sua applicazione. Forse non era così «culturale» l’idea che si erano fatti i nostri antenati diretti nel definire la nostra fede come una «religione di principi»!

     ■ Veniamo infine al tuo approccio «biblico» alla questione fumo. Anche se non lo dici chiaramente, mi pare di capire che, secondo te, esso rientri nei «problemi culturali» menzionati in Rm 14, «dove si incontravano e si scontravano due sensibilità religiose e culturali (cibi da mangiare e giorni da osservare)». Il passo poi per arrivare a 1 Cor 6,12 e 10,23 e all’etica «della libertà e della responsabilità» è breve. Ora, io chiedo: su quale base possiamo far rientrare la questione fumo in quell’ordine di problemi affrontati da Rm 14? Cosa c’entrano le riserve religiose dei giudei sui cibi da mangiare e sui giorni da osservare col fumo? Un raffronto anche veloce della questione fumo con Rm 14 mostra quanto sia inconsistente questo accostamento. Ad esempio, il v. 6 dice che sia l’uno che l’altro dei due «schieramenti» fanno quello che fanno «per il Signore, poiché ringraziano Dio». Devo pensare che chi fuma, «lo fa per il Signore e ringrazia Dio del fumo»? Non credo che Paolo vedrebbe molto bene una tal cosa! Rm 14 mi pare più un «etica delle relazioni», laddove ci sono differenze culturali e religiose eticamente accettabili, più che un «etica della libertà» di fare quello che vogliamo, quando non è «incontrovertibilmente» prescritto dalla Scrittura. Paolo non entra nel merito della disputa e il suddetto testo nasce solo dall’esigenza di arbitrare la disputa, affinché non degeneri in azioni che compromettano lo sviluppo e la diffusione del regno di Dio. Se una convergenza esiste tra Rm 14 e la questione del fumo è tutta qui: far si, per intenderci che Nicola e Warren non facciano a pugni, ma si «confrontino» con rispetto. Se poi, vogliamo approfondire il discorso, Rm 14 sembra troncare le gambe ad ogni disputa su tali questioni (v. 1). Per cui, anche questa discussione non dovrebbe aver luogo. Se ne discutiamo è perché non è chiaro in che modo il fumo rientri in tale brano. Il ragionamento: «rientra qui perché non rientra in nessun’altra parte della Scrittura» non convince. E poi esiste una differenza sostanziale: il fumo non è assimilabile alle questioni in gioco in Rm 14. Dare un colpo di spugna a tale differenza è arbitrario, astrae dal testo senza un evidente ancoraggio a esso, insomma non è degno della «migliore» esegesi. Certo, anche il tabacco si può «masticare» e può avere una valenza religiosa come succedeva presso gli indiani d’America, ma col «problema fumo» noi intendiamo oggi quel vizio, che con la dipendenza che crea e la sua tossicità, è la causa dell’80% di tutti i tumori polmonari e del 30% di tutti i tumori in genere. E qui è importante avere una chiara percezione del problema, per saper come catalogarlo e dove farlo rientrare. Non è questo un discorso razionalistico e basta, ma un «esame di quelle cose» che aiutano a precisare ciò che è bene, perché informano l’esegeta su come applicare il testo biblico. Dice Warren: «Oggi, è fuori discussione che:

     1) il fumo è causa di morte per il 33% di tutti i casi di tumore, per l’80% dei tumori al polmone, per il 30% delle malattie cardiovascolari, per il 75% di altre malattie respiratorie.

     2) Metà delle persone che fumano moriranno a causa di questa abitudine e l’altra metà perderà tra i 20 e i 25 anni di aspettativa di vita. Un giovane che a 25 anni fuma due pacchetti di sigarette al giorno, ha una speranza di vita di 8 anni più breve rispetto a quella di un non fumatore.

     3) Il fumo in Italia uccide 10 volte di più degli incidenti stradali».

