Un lettore
ha sentito il bisogno di parlarmi e di presentarmi la sua triste
situazione, scaturita dalla disoccupazione. [►
Valore e autostima di un disoccupato] Egli
presenta il suo dramma sociale e umano senza velature e mascheramenti. Ecco qui
di seguito il quadro che ne ho ottenuto.
Laureato ma disperato perché non trova lavoro.
Un uomo riflette sul suo valore, sulla sua autostima calante, sul suo rapporto
con se stesso, con la consorte, col suo ambiente, col mondo e con la stessa
vita. Si sente inadeguato e vorrebbe fermare il mondo per scendere. Cerca il
senso della vita e che cosa possa dargli valore. Intanto il suo morale è come la
luna calante. Pensa di essere arrivato a un limite insopportabile per la sua
situazione, stretto com’è fra apatia e disperazione, tra insoddisfazione e senso
di fallimento, tra sogni e disillusione. Sembra come se la strada si restringa
sempre più, circondata da alte mura, e diminuiscano le possibilità di manovra.
Ci si sente fuori luogo, fuori contesto, confuso e deluso, triste e preoccupato
che possa cadere nel vortice, trascinando con sé quanto c’è ancora di buono. Si
ha paura di rovinare il resto di bene che si possiede e di essere di peso e di
sciagura per le persone più care.
A tutto ciò ho risposto con varie osservazioni di tipo biblico. Siano ora i
lettori ad approfondire ulteriormente le questioni, a intervenire con la loro
personale esperienza e a tracciare eventuali conclusioni.
Che dirgli? Che gli rispondereste
voi?
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul
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sottostante
1.
{Francesco Dragotto} ▲
La triste
situazione del nostro amico lettore la trovo ricorrente verso tanti giovani che,
dopo aver studiato per poter vivere una vita più dignitosa rispetto la loro
infanzia, alla fine, dopo tanti sogni, si ritrovano soli e confusi e nello
stesso tempo incapaci di reagire per trovare rimedi alla situazione negativa. Mi
fa piacere comunque che il nostro lettore non è uno che s’arrende, anche se
dalle sue parole si percepisce un grave disagio. A questo punto mi sembra
doveroso incoraggiarlo a non abbattersi e nello stesso tempo avere il coraggio
di fare tutto ciò che è in suo potere di fare, e in questo caso anche qualche
lavoro più umile, se se ne presenta l’opportunità. Purtroppo ci troviamo in
tempi difficili e ora più che mai siamo chiamati a darci da fare per garantire
una vita dignitosa alle nostre famiglie.
Io in persona ho sperimentato tali disagi, ma il bisogno mi ha dato una grande
lezione di vita e nello stesso tempo ho imparato a essere più sensibile verso i
bisognosi. Io ringrazio Dio perché attraverso il deserto della vita, sono stato
piegato nell’orgoglio e così gridai a Dio ed egli mi ha tirato fuori. Oggi posso
dire che quando mi capita d’incontrare delle persone scoraggiate come il nostro
amico, so cosa dire. Giusto qualche giorno fa ho incontrato un uomo che andava
alla ricerca di qualche negozio che vendesse delle pietre portafortuna. Cosi ho
ritenuto opportuno parlare con lui scoraggiandolo dal cercare la «fortuna» in
queste cose... e di confidare in Dio. In effetti, cari miei, è solo il Signore
che ci può aiutare a costruire la nostra casa! Così gli parlai di Gesù e
quell’uomo se ne ritornò a casa con più allegrezza promettendosi di pregare il
Signore perché lo aiutasse. Poi quando ci siamo sentiti mi disse che aveva
parlato con sua moglie e che la loro speranza s’era riaccesa. Io credo che a
breve quest’uomo che aveva perso la sua fiducia in Dio e in tutti, griderà di
gioia testimoniando che Dio è fedele e chi confida in Lui non sarà confuso. Mi
dispiace il non poter approfondire la mia testimonianza, ma voglio incoraggiare
quanti possono dare un proprio contributo per fortificare il nostro amico, con
le parole del profeta Isaia: «Fortificate le mani infiacchite, rendete ferme
le ginocchia vacillanti! Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: Siate forti,
non temete...» (Is 35,3-4). Il Signore vi benedica. {28-02-2008}
2.
{Franco Tancredi}
▲
L’autostima!
Prima di cercare la
soluzione guardiamo il problema nella sua essenza. Da quanto ho capito il
problema del nostro amico non è riuscire a trovare un lavoro, ma fare un lavoro
che esalta, che accontenta l’ambizione e che fa germogliare la stima di se
stesso.
È bene sapere che l’autostima spesso, quasi sempre, diventa superbia e trasforma
la persona in vittima di se stessa.
Nella Bibbia è detto: «Chi s’umilia sarà esaltato e chi s’esalta sarà umiliato».
Se facciamo il contrario, siamo in antitesi allo spirito di Cristo con tutto
quello che ne consegue!
Il Signore Gesù, gli apostoli e discepoli facevano lavori tanto di lusso? No, ma
non per questo persero «l’autostima», perché erano umili e miti e oltretutto non
misuravano loro stessi dal mestiere che facevano, ma dalla capacità di salvare
anime e loro stessi! Questo è il vero scopo della vita!!! Questo da valore
dell’uomo che lo fa!
Anch’io sono un laureato — ho fatto carriera in banca e ottenuto quanto di
meglio, ma se non avessi cercato il Signore Dio nel mio cuore, sarei rimasto il
più scemo degli uomini pur facendo un lavoro molto di lusso! (ora sono in
pensione).
