1. ENTRIAMO IN TEMA: Ho avuto occasione di conoscere una giovane
donna, che chiamiamo qui Martina, e di ascoltare il suo dramma esistenziale, che
l’ha alquanto segnata personalmente. Da anni sta combattendo anche contro una
grave malattia, che l’ha resa combattiva e tenace; ma non è di questo, di
cui voglio parlare qui di seguito. Quando lei aveva 15 anni, da un giorno a un
altro, suo padre spezzò l’idillio di famiglia felice, di cui ella era figlia
unica. In pratica il
padre abbandonò sua madre e lei e seguì un’altra donna. Martina si sentì
così tradita da suo padre che, da allora in poi, non vuole mai più avere
contatti con lui. Egli, intanto, si è formato una nuova famiglia con la
sua attuale compagna.
Poi, a distanza di vari lustri, suo padre cercò di
riprendere i contatti con lei, usando questo «ritornello»: «Io sono,
nonostante tutto, tuo padre. Perciò, devo essere al corrente della tua vita. Ho
il dovere di interessarmi a te. E così via». Martina ritiene che lui è arrivato
a voler fare il «padre» troppo tardi, quando lei è oramai una donna; ma lui non
c’era stato allora, quando nella pubertà aveva bisogno di lui. Perciò, non
sente il bisogno di comunicare con lui, di metterlo al corrente della sue
cose e di ascoltare i suoi consigli. Anche nel periodo acuto della sua pesante
malattia, lui non è stato presente; né lei lo vuole più presente nella sua vita
come avrebbe dovuto né nel suo travaglio con un male, che deve essere
continuamente controllato.
Da non molto tempo, Martina ha conosciuto il Signore e lo ha accettato
come Salvatore e Signore della propria vita. Ella vuole fare la volontà di Dio
in ogni cosa. Tuttavia, ritiene che un uomo, che ha rovinato la vita sua e di
sua madre, sia da condannare biblicamente
parlando e non debba avere spazio nella sua vita, per sindacarla e magari
portare altro dolore in essa.
Ho chiesto a Martina di scrivermi una lettera, in cui ella stessa presenta
alcuni aspetti della sua vicenda. Abbiamo concordato di mettere tutto ciò sul
sito in discussione, perché altri credenti possano intervenire per dare il
proprio parere, fondando le loro risposte su un’analisi biblica e sula
competenza. Le ho dato uno pseudonimo, per proteggere la sua privatezza e
affinché non diventi una questione personale.
2. IL SUO PUNTO DI VISTA DIRETTO: Caro Nicola, ti ho già
accennato alla questione con mio padre. Dopo un anno dall’ultimo contatto con
lui, ho ricevuto da lui
un SMS; un po’ mi ha turbata, perché non me l’aspettavo proprio. Un anno
fa, in seguito a una discussione, che ho avuto con lui prima e con sua madre
il giorno successivo, non l’ho più sentito, perché non mi ha più cercata, come
gli avevo chiesto io. Lui vuole avere mie notizie, vorrebbe che io avessi una
relazione con lui, ma io per il momento non me la sento. Ha la sua vita.
Quando avevo 15 anni, egli ha fatto le sue scelte, che purtroppo hanno
provocato delle conseguenze. Io inizialmente provavo molta rabbia e non
volevo perdonarlo, anche perché vedevo mia madre soffrire e il sogno di una
famiglia unita infranta; poi il tempo ha attenuato le ferite. Dentro di me
l’ho perdonato, ma non voglio avere rapporti con lui e la sua nuova
famiglia. Egli deve accettare che, non perché è mio padre, ha diritti sulla mia
vita. Spesso mi ripeteva «Sono tuo padre, devo sapere
questo e quello». Oppure: «Sei mia figlia e non mi puoi escludere dalla
tua vita». Io non l’ho escluso; è lui, che facendo la scelta di andare a vivere
con un’altra donna, ha preso una strada alternativa alla famiglia, che
aveva messo su. Ora, sono trascorsi diversi anni, ma io ho continuato per la mia
strada e, anche quando mi sono ammalata e c’è stato un riavvicinamento,
lui ha continuato con il suo atteggiamento un po’ invadente. Io l’ho
allontanato, perché non riuscivo a vivere serenamente la mia vita. E un anno fa,
c’è stata la discussione, alla quale ha preso parte anche il mio fidanzato, per
difendermi, visto che da pochi giorni ero uscita dall’ospedale, dopo
l’intervento chirurgico.