 

Bisogna definire bene il problema: non si tratta del semplice «abuso di sostanze» o di un «uso sbagliato di esse» come possono esse definite in certi casi il cibo, l’alcool, il caffè (vedi anche lo shopping, il gioco, la TV, lo sport, le cure del corpo ecc.)». Non possiamo omologare il fumo ad altre sostanze o abitudini che non sono di per sé tossiche, anche se il loro abuso può creare dipendenza. Bisogna poi anche valutare il grado di dipendenza che una sostanza crea. Molti paragoni che si fanno oggi, non reggono proprio per il grado di tossicità e di dipendenza che il fumo crea. Il problema del fumo non è tanto «il moscerino» quanto il «rinomato cammello» che si vuol «filtrare» come un moscerino. E questo è un problema nel problema, perché è «fumo negli occhi». Se poi, gli «americani» usano male certi argomenti, questo non li priva della loro validità, e non è corretto neppure mischiare gli argomenti, perché tradisce più un atteggiamento «sulla difensiva» che una seria riflessione sull’argomento in oggetto. Se si vuol parlare di altre dipendenze si apra un tema a parte. Il fumo, non è sostanzialmente un problema culturale o religioso. Non è il segno distintivo di una cultura o di una religione. Può esserlo anche stato e forse può esserlo ancora in certi posti. Esso però si è affrancato dalle culture dove può esser nato e si è imposto ad un livello trans-culturale come problema individuale e problema sociale, che genera tutta una serie di mali e di problemi, che toccano non solo la vita umana nella sua sacralità davanti a Dio, ma anche le relazioni interpersonali (cfr. Il fumo passivo e le cause giudiziarie in corso). Quindi, se il fumo non è sostanzialmente un problema culturale, come facciamo a omologarlo alle questioni culturali e religiose di Rm 14? Non c’è qui un arbitrarietà di segno opposto a quelle denunciate all’indirizzo dei «proibizionisti»? Se il fumo è una questione che «la Bibbia non tratta», se si considerano le «liste bibliche di peccati» come esaustive nella loro forma proposizionale, troncando, o, meglio dire «accorciando» le gambe a ogni generalizzazione ulteriore (che «non è pari all’esegesi»), allora, perché si commette questa leggerezza e ci si prende questa licenza (molto arbitraria) di classificare il fumo come un problema culturale assimilabile a Rm 14? Non ritroviamo qui «l’effetto discarica»? Non è più corretto e coerente dire: «la Bibbia non tratta questo problema, il comando “vietato fumare” non compare e quindi non possiamo dire niente da parte di Dio»? Non possiamo, in nome di una ferrea e «corretta esegesi», cacciare la questione «fumo» dalle «grandi praterie» della Bibbia e dell’etica, dove, principi maestosi come cavalli ci danno la dimensione della vera libertà creata da Dio, e isolarla in delle «riserve» bibliche ed etiche del tipo di Rm 14. Forse è azzardato definire Rm 14 una sorta di «riserva» dell’etica, ma, come già detto, mi pare che abbia a che fare anzitutto con la cultura e, di riflesso, con l’etica delle relazioni nella chiesa. Il problema del fumo invece, ha principalmente a che fare con l’etica della vita (non solo fisica) e delle relazioni (anche a prescindere dalla vita della chiesa) e, di riflesso con la cultura («percezione culturale», identità culturale ecc.). La portata etica del fumo è più di quanto ne dice Rm 14 e se questo non trova riscontro in un’esegesi in senso stretto, allora diciamo apertamente che il problema fumo è una macchia bianca nell’universo di Dio, perché, una tale esegesi, se è coerente con se stessa, le chiude le porte anche di Rm 14. La Bibbia non è un parco macchine dove l’esegeta decide arbitrariamente se far entrare i problemi in quella che chiamo la «ferrari etica» (l’etica vera e propria) e quella che definisco la «cinquecento etica» (Rm 14). Anche qui si potrebbe creare un «effetto discarica», una sorta di «parcheggio etico» delle questioni. Sarebbe a questo punto il caso di toccare 1 Cor 6,12 e 10,23, ma credo che valgano le considerazioni fatte finora. Poi non mi è molto chiaro cos’è «l’etica della libertà e della responsabilità». Un altro «parcheggio delle questioni»? Non voglio essere sarcastico, ma pro-vocatorio nel senso indicato nel sito «Controcorrente». Ed allora chiedo: perché, prima di «parcheggiare» le questioni, non sviluppiamo una teologia degli «elementi teologici più rilevanti» connessi con la questione, e cerchiamo, a tutto campo, nella Scrittura un etica più aderente a tutti i problemi legati alla questione medesima? Prima di «ripiegare» su un’etica «della libertà e della responsabilità», perché non sviluppiamo una «teologia del peccato» e una «teologia del corpo», che ci aiuti a vedere in che modo ed in che misura il fumo rientra nell’etica «vera e propria»? Ribadisco che l’argomento esegetico che caccia via la questione fumo dall’etica «vera e propria» è lo stesso che la caccia via dall’etica «della libertà e della responsabilità». Non possiamo fare un figlio e un figliastro. E se partiamo dall’apriori esegetico che rientri nella Scrittura per quella via «laterale» (pur non essendo quello l’argomento specifico e pur avendone rilevate le differenze sostanziali con Rm 14 e 1 Cor 6,12; 10,23), allora chiediamoci onestamente se non possa rientrare dall’ingresso principale dell’etica.