So che è facile parlare quando si è in questa condizione, ma so anche che è un
grande inganno fare della qualità del lavoro il proprio «dio».
Posso testimoniare, senza ombra di dubbio, che nessun che è «arrivato» vive in
pace!!! Al massimo qualcuno vive senza sentire la sofferenza che crea la
carriera, quando prende il posto del Signore Dio, perché gli idoli creano una
temporanea anestesia!
Allora occorre cercare il regno dei cieli e accettare il primo lavoro che
capita, evitando di piangersi addosso. Chi lo ha fatto, non si è pentito. A
volte la ricerca del «lavoro che piace» nasconde la poca voglia di darsi da
fare.
Se il nostro Padre celeste ci ha dato come esempio il suo Figlio che
faceva il falegname, vuol dire che il lavoro di lusso non è la cosa migliore.
Lui è la Sapienza.
Non dimentichiamo che l’uomo è stato cacciato dal Paradiso con quest’ordine: «Tu
uomo lavorerai con gran sudore...». {29-02-2008}
3. {Guido Rigutini} ▲
Ho 48 anni e vorrei
porre all’attenzione di chi potrebbe darmi una mano la mia storia. Ho lavorato
per anni nei negozi d’elettronica ed elettrodomestici della città di
Napoli, raggiungendo un livello di professionalità e di specializzazione nella
vendita d’informatica e tecnologie digitali non comune. Dal 1999 avevo trovato
una buona sistemazione presso una delle più note catene della città per la quale
tra l’altro già in passato avevo collaborato come agente di commercio addetto
alla distribuzione di prodotti fotografici per la regione Campania.
Da qualche tempo in azienda girava voce che gli affari non andassero bene e che
dovevamo tenerci pronti al peggio; essendo un azienda solida e con la
quale eravamo tutti regolarmente inquadrati, nessuno di noi ha mai creduto a
questa voce. Fino al punto che un bel giorno il titolare inizia a convocare a
gruppi di 5 tutti i dipendenti e dopo averci messo al corrente che le cose
andavano malissimo, c’invita a considerare seriamente l’ipotesi di trovare altre
soluzioni lavorative, in quanto di li a poco lui non sarebbe più stato in grado
di garantire gli stipendi. Come tutti miei colleghi, grazie a quest’azienda che
è sempre stata solida e affidabile, ho messo su famiglia. Famiglia che per una
serie di motivi si è sfasciata.
A settembre 2006 un amico comune mio e del mio titolare mi chiama e m’invita a
lasciare con urgenza la società in quanto la stessa è prossima a una serie di
licenziamenti
conseguenti alla vendita dei due punti vendita più grandi (io facevo parte d’uno
di questi), mi propone d’andare in una altra azienda. Mi reco a fare il
colloquio e dopo essere stato lodato da capo a piedi per quello che so fare
vengo assunto in prova e con uno stipendio di 1200 euro al mese, senza
naturalmente alcun inquadramento di legge. Ahimè, però, l’esperimento dura 45
giorni e una sera di novembre vengo convocato dal titolare e affettuosamente
liquidato con la laconica frase: «Tu qua dentro sei sprecato devi ambire ad
altre aziende». Rimasto disoccupato, riprendo a fare quelli che io
chiamo «i viaggi della speranza»,
ossia a portare il mio curriculum a tutti ma nessuno s’interessa a me, data la
mia età. Ad inizio dicembre trovo ospitalità in un piccolo negozio in provincia,
che in cambio d’uno stipendio di 750 euro al mese naturalmente senza contributi
e con solo 15 gg. di ferie all’anno e senza 14 esima mensilità m’assumono in
prova per 60 gg.
Anche qua iniziano i complimenti e le lodi per la mia abilita di venditore;
addirittura dal titolare mi viene detto che stante la mia presenza l’informatica
nel suo punto vendita ha subito un balzo in avanti di circa il 120% ma d’una
posizione contributiva e remunerativa regolare non se ne parla. Ad inizio marzo
passata la gioia del Natale (nota festa indetta dai Signori commercianti) mi
viene detto che il fatturato normale dell’anno non giustifica la mia presenza
d’esperto informatico e che pertanto il mio stipendio non è giustificato per cui
la prova si può definire conclusa.
Nel frattempo dal mio vecchio titolare non ho avuto una lira di liquidazione per
cui necessariamente mi sono dovuto rivolgere a un legale, venendo additato come
uno che pianta grane, se non sbaglio il TFR dovrebbe essere messo a disposizione
del lavoratore entro 15 gg. dal licenziamento e senza dilazione alcuna!
Ma al di là di tutte queste belle chiacchiere, il problema reale per cui invio
questa mia richiesta d’aiuto è questo: è mai possibile che in questa travolgente
città dove i profumi, i colori e i suoni diventano arte, per avere ciò che ti
spetta di diritto lo devi chiedere in ginocchio come se cercassi la carità? Io
chiedo di continuare a fare il professionista stimato e apprezzato come ho fatto
per anni.
