1.
{Un cristiano disoccupato (*)} ▲
Rimanere senza lavoro, come ben dici, è un momento di
crisi. «Non smettete mai di pregare»,
incita Paolo in 1 Ts 5,17. Ogni istante della propria vita ha valore per chi
vive con il Signore nel cuore, indipendentemente dalle circostanze. Io che sto
vivendo questa esperienza con serenità, a volte mi chiedo se ho fede oppure se
sono incosciente. Dovrei essere molto preoccupato, ma il mio Padre celeste mi
lancia la sfida mediante la Parola: «Perseverate
nella preghiera» (Col 4,2); e allora, nei momenti di sconforto, dico
a me stesso: «Credere in Dio e poi affermare che la sua Parola può sbagliare,
è senza significato».
Non vorrei apparire più bravo di
quello che sono, ma uno dei problemi più grandi, che mi ha creato questa
circostanza, è che non sono più in grado di aiutare economicamente un fratello
in fede, il quale ha bisogno e che svolge l’opera a tempo pieno (sto piangendo
mentre scrivo queste parole).
Rimanere disoccupato può
incrinare l’immagine, che si ha di se stessi, e può far cadere in depressione.
Ma se la Scrittura afferma: «Pregate in ogni tempo» (Ef
6,18), ciò significa che in ogni momento il Padre è pronto ad ascoltarmi.
È qui che subentra il problema
teologico, e mi chiedo: «Perché Dio ha permesso ciò?». Che il Signore mi ama,
non ci sono dubbi. Non potrei mai mettere in dubbio il suo amore. Egli nella
vita mi ha dato molto più di quanto meritassi. Io mi rivolgo a Lui, dicendo: «Ascolta la preghiera del tuo servo»
(Ne 1,6).
Mi chiedo anche: «C’è del peccato
nella mia vita? Sto subendo una sua punizione?». Questo è un argomento molto
delicato perché «se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi»
(1 Gv 1,8) e quindi, se sono onesto, qualche peccato nella vita non è difficile
trovarlo. Cosa fare in questo caso? Consiglio due versetti che possono essere di
grande aiuto: «Nell’ira, ricordati d’aver pietà»
(Hb 3,2). Anche in una situazione di peccato posso implorare la misericordia del
Signore. «Tornate a me…e io tornerò a voi»
(Zc 1,2). In caso di peccato, il Signore mi chiede di tornare a Lui.
Certo, la disoccupazione può
essere un peso anche nei rapporti famigliari. Ma a costo di sembrare noioso,
anche qui la differenza sarà fatta dall’atteggiamento di preghiera. Il Salmista
invoca: «O Eterno, ascolta la mia preghiera»
(Sal 39,12). Quindi tutto dipende dall’atteggiamento che abbiamo verso Dio. Di
fronte a un problema non dobbiamo reagire come quelli del mondo, come se non
avessimo Dio. George Orwell disse: «Meglio un lupo solitario di un cane
servile». Io dico: meglio la solitudine con il Signore che piangere insieme a
quelli del mondo.
Detto questo resta un problema:
«Come farò a portare avanti la mia famiglia? Sono un fallito? Che farò?». Nel
mio discorso ho dato molta importanza alla preghiera; allora mi pongo una
domanda: «Cosa avrebbe chiesto Gesù in preghiera?». Sì, perché pregare nel nome
di Gesù vuol dire anche chiedere le cose che Gesù avrebbe chiesto!
Io mi sento come se stessi dentro
un banco di nebbia, riesco a malapena a vedere a un metro di distanza. In altre
parole, sono senza visione per la mia vita pratica. So che la religione del
mondo è il denaro; ma meno riesco a «vedere» più faccio mie le parole della
Bibbia: «La mattina, la mia preghiera ti viene incontro» (Sal
88,13). Gesù stesso insegnò a coloro che lo seguivano che «dovevano
pregare continuamente e non stancarsi» (Lc 18,1).
La fede è vedere la luce con il cuore, mentre gli occhi
vedono il buio.
{(*) L'autore di questo contributo è conosciuto
dall'editore, ma intende rimanere anonimo a causa del momento particolare che
sta attraversando} {2007}
2.
