È da tempo che diversi lettori mi hanno posto la questione del calvinismo, del
patto unico, doppia predestinazione e di altri aspetti connessi (p.es.
l’amillenarismo). Ho tergiversato finora, consapevole di mettere la mano in un
vespaio. Infatti le «sovrastrutture dottrinali» si basano su una logica
intrinseca di natura ideologica e come tutte le ideologie non tollerano che le
si metta in forse. Poiché le sollecitazioni ad affrontare questo tema
vanno avanti, apro questo tema di discussione. Premetto che più che di teologia
riformata e calvinismo, mi interessa andare alla radice e parlare delle
«sovrastrutture dottrinali» e dell’«approccio dogmatico» alla Scrittura. Questo
coinvolge, ad esempio, il cattolicesimo romano come sovrastruttura
ideologico-dottrinale, il patto unico del calvinismo, il dispensazionalismo
darbysta, il sabatismo avventista, il geovismo.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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▲
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1
{Gaetano Nunnari} ▲
Visto che sei riuscito a convincermi con la Bibbia e con la logica che la
salvezza non si può perdere (anche se c’è qualche brano biblico che non riesco
ancora a spiegarmi), volevo affrontare la dottrina della predestinazione. Aveva
ragione Calvino? Il sito www.riforma.net ne parla a favore, effettivamente
sembra che sia così. Tu invece accennandone in un tuo articolo l’hai definita
«sedicente dottrina». Sarebbe bello poterlo sviluppare come hai fatto con la
perdita della salvezza? {25-06-07}
2
{Nicola Martella} ▲
Alla base del calvinismo, del «patto unico» e della «doppia predestinazione» c’è
un argomento filosofico-dottrinale basato su una sovrastruttura ideologica. I
calvinisti sono andati in ciò addirittura di là dalle stesse intenzioni di
Calvino. Il mio approccio è esegetico, non dottrinale. Conosco le tesi del sito
www.riforma.net e del suo gestore (Castellina); di là dalle tante cose giuste e
pertinenti che ci legano come evangelici rispettosi della sacra Scrittura, non
condivido l’approccio dottrinale in sé e, quindi, neppure l’ideologia calvinista
della doppia predestinazione. Ogni «approccio dottrinale» è figlio della
filosofia scolastica-umanista e, come tale, parte a priori da tesi
dottrinali, che supporta poi con versi biblici; un tale metodo apre le porte
all’arbitrio, facendo diventare le «pulci» degli «elefanti», con l’uso della
«logica» e della «dialettica». Preferisco la «teologia biblica» o metodo storico
grammaticale (teologia esegetica).
3
{Gaetano Nunnari} ▲
Sto studiando il calvinismo e devo dire che comincio a condividerne la dottrina.
Dammi qualche indizio che mi porti a riflettere il perché per te si tratti d’una
sovrastruttura ideologica. Effettivamente i passi sono molti a favore della
predestinazione. E poi la fede non viene da noi ma è un dono di Dio. Come già
detto dammi qualche indizio, senza stare lì a scrivere tanto. {11-07-07}
4
{Nicola Martella} ▲
Tenendo presente il tuo percorso di vita, non cadere dall’acqua bollente
(ideologia carismaticista) alla brace (ideologia calvinista). Mi è saltato
all’occhio come alcuni darbisti per contrappasso siano diventati carismaticisti
estremi, passando così dalla «logica della casistica» (la regolamentazione di
ogni aspetto della vita) all’arbitrio mistico più estremo. L’altro fenomeno è
quello che vede ex carismaticisti, vissuti fin là in un miscuglio fra
misticismo, neo-gnosticismo e versettologia, cercando per contrappasso una base
dottrinale solida, si affidano spesso a una ferrea «sovrastruttura dottrinale»
del tipo (iper-) dispensazionalismo o (iper-) calvinismo. È chiaro che ogni sistema ideologico-dottrinale cerca
una coerenza e stando all’interno d’un sistema (qualunque esso sia), tutto
sembrerà estremamente «logico»; così funziona ogni sistema ideologico, politico,
religioso. Ritengo che la terapia d’ogni sistema ideologico-dottrinale (teologia
dogmatica) sia la «teologia biblica», ossia l’esegesi contestuale o metodo
storico-grammaticale.