Insomma è mai possibile che i nostri politici di qualunque colore essi
siano, di noi comuni mortali se ne fregano? E che dire dei signori commercianti
titolari di «mega store» che a tutto pensano tranne che a dare uno stipendio
regolare; va bene che non vogliono pagare le tasse allo Stato, ma almeno gli
stipendi ai dipendenti e quanto spetta loro a fronte delle ore di lavoro che
diamo perché non c’è le pagano? Si difendono dicendo: «Non posso assumerti
perché non ho sgravi fiscali su persone anziane, però se t’avessi nella mia
forza vendita sarei felice... con uno come te!». A parte il fatto che io non mi
sento affatto anziano anzi credo proprio che con la mia esperienza potrei
sicuramente dare strada a tanti pivellini, e lo vedo quotidianamente sia nel mio
lavoro che quando mi reco presso altri centri commerciali cosa sanno fare e cosa
hanno voglia di fare i famosi graziati dai vari governi...
Da qua scatta la parola emigrante e il ricordo di mio padre che nel
lontano 1968 con una fiat 600 e una sorella che viveva a Torino s’imbarcò e andò
a lavorare in un azienda alimentare per poi portare noi, ricordo che dopo Torino
andammo a Bologna e poi a Bari per poi ritornare a Napoli nel 1978 quando ormai
mio padre prossimo alla pensione e con una serie d’infarti poteva coronare il
suo sogno: tornare a godersi la pensione nella sua città natale fra i suoi
affetti e il suo mare; ma durò poco nel 1982 una sera di dicembre ci lasciò.
Trovai tra i suoi documenti un trafiletto di giornale che recitava cosi «Ingrata
patria non avrai le mie ossa» chissà a cosa si riferiva. Oggi potrei far
la stessa cosa, partire per dove e con quali prospettive?
Che ne sanno i nostri
politicanti che a Napoli va tutto allo sfascio, perché il lavoro e la
serenità che spetta alle persone oneste viene negata da chi di serenità e onesta
non ne ha neanche il minimo accenno. Vogliono tenere aperti i negozi anche la
notte ma non vogliono pagare i dipendenti per quello che spetta loro e che è
stabilito dai contratti; si dovrebbe lavorare 40 ore settimanali e invece se ne
lavorano di più e guai se ti lamenti! Sembra fantascienza ma è la realtà di
Napoli e della provincia nella quale mi sono trovato a lavorare. Non c’è porta
alla quale non ho bussato, non c’è persona che non mi conosca, ma è sempre la
stessa storia: «Sei vecchio». E va bene, vorrà dire che prima o poi prendo
una fune e... la farò finita. (Saranno contenti i nostri politici, ma lo
sapranno mai...?) Almeno ci sarà un
vecchio in meno, ma anche un figlio senza padre.
A Lei che legge affido questo mio sfogo, questa mia rabbia di non riuscire a
riprendere il mio posto nella società in una società fatta di politici
praticamente inutili, di commercianti che stento a definire persone per bene. Ho
giurato di non andare a votare mai più! Nessuno merita niente almeno da me e
dalle persone oneste che vogliono vivere dignitosamente e decorosamente tra
l’affetto dei propri cari.
La mia non è una richiesta per far spettacolo, tra l’altro non me ne sembra il
caso, ma mi creda una vera e propria richiesta d’aiuto per portare
all’attenzione di chi conta, e conta per davvero, uno dei problemi che viviamo
in questa nostra città splendida e piena di sole
La mia ricerca è mirata a un lavoro, uno qualsiasi, che mi permetta di
poter riprendere una esistenza normale e di poter continuare a essere un uomo
normale. È da un po’che cerco un lavoro come custode di condominio per avere
almeno l’alloggio di servizio visto che il fitto d’un appartamento non è più
cosa da comuni mortali. Potrei trovare lavoro come: autista (con patente B),
impiegato in un ufficio, addetto agli acquisti, venditore d’informatica e
tecnologie digitali in G.D.O., custode, centralinista… insomma qualunque lavoro
che mi consenta di poter portare avanti una famiglia.
Non chiedo elemosine o compassione ma il giusto rispetto per i diritti d’una
persona. Grazie a chi avrà la pazienza di leggere, a chi avrà la bontà
d’ascoltare questo mio grido di dolore e a chi potrà darmi una mano a risolvere
questo problema.
Grazie. {g.rigutinili@bero.it;
29-02-2008}
4. {Giovanni Mele} ▲
Certo che dispiace
quando una persona che dopo essersi laureato non trova lavoro. Di questi casi ve
ne sono a migliaia.
Non entro in campo biblico, perché il fratello Martella ha dato tutti i punti e
che io condivido ma, voglio aggiungere certi casi avvenuti anche per me e nella
mia famiglia. Per esempio, mio figlio oggi 44enne, lavora nell’industria
automobilistica, dove io stesso ho lavorato per 30anni. Quando mio figlio era un
giovane studente universitario, lavorava nel frattempo nello stesso stabilimento
e in pizzeria. Laureatosi in economia e commercio non trovò lavoro; un mio
cugino lo aveva consigliato di prendere questo ramo, che poi alla laurea gli
avrebbe dato il lavoro dovuto. Solo che, quando mio figlio ottenne questa
laurea, questo parente il posto di lavoro lo diede a un estraneo, così rimase
con la laurea in mano e senza lavoro.
Il Signore però che non abbandona a nessuno, me lo fece entrare nell’industria,
dove lavora tuttora da 17anni, e che non ha usato nemmeno la sua laurea, oggi è
contento. Come lui ve ne sono tantissimi qui in Canada. Basta che non si sta con
le mani in mano.