{Maurizio Marino}
▲
Quando ho visto il tema proposto sul sito «Fede controcorrente», mi sono
subito sentito coinvolto. Infatti anch’io ho provato l’esperienza della
disoccupazione. In realtà più che disoccupazione si trattava di vero e
proprio «fallimento», chiusura definitiva di una attività imprenditoriale.
Ma in quanto rimasto senza lavoro, sono stato un lavoratore in cerca di
occupazione o meglio, come dice la legge, un «inoccupato», in quanto
precedentemente non avevo una occupazione dipendente.
Le esperienze e le conseguenze sono le seguenti.
■ A 45 anni ti devi rimettere in discussione. Molto
spesso si scende nella scala gerarchica dei valori. Anziché essere un
«arrivato» ti vedi costretto a «ricominciare» ma, in realtà, non hai più ne
i mezzi (fisici, psichici, ecc.) né le motivazioni.
■ Ti vedi additato da tutti. Gli ex colleghi
«amici» ti considerano un incapace e ti criticano alle spalle. I parenti non
si fanno convinti: «Ma com’è possibile», dicono, «forse si è bevuto il
cervello con la religione», considerando la perdita del lavoro più come
frutto di una tua «anomalia» che di una probabile realtà. Poi si vantano
davanti a te delle loro cose quasi a dirti: «Hai visto come si fa? Se avessi
guardato me non ti sarebbe successo niente...».
■ In alcuni casi anche i familiari stretti (come i
figli), che vogliono sostenerti, in realtà, appena fai presente un loro
coinvolgimento, magari come nuovo condizionamento dello status economico,
cominciano ad andare in crisi.
■ Il mondo del lavoro ti chiude le porte: non sei
gradito ma... ti offrono un lavoro da fame.
Tutto questo contribuisce a farti sprofondare nella depressione o mandarti
ancora più giù, se già sei depresso. Non sai più chi sei, il tuo futuro
diventa oscuro, la società ti sembra una belva pronta a sbranarti. Le
istituzioni ti sembrano inesistenti e lontane, incapaci di poterti dare un
qualsiasi aiuto.
Anche la chiesa, pur pronta nella preghiera e nella
consolazione, la senti sinceramente lontana.
L’unica cosa che ti rimane è il tuo rapporto con il
Signore. Diventi estremamente bisognoso della sua presenza. Gli sottoponi
ogni minima cosa. Senza capirlo, la situazione ti porta a sperimentare la
fede come realmente dovrebbe sempre essere. Anche se poi commetti anche
tanti sbagli, come valutare tutto come probabile segno divino: andando a un
colloquio sono arrivato a pensare che se non trovavo parcheggio era perché
il Signore mi stava dicendo che quel lavoro non era per me.
In realtà il Signore stava suscitando un «qualcuno»
per aiutarmi a risollevare il capo abbattuto. Pian piano, giorno dopo giorno
mi ha sostenuto a ritrovare fiducia in me stesso tramite questo qualcuno e
coraggio per affrontare una nuova sfida lavorativa: una attività economica
che mi permette un decoroso sostegno per me e la mia famiglia.
Ma la cosa più bella, vista a posteriori, è vedermi
vivere la vita per fede: infatti ogni giorno è un giorno nuovo col Signore e
la sua provvidenza.
Aspetti conclusivi: Perdere il lavoro è un'evenienza della vita, che Dio
ci dà da vivere, e possiamo affrontarla positivamente o negativamente, come
tutte le cose. Non dobbiamo per forza vedere la disoccupazione come una
punizione divina o una prova da «filo di rasoio». Certamente alcune volte
siamo responsabili di ciò che ci accade, ma spesso credo che faccia parte
del sistema di vita in cui siamo immersi: il peccato, la malvagità,
l’egoismo umano producono anche la disoccupazione. Per chi non crede spesso
c’è solo la disperazione. Per chi crede c’è un Dio grande che provvede ogni
giorno, anche quando non ce ne accorgiamo.
{2007}
3.
{Stefano Frascaro} ▲
Penso che sia scritto nel DNA dell’uomo (sano sia moralmente che
fisicamente) che egli debba procacciare il lavoro per il mantenimento
dignitoso della propria famiglia. Chiunque sia passato da uno stato di
occupazione a uno di disoccupazione, prova una sensazione di fallimento,
inutilità che ti abbatte, ti lascia vuoto, ti attanaglia e non ti fa
reagire.
