Qui di seguito proseguiamo la discussione cominciata col
tema «Decime
e offerte volontarie? Parliamone 1», il quale si basa
sull'articolo «Decime
e offerte volontarie». Nelle chiese c'è chi comanda la decima alla
propria comunità, specialmente per sostenersi a pieno tempo, oppure lo fanno
predicatori di fuori in cerca di fondi. Altri insegnano che la decima come
«tassa fissa» ha senso solo in uno Stato teocratico. Altri ancora mettono ogni
cosa su un piano idealistico, secondo cui ogni cosa appartiene al Signore e,
perciò, debba essere resa disponibile per il suo servizio; quest'ultima
concezione, pur sembrando la più «spirituale», crea in effetti molte incertezze
nei casi concreti e fa sorgere la seguente domanda: Come può Dio aver comandato
di voler tutto, se ama la liberalità e un «donatore allegro»?
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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sottostante
1.
{Claudio Zappalà} ▲
Nota editoriale: Si veda già il primo contributo della prima parte «prima
parte » della discussione, di cui questo contributo è un
approfondimento.
Senza andare troppo
lontano il capitolo 1 Pietro 4,1-4 parla della nuova dimensione di
vita del credente: «Poiché dunque Cristo ha sofferto per noi nella carne,
armatevi anche voi del medesimo pensiero,
perché chi ha sofferto nella carne ha smesso di peccare, 2per
vivere il tempo che resta nella carne non più nelle passioni degli
uomini, ma secondo la volontà di Dio.
3Basta a noi infatti il tempo della vita che abbiamo trascorso a
soddisfare le cose desiderate dai gentili, quando camminavamo. 4Per
questo trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di
dissolutezza e parlano male di voi».
Con una nuova Vita
in Cristo c’è un cambiamento di rotta rispetto al passato.
■ 1.
La prima riflessione è che vivere in un certo modo (v. 3 «…quando
camminavamo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle
gozzoviglie, nelle baldorie e nelle abominevoli idolatrie») comporta un
assorbimento totale di tutto quello che abbiamo, dal punto di vista fisico,
psicologico e anche economico.
■ 2. Dal momento della conversione c’è una rottura con il passato: «Per
questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo
torrente di perdizione e vi oltraggiano» (v. 4; CEI).
■ 3. Inizia una nuova dimensione di vita, con nuovi pensieri, nuovi
rapporti con il prossimo e con tutto ciò che ci circonda.
● V. 7: «La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque
moderati e sobri per dedicarvi alla
preghiera».
● V. 8: «Soprattutto, abbiate amore
intenso gli uni per gli altri, perché l'amore copre una gran quantità di
peccati».
● V. 9: «Siate ospitali gli uni verso
gli altri
senza mormorare».
■ 4. Da servi del peccato diventiamo (tutti)
amministratori dell’infinita grazia di Dio: «Come buoni amministratori
della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il carisma che ha ricevuto, lo
metta a servizio degli altri» (v. 10).
Conclusione
■ Caro Nicola, a questo punto mi sembra avvilente, riduttivo fuori luogo…
parlare di «decima sì, decima no». Credo che Dio ci ha chiamati a vivere su un
livello, dimensione, funzione (tutti, dico tutti,… a secondo del dono che Lui ci
ha dato…) particolare dove certi passaggi dovrebbero essere superati
abbondantemente.
■ Il nostro vero problema non è tanto quanto dobbiamo «dare» a Colui che ci ha
dato tutto… il suo unigenito Figliuolo, ma in quale posizione / condizione ci
dobbiamo porre nei confronti della sua Opera e del suo Regno.
■ Cosa insegno nella mia comunità a riguardo della decima? Il cento per cento!
Ma non critico o biasimo nessuno che la pensi e faccia diversamente. D’altra
parte il dare a Dio… è un privilegio e grande opportunità. Chi lo comprende e lo
fa, ne riceve i benefici… in proporzione a quello che gli permettiamo di fare.
■ Tutte le cose sono intimamente connesse tra loro, non a caso la salvezza, che
Gesù Cristo ci ha provveduto sulla croce e con la sua resurrezione, riguarda… lo
spirito, l’anima e il corpo. Scindere, fare dei distinguo, mettere dei ma, se,
prima, dopo ecc. è molto limitativo a quello che è il nostro ministero
sacerdotale in Cristo Gesù.
Un abbraccio. {7 novembre 2008}
2.