Prima d’andare avanti, è assolutamente necessario
capire questa differenza d’approccio alla Scrittura, poiché da ciò dipende tutto
il resto. È quindi assolutamente necessario che tu legga nel mio «Manuale
Teologico dell’Antico Testamento» i seguenti articoli:
«I patti e gli altri approcci», pp. 31-53 (un confronto fra la teologia dei
patti, quella del patto unico e quella delle dispensazioni); «Sistemi
teologici», pp. 332ss (sintesi parziale dell’articolo precedente); «Teologia del
patto e l’AT», pp. 354ss (analisi della teologia del patto unico del
calvinismo). Perché tu comprenda il diverso approccio alla Bibbia, è
necessario che tu legga assolutamente anche i seguenti articoli: «Teologia
biblica e dogmatica: confronti», pp. 352s (i due approcci alla Scrittura a
confronto); «Teologia biblica» (approccio esegetico), pp. 353s; «Teologia
dogmatica», pp. 356s (approccio dottrinale). Infine, per un orientamento generale, leggi pure i
seguenti articoli: «Ermeneutica», p. 155 (differenza fra esegesi ed eisegesi);
«Versettologia», pp. 378s (come s’arriva a una «dottrina» mediate l’accumulo
indifferenziato di versi).
Dopo tale lettura, penso che sarai in grado di capire i due diversi approcci
alla Bibbia e di valutare correttamente la differenza fra un sistema basato su
un approccio filosofico-dottrinale e un sistema basato sulla «teologia biblica»,
ossia su una approccio esegetico o storico-grammaticale. A ciò si aggiunga che
conoscerai nel dettaglio anche i sistemi d’interpretazione che partono da una
sovrastruttura filosofico-dottrinale (p.es. calvinismo, dispensazionalismo) e
saprai valutare che — di là dalle cose giuste che diranno, basandosi sulla
Bibbia — usano un sistema d’interpretazione estraneo alla Bibbia stessa (sua
lingua, cultura, comprensione di sé, sviluppo, ecc.) e di natura filosofico (si
parte da una «idea forte» — dispensazioni, patto unico, doppia predestinazione —
con cui s’imbriglia la Bibbia, riducendo questo libro storico a un libro di
dottrine religiose). Il libro orientale viene sacrificato così sugli altari
della logica scolastica dell’occidente. Il libro di storia viene snaturato così
a un ricettario di dottrine religiose. Il libro di un popolo (Israele) viene
ridotto alla logica ideologica di un manuale di filosofi scolastici-umanisti
(calvinisti, dispensazionalisti, ecc.) che pretendono ognuno che ti schieri o
con loro o contro di loro. Per l’approccio dottrinale all’escatologia e per
i sistemi escatologici prodotti da esso, si veda quanto segue:
■ In: Nicola Martella (a cura di), Escatologia
biblica essenziale.
Escatologia 1 (Punto°A°Croce, Roma 2007), si veda la
sezione «Aspetti introduttivi», pp. 18-78, particolarmente le parti:
premillenarismo storico, amillenarismo, postmillenarismo, dispensazionalismo; è
importante al riguardo la lettura dell’articolo «I pericoli dei sistemi
teologici», pp. 71ss.
■ In: Nicola Martella (a cura di), Escatologia fra
legittimità e abuso,
Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), si vedano le sezioni «Escatologia e primo millennio», pp. 27-52; ed
«Escatologia e secondo millennio», pp. 53-113. Riguardo al nostro tema di
discussione si vedano qui specialmente gli articoli: «L’amillenarismo
dottrinale», pp. 45-49; «Da Darbi al dispensazionalismo», pp. 101-107.
Ribadisco che non intendo cominciare un’inutile diatriba su quale «sistema
dottrinale» sia il migliore. Vorrei che ci concentrassimo sull’approccio alla
Scrittura, in conformità a quanto scritto specialmente nel «Manuale
Teologico dell’Antico Testamento». Se non si è letto e
studiato tali articoli, è inutile proseguire una discussione al riguardo.
Scivoleremmo su un piano filosofico tipico della scolastica e faremmo della
«sola Scrittura» l’ancella di questa o di quella «sovrastruttura dottrinale».
Consiglio anche la lettura di questo articolo, presente sul sito:
►
L’interpretazione biblica. Si veda pure il seguente articolo: ►
Calvinista o arminiano? destra o sinistra? {Geoffrey Allen}.