     ■ Nella questione fumo, l’ingresso principale di un etica vera e propria, può essere lastricato dalle domande che seguono, tanto per cominciare…. Per una teologia del peccato: 1. Le categorie bibliche di bene e di male coincidono col concetto di peccato o sono categorie più generali?; 2. Solo il concetto di peccato richiede una pena e un giudizio?; 3. In che senso il peccato esisteva prima della legge (Rm 5,13)?; 4. Su che base Dio ha giudicato e punito il mondo prima della legge (il diluvio, Sodoma e Gomorra ecc.)?; 5. Qual è la differenza tra «peccato» e «peccati»?; 6. Le «liste bibliche di peccati» sono esaustive o indicative?; 7. «Ubriachezze» (Gal 5,21) è un peccato che può essere esteso ad altro? Per una teologia del corpo: 1. Che ruolo ha il corpo nel piano di Dio?; 2. Quale dignità Dio assegna al corpo (nella creazione, nella redenzione, ecc.)?; 3. Come va intesa la «santità» del corpo (2 Ts 5,23)?; 4. L’unità fondamentale «corpo-anima» con cui la Scrittura definisce l’uomo, in che misura influisce sul concetto di tale santità?; 5. La sua attuale collocazione nel regno di Dio, determinata soprattutto dalla presenza dello Spirito Santo (1 Cor 6,19 cfr. Ef 5,18), in che misura influisce su questo concetto di santità?; 6. Il suo destino escatologico, determinato soprattutto dalla risurrezione futura (1 Cor 6,14), in che misura influisce su questo concetto di santità?

 