{Nicola Martella}
▲
Quello di Claudio
Zappalà è un discorso molto bello e avvincente, pieno di ideali e slanci
spirituali. Eppure esso, sinceramente, non convince del tutto sul tema della
decima e delle offerte volontarie; e ciò soprattutto perché il brano da lui
usato come base non parla di questo tema specifico, ma di altro. Inoltre il
discorso ideale non esclude la riflessione sulle cose concrete. Inoltre bisogna
rispondere a quei conduttori che la decima la impongono come condizione per fare
parte della loro comunità. Perciò l’idealismo, sebbene nobile, lascia spazio
all’arbitrio dei furbi e degli approfittatori; perciò non convince e questo per
diversi motivi.
■ Nell’AT
Israele era il popolo del possesso, il tesoro particolare dell’Eterno (Es
19,5), un regno di sacerdoti e una nazione santa (Es 19,6), la sua proprietà
particolare (Mal 3,17), il popolo eletto (Is 43,20), chiamato a santità (Lv
11,44s) e a essere consacrato interamente al proprio Dio Dt 7,6),
differenziandosi così dai popoli pagani circostanti (Dt 14,2; 26,19). Tale alta
chiamata non era in contrasto con la richiesta di Dio di una decima al suo
popolo del patto e dell’apprezzamento delle eventuali offerte volontarie (Lv
27).
■ Al popolo del nuovo patto, pur essendo le richieste simili, non viene
richiesta una decima, non essendo la chiesa un popolo teocratico all’interno di
confini nazionali, retto da una legge religiosa che è altresì anche legge di
Stato. Nel Concilio di Gerusalemme non fu ingiunta, sebbene fosse il luogo e il
momento ideale per farlo. Si fa appello però ai credenti di farsi carico
dell’opera di Dio e dei suoi operai. Lo stesso apostolo paolo, pur evidenziando
che apparteniamo del tutto al Signore, non costrinse i credenti al voto di
povertà, ma si appellò al senso di generosità e di responsabilità dei credenti.
■ Un atteggiamento idealistico è ammirevole, ma lascia spazio all’arbitrio
soggettivo delle persone deboli o di quelle arroganti e approfittatrici.
Sebbene apparteniamo del tutto al Signore, Egli non ci ha chiesto di portargli a
fine mese l’intera busta paga, detraendone il minimo per (soprav)vivere. La
nostra appartenenza totale al Signore non è in contrasto con la libertà
di donare a proprio arbitrio da «donatore allegro» (2 Cor 9,7) e in modo
responsabile (1 Cor 9,11; 2 Cor 9,5s; Gal 6,6ss).
■ Il discorso idealistico del lettore, mi ha fatto sorgere un dubbio riguardo al
suo quadro economico e al suo stile di vita. Egli avrà fatto il
voto di povertà. Tutto ciò che guadagna, detratto il minimo indispensabile per
vivere o sopravvivere, lo devolve in parte alla chiesa, in parte alla missione e
in parte in beneficienza ai poveri. Ha rinunciato ad avere perciò a una casa di
proprietà, a una macchina, a un computer, a fare vacanze e a quant’altro. Dalla
logica delle sue parole, questa dovrebbe essere, più o meno, la situazione della
sua vita.
Dico questo da missionario che con sua moglie e sua famiglia ha vissuto (e vive)
con poche risorse per servire il Signore in Italia e che ha fatto insieme con la
sua famiglia grandi sacrifici per portare avanti l’opera, rinunciando a molte
cose lecite che non sto qui a elencare. Chiaramente abbiamo visto la guida
paterna e la benedizione di Dio. Le scelte però sono personali (nel bene e nel
male) e non mi sentirei di trarre dalla mia vita una lezione morale per lo stile
di vita di altri cristiani.
■ Il lettore dovrebbe rispondere anche a quei pastori che rinfacciano ai loro
membri che stanno derubando Dio (basandosi su Mal 3,8) e li minacciano
che saranno presto colpiti di maledizione (basandosi su Mal 3,9)… come se
avessimo ancora un santuario centralizzato e un apparato sacrificale e una casta
sacerdotale da sostenere (Mal 3,10). L’uso strumentale di questi versi denota
spesso la richiesta di più soldi per il proprio sostegno finanziario. Non a caso
tale logica è usata spesso da quegli evangelisti di massa che, cominciando da
nulla, hanno accumulato ingenti ricchezze e agi per sé e la propria famiglia.
Non di rado essi seguono la «teologia della prosperità».