5
{Rosa Fidelis, ps.} ▲
Qui
di seguito, desidero interloquire con Gaetano Nunnari. La questione della grazia
mi preme e mi sento piuttosto in ritardo, ma non me la sento di scrivere tutto
in una volta, così credo che tratterò l’argomento in due o più puntate; ma se,
tra l’una e l’altra, Gaetano vorrà dire che cosa gli sembra convincente nel
calvinismo, questo potrebbe essere utile per dare al mio discorso un indirizzo
più mirato.
Infatti ho un po’ d’incertezza sugli argomenti da
utilizzare, perché Gaetano, nel suo intervento, non dice quali articoli ha letto
e quali passi biblici gli sono sembrati adatti a sostenere la validità della
dottrina calvinista. Una sola cosa ho capito: secondo lui la fede è un dono, e
non ha torto. Dice infatti Paolo in 1 Corinzi 12,3b: «Nessuno può dire: Gesù
è Signore se non sotto l’azione dello Spirito Santo».
Però la fede non consiste soltanto nel conoscere la
verità: fede significa abbandonarsi a Dio totalmente, prestandogli l’ossequio
dell’intelletto e della volontà. La fede è un dono di Dio all’uomo, ma non può
sussistere senza l’accettazione del dono da parte dell’essere umano;
accettazione del dono vuol dire accettazione di Gesù perché egli ci plasmi
secondo la sua volontà, che è la volontà del Padre. Soltanto così l’uomo viene
rigenerato e diventa una creatura nuova, figlio di Dio come dice Giovanni 1,12
di tutti coloro che hanno accolto Gesù. Apocalisse 3,20 ci mostra Gesù in atteggiamento
umilissimo, che offre all’uomo la sua salvezza e ne attende con pazienza la
risposta: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e
m’apre la porta, io verrò a lui, cenerò con lui ed egli con me». I calvinisti dicono che l’uomo è completamente corrotto
per via del peccato originale e che non può né fare né volere il bene.
Sicuramente l’uomo, da solo, non può fare il bene, nel senso che non può far
fruttare i talenti che gli sono stati dati, e se quest’avviene è un grande
fallimento, perché a Dio non basterà che gli rendiamo quello che abbiamo avuto,
come ha fatto il servo infedele che ha nascosto il suo talento sottoterra
(Matteo 25,26), ricevendo la meritata punizione. L’uomo, dunque, da solo non può
fare il bene, però può volerlo, come dice Paolo in Romani 7,14-23: «C’è in me
il desiderio del bene, ma non la capacità d’attuarlo; infatti io non compio il
bene che voglio, ma il male che non voglio». La situazione che Paolo
descrive è quella dell’uomo carnale, che Gesù non ha ancora redento, e che,
rendendosi conto della propria impotenza a liberarsi dai lacci del peccato,
cerca altrove soccorso e lo trova in Gesù: «Sono uno sventurato! Chi mi
libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di
Gesù Cristo nostro Signore!».
6
{Nicola Martella} ▲
Non voglio interferire sull'eventuale dialogo fra Rosa e Gaetano. Introduco
solo qualche spunto di riflessione per loro due e gli altri lettori.
In Rm 7,14-23 si tratta veramente di un «uomo naturale», che ancora
non conosce Cristo? Oppure si tratta di un credente rigenerato che, per tutta
la sua vita, deve imparare la dinamica della fede e della santificazione?
Se l’uomo era completamente corrotto per via del cosiddetto peccato originale e non
poteva né fare né volere il bene, perché Dio investì tanta fiducia in Caino
prima che commettesse il fratricidio: «Non è [così]: se agisci bene,
innalzamento? E, se non agisci bene, all'entrata del peccato [sta] l'assalitore.
E verso di te è il suo desiderio, e tu
devi dominare sopra di lui!» (Gn 4,7; traduzione mia). Per l'approfondimento
esegetico cfr. Nicola Martella, Esegesi delle origini.
Le Origini 1-2 (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 282-299, spec. pp. 293ss.
Come si vede, Dio attribuì qui a Caino la
capacità di compiere il bene o meno e gli ingiunse di dominare sull'«assalitore»
che lo voleva indurre al peccato! Come si vede, l'esegesi è il migliore rimedio
contro ogni filosofia dottrinale.