     ■ In conclusione: il fumo è peccato? Nicola ha avuto il merito di rendermi più riflessivo su questo e gliene do atto. Mi considero ancora «in ricerca» e quanto detto va visto soprattutto come un «potare» l’albero della questione da tutti quegli arbusti che impediscono di cogliere il frutto di una vera soluzione. Per considerazioni esegetiche e di ordine razionale, non credo che il fumo sia solo un problema culturale. Tuttavia, faccio fatica a non pensare che ragioni di tipo personale e culturale (non solo esegetico) stiano sospingendo la «percezione del problema» in una direzione diversa che in passato (quello informato e consapevole). Anche se potrei aver dato l’impressione che non sia a favore di un’esegesi «oggettiva» con criteri ben definiti, ci tengo a dire (così mi presento) che miei maestri sono stati, tra gli altri, esegeti come Nicola (per l’AT) e Rinaldo (per il NT), il mio percorso di studi all’IBEI ha privilegiato soprattutto le materie bibliche e di un corretto approccio metodologico allo studio della Bibbia e visto che predico quasi ogni domenica, ogni settimana, nella preparazione del sermone (che dura mediamente 8-10 ore) sono confrontato con i principi dell’esegesi. Nel 95 % dei miei sermoni espongo libri della Scrittura che studio a fondo e tenendo presente tutta la letteratura esegetica di cui dispongo. Di recente, il Signore mi ha usato per importare nella mia amata Sardegna uno dei corsi IBEI da me preferiti: Principi di Ermeneutica. Ed è stato bello vedere come gente «ordinaria» (anche casalinghe) imparavano ad avere un approccio alla Scrittura più aderente al testo. Tuttavia, in certo qual modo, diffido di una visione «positivistica» dell’esegesi, dove la sua tanto decantata oggettività finisce per esser più una pretesa che una realtà. L’esegesi non è la risposta a tutti i mali della chiesa. Anche l’esegesi ha il suo grado di soggettività. È l’esegeta che fa esegesi, non l’esegesi che cala oggettivamente sull’esegeta. L’esegeta spesso è chiamato a scegliere tra opzioni esegeticamente diverse ed altrettanto sostenibili. Nell’altro libro che Dio ha scritto, la creazione, fino a poco tempo fa, una visione meccanicistica e positivistica della realtà, dava alla scienza un senso di onnipotenza. «Dio non gioca a dadi con l’universo» diceva Einstein a chi iniziava ad affermare il contrario. «Leggi oggettive governano l’universo e lo scienziato le può scoprire con metodi altrettanto oggettivi», si diceva. Poi, la scoperta dei «buchi neri» ha fatto piombare la fisica in una grave crisi, talché, «J. A. Wheeler, uno dei massimi teorici sull’argomento» ha detto: «È chiaro ormai che la fisica da sola non spiegherà mai la fisica».  [Citato in R. Frache, Bibbia – Scienza. Alla ricerca di un equilibrio, (GBU, Roma 1996), p. 16.] E P. Davies, un altro fisico ha scritto: «Attraverso la scienza noi esseri umani siamo in grado di afferrare, almeno in parte (corsivo mio), i segreti della natura». [P. Davies, The mind of God, (Simon and Schuster, New York 1992), p. 173.] La scienza ha scoperto che non può auto-fondarsi. E l’esegesi? Può auto-fondarsi? I principi sui quali si regge sono principi oggettivi o le «convenzioni» esegetiche del nostro tempo? Chi fissa tali principi: la ragione, la teologia cristiana, i rabbini o chi altro? Non voglio tagliare il ramo sul quale sto seduto insieme a tutti coloro che riallacciano al «Sola Scrittura» dei Riformatori. L’esegesi e le sue regole devono continuare a essere «vigili» e «semafori» del «traffico» teologico. E credo di essermi fermato anch’io davanti al «rosso» e passato col «verde». Ma mi chiedo: questo ramo è l’esegesi o la dipendenza da Dio? Sicuramente si può rispondere che l’esegesi ci ha restituito l’Iddio della Bibbia, ma ora che l’abbiamo trovato, non dovremmo dipendere più da Dio che dall’esegesi? O, per meglio dire, non dovremmo dipendere più da Dio che dal nostro intelletto, proprio nel fare esegesi? La miglior macchina esegetica ha sempre bisogno della «benzina» dello Spirito Santo per funzionare e andare nella direzione giusta. Ecco perché in una rassegna dei principi dell’ermeneutica non dovrebbe mancare quello più importante: chiedere la guida del Signore per tutto il percorso esegetico e applicativo. Diceva bene Martin Lutero: «Come vedi, Davide nel suo salmo summenzionato prega sempre: «Insegnami, Signore, ammaestrami, dirigimi, mostrami» (SaI 119,26s.33s) e molte altre simili parole. Benché conoscesse bene il testo di Mosè e tanti altri libri, e li ascoltasse e leggesse quotidianamente, voleva nondimeno trovare ancora il vero Maestro della Scrittura, affinché non cadesse nella trappola con l’intelletto e diventasse suo proprio Maestro. Da questo nascono dei settari, che credono che la Scrittura sia sottomessa a loro e sia facile da capire con il proprio intelletto, come se si trattasse di Marcolfo o di favole di Esopo, per i quali non si ha bisogno di invocare lo Spirito Santo». {2006-2007}

 

 

7. {Nicola Martella} 

 

Apprezzo ancora una volta gli sforzi di Tonino a dialogare e ad affrontare un tema così complesso con mente analitica e un pizzico di acribia. Qui di seguito non affronterò tutte le questioni poste e riproposte da Tonino, ma solo alcune questioni di merito e il tipo di argomentazione.

     Il fumo è sia un problema etico, sia un problema culturale. L’etica cristiana (sarebbe meglio parlare delle «etiche cristiane», visto che una stessa cosa può essere percepita e valutata diversamente, come p. es. l’uso del vino) attinge da chiare indicazioni della Scrittura (p.es. «non uccidere») o, in mancanza di questi ultimi, da principi generali (p.es. «il corpo è il tempio dello Spirito Santo» o «ama il tuo prossimo come te stesso»). Il problema è che gli stessi argomenti che qui gli uni useranno contro il «fumo», lì li useranno altri contro il «vino» e altrove altri ancora contro un’altra cosa. Quindi i «principi generali» non sono la stessa cosa che un «comandamento esplicito». Non si può negare che nell’etica ciò che si trae dai «principi generali» può avere una forte connotazione culturale, ad esempio: qui gli uni li userà contro l’uso di qualcosa (p.es. dei pantaloni da parte delle donne), mentre altrove ciò non è un problema. C’è addirittura un’interpretazione ideologica dei comandamenti chiari all’interno delle percezioni etiche, ad esempio, il «non uccidere» per alcuni cristiani è da riferire solo all’etica interpersonale, per i pacifisti anche alle guerre e per i vegetariani anche verso gli animali. Quindi è verosimile che tra i cristiani la cultura generale o la «cultura di nicchia» (del gruppo particolare), in cui si è inseriti, modifichi l’approccio sia ai «principi generali» che ai «comandamenti espliciti». A ciò si aggiunga l’approccio con cui si va alla Scrittura: dogmatico, esegetico, filosofico, spiritualista, eccetera.