Personalmente ho perso un ottimo posto da «quadro»
in una azienda che si occupava di sicurezza. Il ricominciare e il rimettersi
in discussione sono cose alquanto difficili, specialmente per chi non è
abituato a «vendersi» in senso lavorativo.
Come fa, però, un padre di famiglia, vissuto per
vent’anni nello stesso ambito lavorativo a cercare, a bussare…? Si rischia
che per necessità si sia disposti a tutto.
Per necessità accetti lavori come facchino, come
muratore, come venditore… ma la tua mente è sempre lì, a pensare: ma come,
Signore, io che ero questo, facevo quello… e adesso mi riduci a tale
situazione? Passare dalla giacca e cravatta a spostare pacchi, portare
camion…
Poi però rifletti, pregando: «Signore, ma quando
mai mi hai fatto mancare alcunché in tutto questo tempo? Il popolo d’Israele
nel deserto l’hai sfamato per quarant’anni con la manna. A me e alla mia
famiglia hai dato molto di più in questi anni di «tribolazioni». Abbiamo
pagato affitti, bollette, comprato scarpe e qualche volta mangiato la
pizza…».
E ancora: «Signore, non ci hai mai fatto mancare
l’indispensabile. Spesso ci hai donato anche il superfluo, sempre ci hai
fatto sentire la tua presenza. In mille modi ci hai parlato, tramite
fratelli, doni, foglietti del calendario…».
Quando però è avvenuto in me questo cambiamento?
Solo da quando ho veramente capito di non essere io l’artefice della mia
vita. Solo quando ho lasciato nelle mani di Dio tutte le mie preoccupazioni!
Non voglio essere frainteso, non mi metto seduto e aspetto il «miracolo», mi
do da fare, agisco, ma lo faccio con il pensiero che qualsiasi cosa è sotto
il controllo del Signore. Anche quando devo andare ora da un fratello e
chiedergli un prestito. So che tutto l’ho affidato adesso a Lui. Egli non ci
lascerà senza mangiare, senza vestiti, senza un tetto; il Suo orecchio è
pronto ad ascoltare il lamento del suo figliolo!
Certo, è dura vivere come un «missionario» (nel
senso della dipendenza), senza esserlo! Ma il Signore ci vuole pronti ad
affrontare ogni cosa che è nella sua volontà.
Certo che l’abbattimento è lecito, ma lo
scoraggiamento no! Non possiamo e ne dobbiamo sentirci scoraggiati per le
motivazioni che ho espresso prima. Il nostro Dio è un Dio che non ci
abbandona e non ci abbandonerà mai. {2007}
4. {Antonio Tuccillo} ▲
Caro Nicola, è sempre difficile rispondere a chi è in difficoltà. Sono nato
nella città di Napoli, capitale della disoccupazione, lì mi sono diplomato, lì
ho riconosciuto il Signore Gesù come mio Salvatore e Signore; poi ho svolto i
doveri per lo Stato e ho passato anni a collaborare come volontario in una
missione evangelica.
Mi sono ritrovato all’età di 27 anni cristiano,
fidanzato e disoccupato; non sai quanti pianti per quella situazione. Negli
incontri di preghiera chiedevo sempre un lavoro e una casa per potermi sposare.
Ho sempre trovato dei piccoli lavoretti, non so più a quanti concorsi pubblici
ho partecipato. Un giorno una sorella della comunità mi telefonò per presentarmi
un suo lontano parente che aveva un’impresa elettrica; sono andato e non credo
che in quell’occasione abbia fatto una bella figura nel rispondere a un quesito
tecnico, nonostante ciò un mese dopo sono stato assunto da quella ditta in una
città a 100 km di distanza.
Con quella ditta mi sono sposato e trasferito due
volte. Poi mi è arrivata la chiamata per un concorso fatto sette anni prima, ho
aderito e ora lavoro per lo Stato. Ho dovuto cambiare città, ho due figli (di
cui una portatrice di handicap) e continuo a ringraziare il Signore perché anche
nei momenti bui, dove non vedevo prospettive per il futuro, si è preso cura di
me, permettendomi anche di mettere su famiglia. Spero che questa testimonianza
possa essere utile. Un caro saluto nel Signore Gesù, che ci ama. {08-03-2008}
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