►
Fede morta e fede viva {Giovambattista Mele - Nicola Martella}
7
{Gaetano Nunnari} ▲
Ciao Rosa, ti ringrazio per il tuo interessamento alla questione posta da me sul
calvinismo. Premetto che io non sono un Calvinista convinto, ma sto ancora
valutando questa dottrina che effettivamente mi sembra affermata dalla Bibbia,
però sembra tuttavia pure affermato dalla Bibbia il libero arbitrio d’ognuno di
noi. Mi rendo conto che la questione è complessa. Sono stati utilizzati fiumi
d’inchiostro pro e contro il calvinismo. Speriamo però di venirne a capo e di
risolvere la questione (almeno personalmente) con meno fatica.
Naturalmente ciò che ho letto finora riguardo al
calvinismo, era di parte. Il sito riformato
www.riforma.net del pastore Paolo Castellina offre molto materiale su questo tema. Quindi posso dirti che i versi
biblici da esaminare sono davvero molti. Quando ho scritto a Nicola sono stato
ovviamente sintetico.
Comincio quindi con l’argomento della grazia. A me non
piace mettere troppa carne al fuoco, ma preferisco trattare un po’ alla volta la
questione, cercando di non cadere nella versettologia (spero di riuscirci) che
purtroppo fa molti danni, e lo so per esperienza.
Il concetto di grazia nel calvinismo a mio avviso,
rende la grazia di Dio ancora più immeritata, e in qualche modo più speciale per
i suoi riscattati. Paolo affermò: «Voi infatti siete stati salvati per
grazia, mediante la fede,
e ciò non viene da voi è il dono di dio,
non per opere, perché nessuno si glori»
(Ef 2,8s). Qui viene annullata anche «l’opera» del credere
volontariamente. Solo Dio ha creato in noi la fede. Leggiamo anche 2 Pt 1,1: «Simon
Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che
hanno ricevuto in sorte una fede preziosa quanto la nostra
nella giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo».
Anche qui Pietro afferma che la nostra fede l’abbiamo ricevuta, e non l’abbiamo
decisa.
Mi fermo qui così potremo
ragionare su questi primi passi. Ce ne sono molti altri. E ne vorrei aggiungere
uno solo fra tutti quello d’Atti 13,48, che recita: «I gentili, udendo queste
cose, si rallegrarono e glorificavano la parola del Signore; e tutti quelli che
erano preordinati alla vita eterna
crederono».
Questi passi secondo me fanno
molto riflettere. Sembrano estremamente espliciti. Tu cosa ne pensi al riguardo?
Chiedo anche a Nicola di dire la sua in merito.
8
{Nicola Martella} ▲
Avrei dovuto aspettare che Rosa Fidelis o altri
lettori intervenissero per prima, ma ho dovuto correggere subito alcuni errori
di Gaetano che ritengo grossolani. Quando si parte da una sovrastruttura
ideologica (qualunque essa sia), tutto appare «logico» e scontato. Quando si fa
una corretta esegesi, le cose possono cambiare alquanto. Poiché sono allergico
ai «sistemi dottrinali» di qualunque colore, preferirei non essere trascinato in
una sterile discussione. Prenderò qui in esame solo l’aspetto della fede,
ricorrente nei versi da lui citati.
La «grazia» è il favore
immeritato di Dio e, come tale, è un dono di Dio. In Ef 2,8 il «dono di
Dio» è di essere salvati per grazia mediante la fede. Affermare che «qui
viene annullata anche “l’opera” del credere volontariamente. Solo Dio ha creato
in noi la fede» è fuorviante, sbagliato e rappresenta una mera proiezione nel
testo (eisegesi). Qui non è la fede il «carisma di Dio», ma la grazia (charis).
Cambiando i dati reali, si arriva poi a falsi presupposti e a fatali
conclusioni!