     Non sarò io a fare l’apologia del «fumo», essendone contrario. Userò, però, sempre argomenti veri, onesti, corretti e reali. Perciò, devo affermare per onestà intellettuale che la Bibbia non affronta in modo diretto questo problema (come neppure quello della masturbazione o del suicidio). A chi mi chiede allora se la Bibbia non abbia da dire nulla su questo tema, risponderò che esistono dei «principi generali» a cui possiamo attingere. Quando mi chiederà quali questi siano, devo esercitarmi alla massima correttezza, evitando di fare una «versettologia» (ognuno si farà la propria magari contrapposta a quella di un altro), distinguendo le cose chiare ed evidenti da cose che risultano solo da premesse aprioristiche. Per questo, poiché il «peccato» è dichiarato l’infrazione di comandamenti chiari della legge («Il peccato è la violazione della legge»; 1 Gv 3,4), userò tale concetto correttamente solo per ciò che è chiamato esplicitamente così; poi c’è anche «l’impurità», distinta dal peccato, ma che oggigiorno è molto trascurata nell’etica corrente, sebbene sia altrettanto grave per la Scrittura e con conseguenze strutturali pesanti. Anche qui, però, chiamerò «impurità» solo ciò che la Scrittura nomina esplicitamente così.

     Perciò nel caso del «fumo» preferisco usare — con onestà e correttezza — solo alcuni «principi generali». Poi metterò in campo tutti gli argomenti che la scienza, la medicina generale, l’igiene, la pneumologia, l’oncologia, la statistica, ecc. mi forniscono in modo incontrovertibile, per convincere che fumare attivamente (e passivamente) fa male e si reca seri danni al proprio corpo.

     Se una persona persiste in un peccato o in un’impurità che la Bibbia dichiara chiaramente come tali con «comandamenti espliciti», dopo esortazioni e ammonimenti vari, bisogna mettere fuori comunione tale credente. Questo non è il caso verso chi erra contro «principi generali», ad esempio per chi è in sovrappeso o è bulimico; dopo averlo esortato e ammonito, tutto sta nella sua responsabilità dinanzi al Signore. Ciò non è un motivo chiaro per escludere qualcuno dalla comunione, sebbene stia facendo un danno a se stesso; altrimenti ognuno troverà nell’altro un tale motivo, ad esempio: bere troppo caffè, essere anoressico, permettersi cose di lusso (arredamento, macchine, viaggi, vacanze), passione per uno sport o un hobby, tifo per una squadra, appartenenza politica, stile di vita «alternativo» (vegetarianismo, naturalismo), alcuni mestieri particolari (p.es. carriera militare o politica, armeria, agenzia del lotto), speculazione finanziaria in borsa, eccetera.

     Leggendo le riflessioni di Tonino, mi è venuta la sensazione che il gran numero degli argomenti e la lunghezza d’essi debbano in qualche modo valere per lui come attestazione di veracità. Si taccia l’altro di soggettivismo e di cose non accertate, poi se ne fa personalmente e lungamente uso per convincere così che il «fumo» sia chiaramente (?) «peccato» per la Scrittura.

     Sebbene io non sia per il «fumo», non mi sentirei di accodarmi a dicerie che chi fuma abbia in genere uno scarso livello di spiritualità o devozione e cose del genere (non credo che T.P. Rossetti gioirebbe per tale accusa); lo stesso si potrebbe dire per tutte le altre categorie di cui ho fatto sopra l’elenco. Qui ci vuole più realismo e correttezza. O per «spiritualità» e «devozione» si intende un certo tipo di cristianesimo eticamente «stretto» e dottrinalmente tradizionalista?

     Una «serena e oggettiva ricerca della verità», di cui parla Tonino a proposito della contrapposizione teologia/etica americana e europea, è quella di dichiarare a priori il «fumo» come «peccato»? Non è anche questo un «uso strumentale della questione»?