Mia zia, quando 4 anni fa ero a vacanze al mio paese e mi disse: «Lo sai perché
ti ho sempre voluto bene? Perché da piccolissimo ti sei dato da fare, hai fatto
tutto e non sei stato con le mani in mano, e il Signore ti ha sempre guardato.
Perciò amico, non scoraggiarti e su con la vita. Sei giovane e qualunque cosa
fai e sempre buona, purché non stai in ozio; è buono pure se pulisci la tua casa
e, perché no, anche quella degli altri. Ma, l’importante essere in comunione con
Dio della Bibbia e porre la tua fiducia in Lui, e vedrai che il Signore non
t’abbandonerà. La benedizione del Signore scenda su di te. {Canada; 29-02-2008}
5. {Susi Casta, ps.} ▲
Sono italiana, ho
42 anni, sono laureata e provengo dal Sud Italia. Ho avuto la fortuna di poter
studiare, ma appena laureata (in Lingue), il giorno stesso, mio padre mi lanciò
una delle sue profezie, dicendomi: «Con questa laurea non troverai mai lavoro».
All’epoca avevo 28 anni, ero sposata con un bambino piccolo, e per tale motivo
mi c’era voluto più tempo per finire il corso di studi. Dovevo anche combattere
contro la famiglia di mio marito e parte della chiesa che frequentavo, secondo
cui «la Bibbia dice che la donna deve stare in casa a fare i servizi e studiare
non serve». Non appena ottenuta la laurea, la prima cosa che ho fatto è stata
trasferirmi in Germania, dove ho trovato lavoro dopo un mese (anche grazie al
fatto che parlavo 3 lingue), senza nessuna raccomandazione e conoscenza, ma
semplicemente rispondendo a un annuncio di lavoro. Ho ottenuto un contratto
regolare, a tempo indeterminato, con ogni tipo di copertura e benefit e uno
stipendio decente. Nello stesso tempo, siccome volevo mettere a frutto i miei
studi e amavo scrivere, leggere, e tradurre, ho scritto a una serie di case
editrici evangeliche, proponendomi come traduttrice. La maggior parte mi ha
risposto negativamente, per vari motivi comprensibili. Una di queste case
editrici ha invece motivato il proprio rifiuto con il fatto che io fossi una
«sorella» e non un «fratello», in quanto secondo loro solo i «fratelli pastori»
possono tradurre i libri cristiani. Grazie a Dio, però, una casa editrice
cristiana evangelica svizzera non sessista mi ha subito offerto del
lavoro. È stata una meravigliosa risposta da parte di Dio, il Quale tramite
questi fratelli mi ha dato un’opportunità di mettere a frutto ciò che sapevo e
nel contempo ha svergognato la «profezia di sventura» di mio padre e i cari
«fratelli sessisti» (che tra l’altro appartenevano alla denominazione da me
frequentata all’epoca!). In Germania sono stata 3 anni e per una serie di motivi
sono poi tornata al Sud. Lì ho continuato il lavoro di traduttrice, e Dio mi ha
aiutato a trovare sempre nuovi clienti.
Come ho detto e ripeto, non devo il mio lavoro a nessuna conoscenza,
raccomandazione o altro, solo all’aiuto di Dio e alla gentilezza dei fratelli
che mi hanno offerto le prime traduzioni, dandomi la possibilità di cominciare.
Ci tengo a sottolineare, tra l’altro, che le opportunità sono arrivate sempre
dall’estero, mai dall’Italia. Tuttora, i miei clienti sono al 99% non
italiani, e per la mia sopravvivenza economica devo ringraziare Dio per prima
cosa, e secondariamente i tedeschi e gli europei, non gli italiani (i miei unici
clienti italiani sono in realtà ebrei!).
Nel frattempo era uscito l’ultimo concorso per l’abilitazione all’insegnamento.
L’ho fatto e l’ho superato, anche stavolta senza ricorrere a raccomandazioni o
conoscenze d’alcun genere. Dopo 7 anni ho ricevuto la cattedra d’insegnamento,
ambita e invidiata da tantissimi giovani e meno giovani (ho assistito a scene
patetiche di cinquantenni che litigavano per il posto in graduatoria, una cosa
davvero triste), ma essendomi nel frattempo trasferita negli USA non ho mai
lavorato come insegnante.
Potrei aggiungere tanti altri dettagli e commenti ma mi limiterò a un paio di
cose. ▪ 1) Se si ha fede e si confida in Lui, Dio risponde e aiuta anche nelle
circostanze più tragiche e difficili, anche quando persino la tua famiglia e i
fratelli che ti dovrebbero incoraggiare fanno invece di tutto per distruggerti e
scoraggiarti. ▪ 2) È tuttavia sempre necessario essere realisti e tenere conto
delle circostanze. Bisogna rendersi conto e ammettere che in Italia, e
soprattutto al Sud, le opportunità di lavoro serio sono scarsissime, ci vogliono
le cosiddette «conoscenze», ecc.
Le cose sono peggiorate di molto e non è il caso di farsi illusioni. La
corruzione e l’immoralità in Italia dilagano e investono qualsiasi settore,
anche quello del lavoro, ovviamente. Dio è onnipotente ma non cambierà l’andazzo
di un’intera nazione solo per me o per te. Il consiglio che do sempre a tutti i
giovani, e anche meno giovani, è invariato: se possibile, andatevene
dall’Italia. Qualcuno ha menzionato il Canada. Il Canada accetta anche persone
considerate «vecchie» in Italia (mi riferisco al caso del sig. Rigutini). Al
laureato disoccupato che ha scritto dando origine alla discussione consiglio
d’impiegare il tempo libero che ha a studiare una lingua straniera o anche due
(inglese e tedesco ad esempio), e cercare opportunità fuori Italia. Anche la
Svizzera va bene e si può ottenere facilmente la residenza provenendo da una
nazione dell’UE. Grazie a Dio ci sono queste opportunità e alternative. Invece
di lamentarsi e auto-commiserarsi, è il caso di darsi da fare e cogliere le
occasioni che ci vengono offerte da altre nazioni più generose e meno corrotte
dell’Italia.