Uno studio in tutta la Bibbia
mostra che la «fede / fiducia» è un’attitudine naturale che si esercita (o meno)
verso gli uomini o verso Dio. Biblicamente parlando, non esiste un meccanismo
differente tra la fede esercitata negli esseri umani e quella esercitata nel
Signore. Ciò che cambia è l’oggetto della «fede / fiducia»: se Dio è degno di
ciò, non sempre lo sono gli uomini. Tra la fiducia di un bambino nel genitore
(Sal 22,9)
e la fede in Dio (2 Re 18,5; Gv 14,1) non c’è
differenza sostanziale, se non nell’oggetto. Similmente non v’è differenza di
meccanismo tra una persona che nutre scarsa fiducia negli altri (Mi 7,5; Gv 2,24
Gesù) e di poca fede in Dio o in Gesù (Mt 6,30; 8,26; 14,31; 16,8; 17,20),
sebbene le conseguenze siano altre.
La Scrittura non parla mai
della «fede» come un dono particolare di Dio a una persona, perché creda in Lui.
Chi crede, esercita la fede sulla base di ciò che ha udito e della disposizione
del suo cuore (Rm 10,14; Lc 8,5ss.11ss). Parimenti chi non crede (Gv 3,12;
5,44).
Quanto a 2 Pt 1,1,
Gaetano conclude frettolosamente: «Anche qui Pietro
afferma che la nostra fede l’abbiamo ricevuta, e non l’abbiamo decisa».
Il verso non afferma però che la fede per credere sia stata data da Dio.
Letteralmente il testo recita: «Simon Pietro, servitore e apostolo di Gesù
Cristo, a coloro che hanno ricevuto con noi una fede ugualmente preziosa
mediante la giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo». Qui per
«fede» s’intende il contenuto della fede, ossia l’Evangelo: «mediante la
giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo»; il contenuto di questa
«fede» comune ricevuta è la dottrina della giustizia salvifica (giustificazione)
mediante Cristo. Pietro e i suoi interlocutori erano accomunati da questa
stessa «fede», ossia dall’Evangelo, mentre la «fede salvifica» è invece
personale (1 Pt 1,8s.21; 2,6s). Al diavolo si può resistere, «stando fermi
nella fede», ossia nella sana dottrina (1 Pt 5,9). Alla fede salvifica,
posta all’inizio del cammino cristiano, si possono e devono aggiungere altri
elementi che permettono la crescita (2 Pt 1,5ss). Non affronto qui At 13,48
nel suo contenuto, ma riguardo al tema «fede / credere» faccio notare che non
viene detto qui esplicitamente che la fede (o il credere) sia stata data /
causata qui da Dio, ma che dopo aver udito la parola del Signore, cedettero,
ossia misero la loro fede / fiducia in essa.
9
{Nunnari - Martella} ▲
Quanto qui segue, è un collage di parti tratte da varie lettere intercorse
fra Gartano Nunnari e Nicola Martella.
■ Gaetano: Peccato che non hai affrontato il passo
d’Atti 13,48, che recita: «I gentili, udendo queste
cose, si rallegrarono e glorificavano la parola del Signore; e tutti quelli che
erano preordinati alla vita eterna credettero». Uno dei passi
per eccellenza. Comunque questi credenti misero la loro fiducia nella parola
perché erano preordinati!
■ Nicola: Ho affrontato anche At 13,48 e di «PREordinati»
non c’è traccia in greco, dove c’è il verbo tasso «mettere, disporre, ordinare», e
il brano si può spiegare anche diversamente, ad esempio: «…quanti
erano disposti verso la vita eterna». Ma questo lo rimandiamo a una
prossima puntata. [►
Atti 13,48 e la teologia riformata] |
■ Gaetano:
Mi hai scritto, tra altre cose: «Spero anche che non segui “ogni vento di
dottrina”, ma che diventi un operaio che taglia rettamente la Parola di verità».
Non seguo ogni vento di dottrina tranquillo! Sto solo cercando di capire il
fatto della predestinazione. Per quanto riguarda il resto delle dottrine
riformate come il battesimo dei bambini e l’aminellarismo proprio non le
condivido. Ho letto le loro ragioni in merito e l’ho trovato un arrampicarsi
sugli specchi. Non così però per la predestinazione dei salvati. Non si può
certo dire che qui la Bibbia sia chiarissima. I passi che lasciano intendere che
Dio ha eletti alcuni a vita eterna e altri a perdizione eterna sono molti.
Tuttavia la Parola parla anche della responsabilità dell’uomo. Per me è un bel
casotto. Lo sai meglio di me che sono stati scritti volumi e volumi in merito.