     Strana logica di affermare che la «visione del mondo» dei cristiani del passato fosse «limitata» rispetto al «fumo»: che superbia modernistica! (affermiamo ciò proprio noi che spesso insistiamo sulla guida dello Spirito?). La cosa strana è che sempre di nuovo ci si appella alla scienza e alla medicina, per argomentare in caso di difficoltà, quando si parte dall’assunto che «il fumo sia biblicamente peccato». Il punto dev’essere per coerenza questo: non cercavano anch’essi di piacere al Signore, di farsi guidare dallo Spirito di Dio e di comportarsi secondo la Parola? Si cita la pratica della comunità di Casorzo Monferrato e il fatto che, dopo la visita della lady inglese hanno smesso, senza addurre argomenti verificabili; non è possibile che tale lady avesse una visione iper-spiritualista, oltre a una forte capacità di convinzione? (Nota al margine: sorprende che una donna insegni qui a dei fratelli proprio nell’ambiente dei Fratelli!). Poi si parla della salute di Teodorico Pietrocola-Rossetti e a distanza di tanto tempo si ritiene di poter fare una diagnosi sul «si dice»! (miracolosi mezzi della tecnica moderna). Chi è già malato di tubercolosi e poi fuma ed è di buona forchetta a tavola non mi sembra proprio il «caso normale» In ogni modo Rossetti visse 58 (1825-1883): non male a quel tempo per uno con tale costellazione di salute e di predilezioni tabagiste e culinarie; a ciò si aggiunga che è stato uno dei padri fondatori del movimento dei Fratelli. Comunque, in questo e in altri casi rispondo con questo motto: «I “per esempio” non sono argomenti validi in un confronto corretto, ma solo supporti per la tesi».

     Sul valore degli esempi, si tenga presente che essi a un’analisi critica possono risultare addirittura da supporto per l’antitesi più che per la tesi. Ad esempio, alcuni critici potrebbero interpretare tali due esempi come un «irrigidimento morale» dell’evangelismo italiano successivo al Risveglio sotto l’influenza del darbismo e del moralismo inglese.

     Se non si fa un’esegesi corretta (testo nel contesto letterario, ecc.), ognuno trarrà da singoli versi ciò che gli sarà più conveniente, per poi retro-proiettarlo in essi (eisegesi) e insegnare che questo o quel verso affermi qualcosa a proprio arbitrio! Si confonderà anche le proprie applicazioni di un testo con l’esegesi stessa. Così si apre le porte al soggettivismo che tanto male ha fatto e fa alle chiese, creando continuamente «false dottrine» o «dottrine vere a metà». Questa è la tipica via di chi non ha chiari argomenti biblici. Altro che «principio più generale», che si pretende di evincere da un testo; confrontando le conclusioni dei cultori della «versettologia» e della «eisgesi» (proiezione), si vedrà che esse sono spesso differenti fra loro e addirittura contrapposte! [ L’interpretazione biblica]

     Alcune volte mi sembra che si voglia equilibrare la mancanza di argomenti chiari con un’argomentazione sofisticata e sofistica, spesso difficile da seguire perché fatta a scatole cinesi, basata più su domande che su risposte concrete, più su complicati costrutti e salti mortali che su un discorso chiaro e lineare… e tutto per rendere più plausibile ciò che non è immediatamente chiaro ed evidente. È una buona filosofia, ma una pessima esegesi.

     L’argomentazione del grillo che comincia con argomenti o contro-argomenti biblici (p.es. Rm 14) e poi passa immediatamente ad argomenti scientifici (p.es. citando Warren), mi stupisce continuamente. Mica mi devi convincere che il fumo faccia male, visto che sono contrario ad esso proprio per motivi scientifici (così come la dipendenza da cibo, da gioco, ecc.). Tonino contesta l’uso (da lui addebitatomi) di Rm 14 — sebbene qui ci sia molto da dire che solo il suo riduzionismo — ma poi tralascia del tutto «l’etica della libertà e della responsabilità» (1 Cor 6,12; 10,23 ecc.). [ L’etica della libertà e della responsabilità] Come mai, visto che questo è il cuore di tutta la questione? Mi spaventano tutte le parole che Tonino usa riguardo a Rm 14, che per me non era l’argomento principale. Mi spaventa anche l’ideologizzazione del «fumo» che risulta dalle molte parole di Tonino, che quasi l’assurge nell’accesa argomentazione, che fa, a un problema massimo di teologia ed etica.

     La lunga argomentazione a spirale fa perdere il filo del discordo e fa chiedere a chi legge: «Ma di che parliamo? Della perdita della salvezza? O di un altro centrale argomento?». Tutto viene risolto con una mentalità da «parcheggiatore» (ricalcando tale suo argomento) di difficile e sibillina comprensione! Per capirci qualcosa bisogna riprendere continuamente il discorso, ma l’effetto non è sempre assicurato.