A me l’Italia non manca per niente e sono felicissima e grata a Dio per
l’opportunità che mi ha dato di potermi trasferire all’estero. A Dio vada la
gloria per ogni cosa comunque! {USA; 01-02-2008}
6. {Guido Rigutini} ▲
Caro Nicola, leggo e rileggo gli interventi
conseguenti alla mia lettera, e noto che tutte le persone che scrivono hanno in
comune l’essere andate via dall’Italia.
Quando lo scorso anno mi
venne in mente di scrivere questa lettera la feci pubblicare da un giornale di
Giugliano (paese mio) la lesse un certo signor Lino, che mi mandò una bellissima
mail di solidarietà. Poi io continuando a fare «viaggi della speranza», la
mandai a tutti i politici e parlamentari d’Italia, compresi i vescovi e Papa
Ratzinger; molti mi hanno risposto, molta solidarietà, lettere autografe di
Castagnetti, di Di Pietro... ecc., ecc.
Gli unici silenziosi... sono
stati proprio i preti e loro simili…
Io dall’Italia non voglio
andare via innanzitutto perché amo il mio Paese, ho un enorme senso di rispetto
verso la bandiera e il nostro sacro suolo, per l’unione del quale molti sono
morti e credo che loro vadano onorati in maniera egregia e sublime per il loro
estremo sacrificio...
Ho provato ad andare in
Svizzera ma li devi prima pagare le tasse poi avere un contratto di lavoro, un
conto corrente e dopo forse t’accettano. Allo stato attuale, dopo circa 1 anno
di disoccupazione, in cui ho sopravvissuto grazie ai sacrifici di chi mi è stato
accanto, sono ormai 3 mesi che collaboro con una società che tratta informatica;
è un lavoro che mi piace e mi gratifica e speriamo bene...
Sarebbe bello se tutti
andassimo via dall’Italia... non sono razzista, ma il paese più bello più caldo
al mondo è allo sbando perché molti se ne fregano... io sono napoletano, vivo a
Napoli o meglio in provincia (Quarto)... E da qua non mi muovo... lotterò fino
alla morte per dare ai miei cari un avvenire sicuramente migliore del mio, che
ho sempre creduto negli imprenditori privati... e nei commercianti... Ecco la
fine che fanno... Un fraterno abbraccio. {02-03-2008}
7. {Primiano Schiavone} ▲
Sento molto vicino a me la disperazione di quest’uomo. È adesso che percepirà
l’ipocrisia delle persone, degli amici, dei parenti. Probabilmente si sono già
allontanati tutti. È adesso che percepirà il vero valore degli affetti. Se c’è
una sola persona che nonostante tutto gli è vicino, forse la madre, a cui si
s’aggrappi con tutte le sue forze, a cui chieda aiuto con tutte le sue forze.
Lasci perdere l’orgoglio, la stima di se stesso e fesserie del genere. È il
momento di tenere duro. È questo il momento in cui si debbono prendere decisioni
importanti, si deve tagliare con qualcosa e con qualcuno. Molte decisione ora
possono peggiorare la situazione, ma fra tutte una porterà a un risultato. Ora
il suo metro di misura non devono essere gli amici, i parenti e l’ambiente.
Quelli stanno bene e faranno a gara a ferirlo ancora di più, tanto vale
escluderli dalla propria vita. Quando tutto sarà passato, questa esperienza lo
segnerà per sempre restituendogli il vero valore delle cose e delle persone.
Coraggio, stringi i denti, non pensare a niente e nessuno. Devi ottenere al più
presto un risultato. Non mirare in alto, devi cominciare con qualcosa di
piccolo. Poi crescerai, ma ora gettati alle spalle orgoglio, presunzione,
autostima e rapporti personali che non t’aiutano. {03-03-2008}
8. {Benito Viapiana} ▲
All’amico disoccupato. Innanzi tutto la saluto e le faccio i miei
migliori auguri per un futuro migliore. Cerco d’esortarla con quanto segue.
Quello che lei sta vivendo, è stato il dilemma di moltissime persone, le quali
sono andate incontro anche a più drammatiche situazioni della sua, però ne sono
uscite vittoriose.
Conosco un mio cliente il quale anch’egli attraversò un
simile dilemma. Laureato in ragioneria non riusciva a trovare nessuno impiego.