Durante l’ultimo anno, l’ho rivisto con la compagna e la prole di lei in
macchina due o tre volte, ma non si è mai fermato. Ora, il contenuto del
messaggio che mi ha mandato è questo: «Ciao Martina, mi auguro che questo SMS ti
trovi in buona salute. Ormai è passato un anno dall’ultima volta che ci siamo
sentiti; ancora (malgrado ci abbia pensato molto) non ho capito il motivo che ti
fece arrabbiare. D’altronde troppe cose non capisco, ma c’è una cosa che più
d’ogni altra non capisco e vorrei capire. Che razza di padre bastardo,
che sono stato, per farti prendere la decisione di non volermi più vedere e
sentire? Addirittura vengo a sapere che non posso avere tue notizie, le devo
elemosinare. Se avessi coraggio andrei subito via da Tivoli, perché quelle poche
volte che ti ho incontrato in macchina, mi sono vergognato di salutarti.
Ti chiedo una cosa: vediamoci senza far passare altro tempo. Ti voglio un
gran bene, tuo papà. P.S.: Non giudicarmi e apri il tuo cuore, tutto sarà
più facile».
Nicola, io vorrei essere ubbidiente al Signore
e mi vorrei comportare come tale. Ti dico la verità, non ho risposto al
messaggio e non avrei voglio di vedere mio padre, ribadirei quello già detto,
anche perché ora mi sento bene.
Ora, non so se questo è l’atteggiamento corretto
davanti gli occhi del Signore; questo puoi sicuramente dirmelo tu, che
conosci in modo approfondito la sua Parola. {03-08-2013}
3. ALCUNE VALUTAZIONI PROVVISORIE: Ammetto che è un tema
pastorale difficile. Bisogna far collimare verità e amore, giustizia e
misericordia. Non si può semplicemente passare su un passato così lungo e far
finta che non ci sia stato. Quando si è stati così profondamente feriti,
non può passare da un giorno a un altro il senso di tradimento, di abbandono, di
delusione, di rabbia e di altre cose simili. Un padre assente nei tempi, in cui
si aveva maggiormente bisogno di lui (pubertà, malattia), ora reclama di dover
sapere della vita della figlia. Intanto Martina ha dovuto trovarsi altri
punti paterni di riferimento, altri punti saldi per la sua malattia e le sue
scelte di vita. Si può comprendere il fatto che ella senta più altri come
famiglia che un padre, che è stato così distante.
Ed egli perché vuole ora tali contatti più assidui e profondi con la figlia?
Perché ora «deve sapere» di Martina? Per il bene verace della figlia o per
mettere a tacere i propri sensi di colpa?
Non mi avventurerò a un’analisi biblica troppo approfondita. Infatti, qui molte
cose dipendono dalla guarigione interiore
di Martina, dalla sua libertà interiore, dalla sua disponibilità a dare spazio a
chi lei vede come un estraneo, se non addirittura come un intruso.
Come valutare un uomo, che abbandona la sua casa, per mettersi insieme a
un’altra compagna? Dal punto del diritto biblico, tale uomo ha infranto
il patto matrimoniale, è sleale e
fedifrago (Mal 2,14s), poiché ha ripudiato la moglie senza giusta causa
(v. 16); perciò, per la legge mosaica lo ritiene adultero e, quindi, degno di
morte (Lv 20,10). Nel nuovo patto le cose non sono cambiate sul piano morale (Mc
10,11s; cfr. Rm 7,3); solo la comminazione della pena dipende dalle leggi
nazionali. Quindi, almeno sul piano teorico, considerare il fedifrago
socialmente «morto», ossia escluso dalla propria vita, non è moralmente
riprovevole dal punto di vista biblico (cfr. Sal 15,4a).