     I due cataloghi di domande sono interessanti (e finalmente sintetici e chiari!), ma si sa dove arriverà chi ha deciso a priori che esiste il «peccato del fumo». Ho certamente una risposta a tutte quelle domande, ma qui si andrebbe ben oltre, visto che non si può semplificare troppo.

     Non mi aspettavo un minicorso di esegesi finale. Comunque, un vero esegeta è colui che mostra tutti i problemi di un testo, dopo aver verificato la traduzione sull’originale, e le differenti soluzioni possibili e mostra poi con argomenti validi quale sia la soluzione il più vicino possibile al pensiero dell’autore originario.

     Non mi aspettavo neppure un finale minicorso di fisica spaziale e di logica con e senza Spirito Santo. Sembra che Tonino abbia il «dono» di annacquare una semplice argomentazione in un mare ribollente di parole, a cui chi legge — se non si è già smarrito dieci volte — dirà: «Che dice? A che serve? Mo’ che c’entra». Oppure di una semplice argomentazione ne fa un’enciclopedia di temi; è certo un’arguta dote non comune. È utile ricordare qui la massima: «Sii breve e coinciso (o circonciso), sto invecchiando».

 

 

8. {Argentino Quintavalle} 

 

Fumo per Ebrei?: «Samuele e Davide, due studenti, sono accaniti fumatori, sanno che questo loro vizio è guardato con sospetto ma la voglia di fumare non li lascia mai. Decidono allora di chiedere al rabbino come comportarsi al riguardo. Samuele va, a nome di tutti e due, e chiede: “Rabbino, rabbino”. “Dimmi Samuele caro, cosa c’è?”. “Rabbino, io ti volevo chiedere… quando si studia la Torah, si può fumare?”. “Cosa ti è venuto in mento razza di vizioso che non sei altro? Quando si studia la Torah, si studia e basta!”. 

     Samuele torna da Davide come un cane bastonato e gli racconta della lavata di capo che gli ha fatto il rabbino. “Sai quale è il tuo problema?”, gli dice Davide, “Tu non sai fare le domande. Lascia che vada io”. “Rabbino, rabbino ho una domanda da farti”. “Dimmi Davide caro, sono qui per questo”. “Rabbino… quando si fuma, si può studiare la Torah?”. “Certo Davide caro! Ogni momento è buono per studiare la Torah!”, esclama il rabbino entusiasta». {2006-2007}

 

 

9. {Nicola Martella}

 

Quando Daniela cominciò a frequentarci, abbiamo saputo da lei stessa che fumava. Non le abbiamo fatto prediche sul fumo, ma il nostro interesse primario era di farle conoscere la verità dell'Evangelo e Gesù Cristo quale Signore e Salvatore. Uno dei suoi tratti è stato quello si chiedersi quale fosse la volontà di Dio su questo o su quello. Abbiamo sempre aspettato che le si accendesse la «lampadina» su una certa cosa, ne parlasse e ci chiedesse in merito.

    Durante il corso di discepolato, che stiamo facendo con i neofiti usando il libretto «Elementi della fede: Dottrine fondamentali della fede cristiana», abbiamo parlato anche dell'etica del corpo. Immancabilmente lei ha chiesto anche riguardo al fumo. Non abbiamo cercato di usare falsi argomenti sedicentemente biblici, ma abbiamo messo l'enfasi sulla responsabilità che abbiamo verso il Signore per il nostro corpo, e cioè non solo per il fumo, ma per tante altre cose meno appariscenti (abbuffarsi, alzare il gomito, dipendenze varie come da caffè, da gioco, ecc.). Tutto è finito lì.

    Giorni fa, durante tale corso di discepolato, ci ha comunicato con una mina di soddisfazione e trionfo, di aver definitivamente smesso di fumare. Non potevamo che congratularci con lei.

    Intanto però ci visita regolarmente Alessandro, il quale ha avuto in passato gravi problemi di dipendenze varie, tra cui il fumo di sigarette è il male minore. Ora sta sotto cura psicologica e farmacologica. Quando arrivò in sala la prima volta aveva grandi problemi di concentrazione, a causa degli psicofarmaci, e a volte aveva certi momenti, in cui la sonnolenza lo sopraffaceva. Appena finito il culto, usciva fuori per finalmente fumarsi una sigaretta. Con tutti i problemi che aveva, come cominciare una polemica con lui sul fumo? Abbiamo cercato di mostrargli l'amore del Signore e di essere indulgenti con lui. Continuando a frequentarci, ha fatto molti passi in avanti e, ora, è abbastanza gioioso; ogni tanto porta qualche amica della comunità terapeutica in cui si trova. Lui c'era alla lezione di discepolato, quando, dopo lo studio sull'escatologia, Daniela ha affermato di aver smesso di fumare, e qualche battuta su di lui l'abbiamo fatta, dicendo specialmente che il corpo della risurrezione non sarà soggetto ai difetti attuali, neppure ai danni del vizio del fumo. Eppure, subito dopo aver terminato la lezione, scappò fuori ad accendersi la sigaretta. Daniela e io facemmo ancora qualche battuta sul fumo, e lui sornione ci rispose a tono, dicendo: «Devo approfittarne adesso, visto che nell'eternità non si fuma!».