Avendo lasciato la sua terra natia, per poter completare il suo sogno, fece
qualsiasi lavoro che gli capitava. Arrivò a Toronto in Canada con solo 22
dollari in tasca. Se avesse dovuto pagare il taxi non sarebbero stati neanche
sufficienti. Così per auto-sostenersi, fece lavori molto umili, come lavare
piatti e pavimenti in un ristorante di notte fino a tardi. Poi al suo ritorno a
casa, doveva anche studiare per il giorno seguente. Di conseguenza neanche
dormiva a sufficienza. Non voglio scendere troppo nei particolari (so molto di
lui attraverso dei libri che egli stesso scrisse), ma oggi le posso dire che
questo mio cliente è un milionario nel vero senso della parola. Il tutto accadde
negli anni Novanta, quando iniziò la sua impresa come investitore. Vi sono altri
casi! In parte, sia io che moltissime altre persone abbiamo lasciato la nostra
patria a causa della disoccupazione. Forse in alcuni casi la situazione sarà
stata più critica della sua. Dico della sua perché, arrivando in una terra
straniera, dove non sapevamo dire una parola nella lingua che ci ospitava,
spesse volte siamo passati anche per imbecilli.
Ora, detto questo, come potrei esortala? Cosa potrei
dirle se non sostenerla con la Parola di Dio? Carissimo amico, non si disperi
della situazione la quale sta attraversando. Io so che serviamo un Dio che ci ha
promesso che non ci lascia e non ci abbandona, e si prende cura d’ognuno di noi.
Ricordo chiaramente, all’inizio degli anni Novanta, che
a causa d’un forte aumento dell’affitto della mia bottega (sartoria), fui
costretto a lavorare a casa. Ero molto depresso perché non sapevo il futuro cosa
m’offrisse. Fu la Parola di Dio che m’esortò e mi diede speranza. Mentre io
rimpiangevo il mio bel negozio, il Signore mi parlò attraverso la sua Parola
dicendo: «Tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano e temono Dio»
(Romani 8,28).
Mio caro amico, fu durante questo tempo critico della
mia vita, lavorando a casa, che il Signore mi fece conoscere l’amico laureato
che lavava piatti e pavimenti. Ora non ha più solo 22 dollari in tasca, ma è
milionario; già lui da solo, facendosi fare tanti vestiti, anche di qualità, in
pratica mi sosteneva per pagare il mutuo della mia casa. Oggi le posso dire con
sincerità che, lavorare a casa per me è stato il passo migliore che io abbia
potuto fare. Per questo ringrazio Dio. La stessa cosa vale per lei, non
s’avvilisca di fronte alla sua situazione. Il Signore ci dice di non essere «in
ansietà di cosa alcuna ma in ogni cosa le vostre richieste siano rese note a Dio
mediante preghiera e supplica, con ringraziamento» (Filippesi 4,6).
Perciò carissimo amico, s’avvicini al Signore che tutto
può. Si renda conto che il Signore l’ama più che nessun altro al mondo.
Probabilmente il Signore ha permesso tutto ciò per avvicinarla...
La saluto fraternamente. Possa il Signore concederle il
desiderio del suo cuore. {03-03-2008}
9. {Giovani Melchionda} ▲
Caro amico
disoccupato, un risultato lo hai già ottenuto ricevendo le tante risposte che ho
letto e ho trovate molto belle. Prima di tutto t’offro la possibilità di venire
a cercare lavoro a Ancona, dove vivo con la mia famiglia e dove possiamo
ospitarti gratuitamente intanto che trovi la tua strada.
Detto questo ti faccio dono d’un verso della Parola di Dio che mi ha fatto
sopravvivere durante la mia lunga disoccupazione di laureato fino a 37 anni: «Ho
visto servi a cavallo e principi a piedi». Con questo voglio dirti che anche
i cristiani devono cambiare mentalità e non conformarsi all’idea di lavoro
uguale sicurezza o inserimento sociale. Rimaniamo figli di Re anche senza soldi
e senza collocazione, questa è la nostra autostima.
Le cose più belle le ho fatte durante il periodo della mia lunga disoccupazione,
del volontariato in vari ambiti sociali, dell’evangelizzazione e della scuola
biblica, sopravvivendo con mille lavoretti e incontrando persone meravigliose.
Poiché non mi sono mai sentito un disoccupato, è stata una parte importantissima
della mia vita. Ora che sono uno statale, intorno a me sento solo parlare di
pensione e io naturalmente ci andrò verso gli ottant’anni. Ma il Signore mi dà
di che ridere anche di questo.
Ora la mia difficoltà sta proprio nel lavorare, perché ricevo uno stipendio e
devo studiare e spingere i miei capi a prendere iniziative di lavoro. Come
vedete sia il lavoro, sia la disoccupazione sono due inganni. Chi è disoccupato
vuole lavorare e chi lavora vuole andare in pensione. Questa è la maledizione
d’una nazione, la cui mentalità non scende dal cielo. Dunque tutto quello che
Dio ti dà da fare fallo con gioia e non importa se te lo comanda il capo perché
il capo sta in cielo e non conosce disoccupati. Grazie a tutti voi per le
risposte e in particolare mi piacerebbe contattare la sorella Susi Casta per
sapere di più del suo lavoro. Shalom. {03-03-2008}
10. {Fiorina Pistone} ▲
Ciao, Nicola. La
risposta di Franco Tancredi al laureato che si dispera perché non riesce a
trovare un lavoro adeguato al suo titolo di studio ha attratto la mia
attenzione. Essa rappresenta un punto di vista abbastanza controcorrente, se si
considera il modo in cui vengono comunemente trattati problemi di questo genere
dai cosiddetti «esperti» (psicologi, per lo più) sui giornali o in televisione.