■ Il brano di
1 Pt 4,1-4 non parla dell’amministrazione di soldi, ma del mutamento di
mente riguardo all’etica, del nuovo stile di vita di credenti e del rapporto
verso i fratelli. Si parla sì di «economi», ma non in senso finanziario,
ma della «variegata grazia» (gr. charis), che si manifesta nelle
«manifestazioni di grazia» (o carismi, gr. charismata), di cui bisogna
essere responsabili a favore dell’intera compagine della chiesa. Anche in Tt 1,7
si parla dell’episcopo come «irreprensibile, come economo di Dio», il
contesto non parla di amministrazione di denari (neppure di quelli della chiesa
locale!) ma della vita in genere e del suo ministero. Anche in 1 Tm 1,4 ricorre
l’espressione «economia di Dio, che è in fede», che denotava nel contesto
la responsabilità dell’amministrazione responsabile della sana dottrina in
contrasto con favole e genealogie, che provenivano dal giudaismo.
3.
{Giampaolo Natale}
▲
Avrei una domanda
che mi lascia dei dubbi. L’istituto della decima era vincolante durante il primo
secolo (ma prima del nuovo patto)?
In altri termini, gli Ebrei del primo secolo dovevano per forza portare la
decima al tempio? Tale istituto decadde in Israele con il 586 a.C. (cattività
babilonese)? Oppure decadde con la distruzione del tempio nel 70 d.C.?
A me sembra che sia più giusto dire che la vera teocrazia ci fu soltanto fino
alla deportazione a Babilonia, quindi l’istituto della decima era coercitivo
solo fino a tale data. E giusto? Grazie sempre per l’aiuto. {5 dicembre 2008}
4.
{Nicola Martella}
▲
Sulla decima
abbiamo già discusso. La teocrazia vera e propria si è avuta solo dalla
conquista al tramonto di Giuda. [►
Teocrazia] Anche durante tale periodo non fu applicata la Legge come si doveva (cfr. anno sabbatico e
giubileo; cfr. in
Šabbât).
Dopo il ritorno in patria (che fu alquanto parziale), ci si dedicò dapprima più
che altro ad aspetti amministrativi, essendo la Giudea una provincia persiana.
Al tempo del primo mandato di Esdra e Nehemia fu reintrodotta la decima (Ne
10,37; 12,44), ma appena essi s’allontanarono per un periodo, per ottenere un
secondo mandato, tutto venne disatteso (Ne 13,5.10.12). Anche dopo di loro, al
tempo di Malachia, la legge delle decime venne largamente disattesa (Mal 3,7ss);
nota che è scritto al riguardo: «Fin dai giorni
dei vostri padri, voi vi siete scostati dalle mie prescrizioni, e non le avete
osservate», ossia quelle delle decime.
Al tempo di Gesù, gli Ebrei della diaspora sostenevano le proprie sinagoghe con
offerte; gli Ebrei di Gerusalemme e della Giudea vedevano un debito verso
entrambi. Gli Ebrei della diaspora, che venivano a Gerusalemme, portavano in
genere offerte al tempio. La distruzione del santuario nel 70 d.C. cambiò le
cose.
Si noti che Gesù, osservando ciò che i Giudei facevano presso la cassa delle
offerte, parlò del denaro che la gente gettava nella cassa, ma non di decima. Il
contrasto fu tra il superfluo dei ricchi e il necessario della vedova (Mc
12,41-44).
I Giudei integralisti (Farisei) pagavano la decima addirittura su cose che la
legge non prescriveva per nulla (Mt 23,23). Ma ciò non implica che tutto il
popolo facesse così, ossia desse una regolare decima parte delle sue entrate
(cfr. Lc 18,12s). In effetti non c’è nessun verso del NT che attesta in modo
incontrovertibile che tutto il popolo ebraico desse la decima al tempio. Non
esiste altresì neppure alcun verso nel NT che attesti che i Giudei cristiani
dessero delle decime al tempio. Per avere maggior lumi al riguardo, bisognerebbe
consultare la letteratura giudaica e cristiana dei primi due secoli d.C., ad
esempio Giuseppe Flavio, Filone d'Alessandria e i teologi cristiani d'allora;
escluderei il Talmud, essendo troppo di parte, oltre che tardivo nella sua
redazione finale (Medioevo).
5.
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6.
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7.
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8.
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9.
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10.
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11.
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12.
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►
Decime e approssimazioni storiche e teologiche {Gianni Siena - Nicola Martella} (T/A)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Decime_offerte_parla2_R34.htm
13-11-2008; Aggiornamento: 05-12-2008
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