    Abbiamo capito che dobbiamo mostrare ancora tanto amore ad Alessandro e che la scintilla deve partire dalla sua mente. Ho dovuto pensare ai seguenti versi: «Quanto a colui che è debole nella fede, accoglietelo, ma non per discutere opinioni. [...] Or noi che siamo forti, dobbiamo sopportare le debolezze dei deboli e non compiacere a noi stessi» (Rm 14,1; 15,1). Chiaramente non dobbiamo rinunciare alle nostre opinioni, ma esse non devono essere una specie di «piede di porco» per scardinare la coscienza altrui. Non vogliamo guardare solo a ciò che manca ancora, ma a quanto cammino è stato già fatto e com'è positivo lo sviluppo delle cose; in tutto ciò vogliamo rimanere fiduciosi e speranzosi che l'evoluzione positiva continuerà. E ciò di là dal fatto se la questione del fumo si risolverà o meno come vorremmo noi. {16-11-2009}

 

 

10. {Sandro Bertone}

 

Nota redazionale: Ho ricevuto una notifica di lettura di un social network cristiano, in cui due genitori credenti anonimi, scrivono preoccupati, affermando di trovarsi in un momento molto brutto, poiché i loro sospetti si sono concretizzati, quando hanno trovato il figlio di 17 anni che fumava sigarette. Marito e moglie hanno trascorso l'intera giornata in una grande tristezza. Essi si chiedevano, in qualche modo, dove avevano sbagliato, visto che di discorsi legati alla fede e all’educazione cristiana al figlio gliene avevano fatti tanti. Ecco la risposta che ha dato loro questo lettore, opportunamente corretta e redatta e pubblicata col suo consenso.

 

Non conoscendo nessuno dei protagonisti, è davvero difficile dare consigli opportuni. Ovviamente tutto dipende da molti fattori che hanno determinato la scelta di fumare nonostante gli avvertimenti (o i divieti, la distinzione è importante!).

     Il primo fattore è costituito dalla famiglia e dall’ambiente ecclesiale. Nelle famiglie evangeliche il fumo è un male che supera in classifica molti altri meno visibili. Il fumo si vede e si sente, e poi lo vedono gli altri; e il «disdoro» ricade sulla famiglia che si preoccupa più di sé e del suo buon nome che della salute del figlio. Se ad esempio il figlio mangiasse etti di burro o chili di Nutella, probabilmente non avrebbero chiesto l’anonimato.

     La chiesa in genere è molto attenta e prodiga di sentenze sul vizio del fumo, ma non s’espone molto quando s tratta di pagare in nero, senza far fattura, o altri vizi molto comuni...

     Ora, l’altro fattore è sicuramente il ragazzo. Secondo me smetterà, quando verranno a mancare le cause che lo hanno spinto a iniziare. Ha bisogno di sostegno e d’esempi piuttosto che di riprensione e divieti.

     Io avevo genitori che non fumavano, una sorella che non ha mai fumato e nessuno mi ha mai colpevolizzato per aver fumato. Questo è stato di grande aiuto, quando di mia spontanea volontà ho deciso di smettere: avevo scelto d’essere libero anche dalla schiavitù della sigaretta.

     Il fumo è una droga subdola che per mezzo della dipendenza ti toglie la libertà, ma non ci si libera da una schiavitù con un’altra schiavitù (p.es. quella dell’altrui volontà). Ci si libera con un atto di volontà e comprendendo il senso di ciò che significa gestire la propria vita.

     A 17 anni è difficile capire bene! Aiutatelo e non giudicatelo, non vergognatevi se fuma, ma ditegli che lo amate ugualmente! Fosse tornato una sera dicendovi: «Sono gay», forse avreste preferito che fumasse qualche sigaretta, no?

 

 

11. {}

 

 

12. {}

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Fumo_pecca_MeG.htm

12-04-2007; Aggiornamento: 17-11-2009

 

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