Gli psicologi, infatti, ritengono che l’autostima sia molto importante per
l’equilibrio emotivo d’una persona, e io penso che essi abbiano fondamentalmente
ragione. È anche vero però che questi esperti, in genere, non tengono conto
delle risorse spirituali che un cristiano dovrebbe avere, e neppure tengono
conto dei pericoli per la spiritualità che possono minacciare l’uomo che si
sente veramente realizzato nel lavoro e sicuro d’essere utile agli altri,
ritenendosi magari addirittura indispensabile.
Ha quindi una buona parte di ragione Franco Tancredi nel sottolineare questi due
aspetti del problema; ma è anche vero che, per chi si trova nella situazione del
nostro laureato in cerca di lavoro, questo modo di vedere le cose richiederebbe
un cammino spirituale già avanzato; e, anche in questo caso, la sofferenza
sarebbe in ogni caso considerevole: considerevole, sì, ma non disperata.
Anche Gesù ha sofferto molto nel suo cammino verso il calvario, cammino che
apparentemente rappresentava il fallimento di tutta la sua missione su questa
terra. Lui aveva fiducia nel Padre suo, e sapeva che il cammino della croce era
per lui il cammino della gloria e che il Padre lo avrebbe fatto risorgere da
morte, tuttavia la sua sofferenza, anche morale, è stata notevole e basta
leggere i quattro Evangeli per rendersene conto. Ciò nonostante, ha avuto
l’equilibrio per mantenersi fedele al Padre fino all’ultimo e ha pregato per
coloro che lo stavano inchiodando alla croce: ha amato nella vita e ha amato
nella morte; non ha disperato mai.
Io ho sperimentato in me stessa che il detto di Gesù «Chi s’esalta sarà
umiliato e chi s’umilia sarà esaltato» (Luca 14,11), è profondamente vero
già in questa vita terrena e a livello interiore.
L’umiltà deve nascere dalla fiducia in Dio, fiducia che chi s’affida a lui non
resterà deluso. Non è necessario che questa fiducia sia molta: è sufficiente che
muova alla preghiera. L’umiltà è anzitutto umiltà di fronte a Dio e cresce
mediante l’assiduità della preghiera.
Nella preghiera assidua s’accrescono fiducia e umiltà: l’umiltà non è la virtù
dei disperati, perché i disperati hanno sogni di rivalsa e, a volte, di
vendetta; l’umiltà è la virtù di chi ha fiducia.
Non bisogna pretendere nulla da Dio, ma essere certi che lui sa qual è il nostro
vero bene.
La preghiera assidua dà serenità e porta nella nostra vita, anche se immersa
nella sofferenza, un equilibrio emotivo molto più grande e, quindi, una maggior
energia, sia a livello fisico che a livello morale. I rapporti con gli altri
migliorano, perché la nostra serenità rende più sereni anche coloro che ci
stanno attorno.
Le umiliazioni toccano più o meno a tutti nella vita, ma si trasformano in
umiltà soltanto se ci affidiamo a Dio in Gesù, accettandolo come nostro Signore
e sottomettendoci alla sua legge.
Il bisogno d’autostima, e della stima altrui, diminuisce con il crescere della
fiducia in Dio: più ci rendiamo conto che Dio ci ama come siamo — belli o
brutti, stupidi o intelligenti, capaci o incapaci, brillanti o scialbi — e meno
soffriamo dei nostri limiti. Ma questo non ci rende meno attivi e responsabili,
anzi la gratitudine verso Dio e, di conseguenza, l’amore verso gli altri, ci
spingono a dare di più e ci rendono capaci di farlo con gioia.
Caro laureato in cerca d’occupazione, io spero e prego che lei trovi presto un
lavoro che corrisponda alle sue capacità e che le dia la gioia di sentirsi
utile; ma per sapere veramente se un lavoro potrà renderci utili agli altri
bisogna almeno farne l’esperienza, e infine soltanto Dio sa veramente qual è il
nostro vero bene e qual è il vero bene delle persone che incontreremo nella
nostra vita. Sia perciò più aperto alle varie possibilità che le si possono
aprire davanti: chissà che non le offrano l’opportunità di crescere ancora più
di quanto ha fatto in precedenza, quando aveva un lavoro forse soltanto
apparentemente più adatto a lei? Coraggio... {05-03-2008}
11. {Salvatore Grasso} ▲
Caro amico, posso raccontarti la mia esperienza. Ero un sottufficiale dei
Carabinieri, nove anni fa, mi collocarono in pensione per una malattia
cardiocircolatoria. Cinque anni dopo, mi separai da mia moglie, fu per me una
tragedia, anche perché sono padre di due bambini piccoli. La mia pensione era di
circa 1200 euro. Subito dopo la separazione mi furono applicate delle
detrazioni, e quindi andai a prendere 970 euro. Da questa cifra, dovevo dare 300
euro per il mantenimento dei miei figli (mia moglie lavora) e 250 per l’affitto,
e in più dovevo vivere. Subito dopo la separazione, conobbi un pastore
avventista che m’aiuto psicologicamente e materialmente. Quindi conobbi Dio.
Io, oltre a essere un ex carabiniere, ho una grande
passione per la cucina, ho molta inventiva e cominciai a fare dei lavoretti come
aiuto cuoco. Due anni orsono, trovai lavoro come cuoco in un ristorante,
cominciai a guadagnare bene, al punto che comprai una Mercedes 220 cdi,
naturalmente firmando anche delle rate. Dopo sei mesi persi il lavoro, perché il
proprietario decise di trasformare il ristorante in pizzeria. Mi trovai con 300
euro di mantenimento 285 d’affitto e condominio e una rata di 375 per la
macchina, capisci che è impossibile con solo 1000 euro di guadagno.