Anche Gesù stesso prevedeva di poter considerare qualcuno
come «il pagano e il pubblicano»
(Mt 18,17), ossia persone da evitare come la peste. Un principio di esclusione
si trova anche in altri brani del NT (cfr. 1 Cor 5,11ss). Si obietterà che in
tali brani si trattava di credenti; in ogni modo, un principio generale rimane.
Esiste in effetti una falsa concezione del perdono cristiano, che non
implica ravvedimento, mutamento di vita, richiesta di perdono, ristabilimento
del diritto e quant’altro. Tutto ciò è solo un surrogato della realtà biblica,
che rende la grazia e il perdono a poco prezzo.
Una domanda che sorge è la seguente: Si può
perdonare qualcuno, senza voler avere più a che fare con lui? La risposta è
difficile e dipende da tanti fattori. Che significa «perdonare»? Magari per
qualcuno significa aver trovato pace in se stessi su una certa questione, per
non sentire più rabbia verso l’altro e per non cercare motivo o occasione per
«punire» l’altro e dargli ciò, che si merita. Il risvolto di ciò è la desistenza
e il disinteresse completo per tale persona, con cui non si vuole avere nulla a
che fare. Certo, dove l’altro è insensibile a un vero ravvedimento con tutte le
sue conseguenze (vedi sopra), si può arrivare a tale patto di desistenza con la
propria coscienza. Il perdono biblico è, in realtà, un «condono» e si dà
sempre e solo a chi ne fa richiesta, ammette il proprio abuso, è disposto a
mutare vita e a prendere su di sé le relative sanzioni (per il principio del
risarcimento adeguato alla base del perdono cfr. Lv 5,16; Lv 6,5; 22,14; Nu 5,7;
cfr. anche Lv 27,13.15.19.27).
Anche laddove ci fossero le basi del perdono, bisogna per forza entrare in una
compagine sociale (p.es. nuova famiglia del padre), che si ritiene peccaminosa?
In teoria non si è obbligati; ed è difficile far finta di nulla e cercare di
incontrare il padre sempre in zona neutrale e senza la famiglia di lui. In
effetti, Martina ritiene di non voler avere nulla a che fare con la nuova
famiglia del padre; anche per questo lo tiene distante. Tale famiglia, per
cui il padre si è deciso, è costata la felicità alla sua e le ha derubato la
serenità negli anni della sua giovinezza. In tali circostanze, ogni
avvicinamento al padre sarebbe in effetti per le fonte di tensioni, stress e
altri problemi, che Martina non si può permettere con la malattia, che si
ritrova, e in cui ogni elemento psicologico fuori luogo potrebbe mandare
sottosopra tutti i suoi fattori vitali.
Qualcuno certamente vorrà citare il brano del Decalogo: «Onora tuo padre
e tua madre» (Es 20,12; Dt 5,16; cfr. Mt 15,4;
19,19; Ef 6,20); infatti, «un figlio onora suo padre» (Mal 1,6).
Chiaramente tale verso indica il caso normale di un padre, che si è comportato
in modo onorabile. Inoltre, tale comandamento bisogna leggerlo nel contesto
della legge mosaica, che lasciava poco da onorare in caso di abbandono del tetto
coniugale e dell’esercizio dell’adulterio. È scritto: «Il figlio, che fa
vergogna e disonore, rovina suo padre» (Pr
19,26); ma è anche vero il contrario. Ricordo l’analisi di Dio per il ripudio
senza giusta causa, ma per motivi carnali (per mettersi con un’altra donna
magari più giovane): si tratta di un atto perfido verso la moglie della sua
giovinezza; e chi fa ciò, «copre di violenza la sua veste» (Mal 2,15s).