Mi capitò un lavoro in Germania e andai, ma la
lontananza dei miei figli mi portarono a ritornare in Italia: In Germania ero
diventato anoressico, stavo molto male, al punto che un giorno svenni. Allora
decisi di ritornare, e quindi a luglio del 2007, solo dopo tre mesi ritornai,
più indebitato di prima. Nel contempo era scaduta l’assicurazione e quindi ho
fermato la macchina. Comunque m’affidai a Dio pregai molto e chiesi al nostro
Signore d’aiutarmi. Il buon Dio m’aiutò, ho trovato un lavoro sono riuscito a
pagare tutto ciò che avevo arretrato e oggi, mio giorno di riposo, mi sono
permesso il lusso di portare i miei figli al ristorante. Quindi caro amico, non
perdere la fede in Dio, non disperarti, io pregherò per te. Ti faccio i miei
migliori auguri. {05-03-2008}
12. {Giacinto Massa, ps.} ▲
Caro Nicola, grazie
per avermi risposto.
È chiaro che non m’abbatto, almeno sempre, mi sento forte e credo di poter
essere utile e credo d’esserlo già, tanti mi vogliono bene. Caratterialmente
affronto le mie cose da solo, stiamo a Pozzuoli io e mia moglie, c’è il mare e
spesso noi due su una zattera in mezzo alle onde. La famiglia è lontana per
entrambi e preferiamo non coinvolgerla, anche perché hanno già troppi problemi
per conto loro. Genitori che invecchiano e spesso vivono con tristezza la
vecchiaia, il sopraggiungere del sentirsi inutili, o comunque meno utili di
prima, meno forti, meno coraggiosi. Vivono una vita di provincia e noi (io e mia
moglie) avendo studiato, auto-convinti d’aver acquisito una forza maggiore, ci
sentiamo in dovere d’aiutare; non è solo riconoscenza, siamo così, cerchiamo
sempre di dare e quindi quest’atteggiamento non mi consente di dire... guarda io
ho perso il lavoro... come potrei altrimenti dare un aiuto a una famiglia che,
purtroppo segnata dalla scomparsa di papà, non è andata un granché bene. Su
cinque figli che siamo 3 (io compreso) viviamo una vita tranquilla, nella norma,
mentre per due delle mie sorelle purtroppo non è così: due fallimenti
matrimoniali e figli a cui pensare da sole (con noi fratelli naturalmente che
aiutiamo). Dovrei dirti troppe cose che, siamo altruisti come pochi fratelli ho
incontrato nella mia vita, sono orgoglioso di come siamo, rispettosi anche degli
errori altrui e disponibili a farci carico di problemi non nostri. Per amore.
Io, come vedi, non chiamo in causa spesso Dio, non perché non ci creda o perché
non nutra la speranza che qualcuno più grande e giusto di noi piccoli uomini
possa supervisionare le cose della vita e guidarle.
Non sopporto però la pacca sulla spalla, m’irrita l’atteggiamento troppo lineare
d’alcune posizioni impregnate di religione ma spesso non di Dio.
Lui, credo, sappia quanto poco lineari siano le cose, quanto tortuoso sia il
percorso; ne sono prova i vari esempi di smarrimento, di crisi riportate dalla
Bibbia. Cominciare da lavori più umili, e qual è il problema, forse qualcuno
nella rappresentazione fatta di quello, che ti ho scritto, ha letto una
presunzione dovuta al possesso della laurea. Non è così.
Nicola, ti ringrazio, non so che dire: è bello vedere che quasi urlando nel
vuoto, trovi una risposta.
Si tratta di rappresentare una vita tortuosa e determinata anche dalla
impossibilità di trovare delle porte aperte. A volte non è il lavoro in sé, è
l’impegno, il sentirsi utile, basterebbe anche passare una mattinata con una
persona bisognosa a parlare oppure ad aiutarla o qualunque altra cosa, più umile
di così. Rimpiango il servizio civile, fatto qualche anno fa presso un centro
diurno per disabili, dove ho trovato una forma bellissima d’amore. Tutti quei
ragazzi, la loro spontanea vitalità, l’essere felici perché un altro giorno
cominciava e cercare di metterti in contatto con loro, provare a stabilire un
contatto anche con i casi più difficili. La serenità che ho trovato in
quell’esperienza.
Molti erroneamente confondono l’entrare in contatto con l’altro bisognoso (il
disabile) come un atto posto in essere da te, un orgoglio che ti pulisce la
coscienza, ma chi ha bisogno e trova il contatto ti dà la pace perché in quel
caso lui risolve e tu ne trai beneficio.
Ti chiederai perché dico questo, noto e mi dispiace l’atteggiamento da pacca
sulla spalla; secondo me serve a deprimere. A volte è preferibile ricevere una
sonora sberla morale oppure un atteggiamento da angelo come l’amico d’Ancona,
che si offriva d’ospitarmi finché non avessi trovato un lavoro. Ringrazialo per
favore da parte mia. Grazie anche a te. {06-03-2008}
►
Sono rimasto disoccupato. E
Ora? {Nicola Martella} (T)
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Cosa può insegnare perdere il lavoro a 40 anni?
{Daniele Salini}
(A)
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Sogni e insonnia di un imprenditore cristiano
{Nicola Martella} (T)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Disoccupato_dramma_GeR.htm
01-03-2008; Aggiornamento: 08-03-2008
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