Dovrebbe un figlio onorare colui, che è spregevole e che Dio disprezza?
Qualche altro ricorderà il comandamento di Gesù: «Amate i vostri
nemici e pregate per quelli, che vi perseguitano»
(Mt 5,44). Ciò è vero e rimane una tappa importante verso la maturazione e il
perfezionamento cristiano (v. 48). Tuttavia, questo non significa che dobbiamo
compiacere loro in ciò che fanno di sbagliato, che dobbiamo tollerare i rapporti
morali errati in cui vivono, che dobbiamo essere loro compagni (Ef 5,7; cfr. vv.
6.8) o che dobbiamo partecipare alle «opere infruttuose delle tenebre»
(vv. 11s).
Certamente ci sono altri aspetti da tener presente, come ad esempio poter
essere di testimonianza al padre per l’Evangelo, in vista della sua
conversione. Bisogna rinunciare ai propri sani principi morali per perseguire
tale meta? Come si potrà essere luce, se non si è sale? L’annuncio dell’Evangelo
può fare a meno dell’annuncio della verità, della giustizia e del giudizio? Si
può voler annunciare il Salvatore, senza annunciare Gesù il Signore? Ricordo
l’episodio del governatore Felice e di
Drusilla, figlia di Erode Antipa I, che aveva abbandonato il suo legittimo
marito, per sposarsi con Felice. Egli «mandò
a chiamar Paolo, e l’ascoltò circa la fede in Cristo Gesù. Ma ragionando Paolo
di giustizia, di autocontrollo e del giudizio a venire, Felice, tutto
spaventato, replicò: “Per ora, vattene; e quando ne troverò l'opportunità,
ti manderò a chiamare”» (At 24,24s). Paolo, come
già Giovanni Battista (Mt 14,3s), non rinunciò a parlare di giustizia e di
giudizio. Chi può dire che cosa serva di più per la conversione di qualcuno?
(cfr. 1 Cor 7,16). Sarà la fermezza morale o l’accondiscendenza? È difficile a
dirsi e a guardare nel consiglio segreto di Dio.
Che cosa
necessita Martina? Certamente di crescita nella fede. Poi, anche di una
guarigione interiore processuale, a cui seguirà una maturità spirituale. E in
tutto ciò necessita della guida costante del Signore. Sarà Dio a convincerla
della cosa migliore da fare, durante il cammino di santificazione e ubbidienza,
anche nei rapporti con colui, che l’ha generata e poi anche abbandonata e che è
stato la causa di tante sofferenze e mali nella sua vita.
La cura pastorale può chiarire e illustrare la problematica, in cui
qualcuno si trova, illuminandola da diversi punti di vista. Può anche condurre
processualmente a una serie di bivi; ma a ognuno di essi è la persona in
questione, che deve essere arrivata alla libertà di scegliere la via migliore,
quella compatibile con la Parola di Dio, con la propria situazione esistenziale,
con la propria coscienza e la propria maturità di fede. Ogni scelta coercitiva,
invece di portare maggiore guarigione, aggiungerebbe maggiore sofferenza e
sarebbe viepiù nociva.
Che cosa dovrebbe fare Martina? Che cosa farà a questo punto? Certamente ha
bisogno di buoni consigli scritturali. Ciò che non necessita, sono facili
ricette piene di buonismo spiritualistico.
►
Tradita dal padre fedifrago? Parliamone {Nicola Martella} (T)
Approfondimento
di aspetti concomitanti
►
Il divorzio: come lo vivono i figli? {Nicola Martella} (T)
►
Separazione e divorzio dalla prospettiva dei figli {Nicola Martella} (A)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Padre_fedifrago_S&A.htm
12-08-2013; Aggiornamento: 16-08-2013 |