Se fosse stato così chiaro penso che questi teologi, che hanno combattuto per la
verità avversando le bestialità di Roma a rischio della propria vita, avrebbero
speso meglio il loro tempo. Non sono ne un «preordinarista» né un
«liberoarbitrarista», e allo stesso tempo sono entrambi. Certo che siccome tu
sei un sostenitore del libero arbitrio, ti proporrò i miei dubbi riguardo al
libero arbitrio. […] Arminiano che non sei altro.
■
Nicola: Ti faccio presente che non sono
arminiano né un sostenitore a oltranza del libero arbirio (tanto meno del
contrario): queste sono categorie filosofico-dottrinali che non mi toccano e non
m’interessano. La realtà è più grande di queste «scatole» teologiche e può
essere compresa da noi umani (anche esegeticamente) sono con un ragionamento
polare (tesi e antitesi), senza dover arrivare per forza a una scelta fra i due
poli e senza dover tentare una sintesi.
|
■ Gaetano: La cosa buffa e che i riformati
accusano gli altri di eisegesi invocando l’esegesi per comprendere la Bibbia.
L’altro partito idem. E io che sto in mezzo... irrito. Pazienza.
■ Nicola:
Come distinguere l’esegesi dalla eisegesi? L’eisegesi parte da una tesi
filosofica (ideologica, dottrinale) e la «verifica» nella Bibbia, ossia
assoggetta in modo discriminante la Scrittura alla tesi, facendo spesso uso
della versettologia.
L’esegesi
appura la verità biblica su una certa cosa, mostrando tutte le sfaccettature
esistenti del tema e le manifestazioni differenti della problematica; poi
modifica le proprie idee religiose in base a quanto trovato. Calvino era più
filosofo che esegeta. Egli non ha mai tradotto la Bibbia dalle lingue originali,
come ha fatto invece Lutero. Il suo approccio è tipico del dogmatico non
dell’esegeta.
L’approccio
ideologico è mostrato dalla dottrina del «patto unico» (oltre che a quella
dell’amillenarismo).
Per gli
approfondimenti sul «patto unico» rimando nuovamente a: Nicola
Martella, Manuale teologico dell’AT (Punto°A°Croce, Roma 2002): «I patti
e gli altri approcci», pp. 31-53 (un confronto fra la teologia dei patti, quella
del patto unico e quella delle dispensazioni); «Sistemi teologici», pp. 332ss
(sintesi parziale dell’articolo precedente); «Teologia del patto e l’AT», pp.
354ss (analisi della teologia del patto unico del calvinismo). Per gli
approfondimenti sull’amilenarismo
rimando a: Nicola Martella (a cura di), Escatologia biblica essenziale.
Escatologia 1 (Punto°A°Croce,
Roma 2007): «L’amillenarismo», pp. 33-40. Nicola Martella (a cura di),
Escatologia fra legittimità e abuso.
Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007): «L’amillenarismo
dottrinale», pp. 45-49. |
■ Gaetano: Adesso, con la tua risposta che non
sei né un arminiano né tanto meno calvinista, mi metti in confusione. Come si fa
a capire e a conciliare queste due possibilità?
■ Nicola:
La tua confusione proviene dal fatto che
ragioni con la testa d’un dogmatico, ossia di uno abituato al metodo dottrinale,
dove tutto dev’essere o bianco o nero, o arminiano o calvinista (ambedue
sovrastrutture ideologiche).
Chi come me parte dall’esegesi del testo e proviene dalla «teologia dei patti»
(plurale; non del «patto unico» calvinista), queste contraddizioni non esistono.
Infatti, in ogni singolo patto di Dio esiste sia la grazia sia l’impegno che Dio
richiede da parte dell’uomo. Anche i cosiddetti «patti di grazia» (p.es. con
Abramo) non funzionano senza una «fase amministrativa», in cui Dio chiede al suo
interlocutore (partner del patto) di prendersi le sue proprie responsabilità,
affinché il rapporto funzioni e Dio possa attuare le sue promesse. Se prendiamo
il caso di Abramo, constatiamo che alla chiamata (Gn 12) seguì la
formalizzazione del rapporto nel patto (Gn 15), dopo che Dio mise la fede
d’Abramo in conto di giustizia; ma dopo ciò, seguì l’attualizzazione
amministrativa del patto (Gn 17), in cui Dio ingiunse al patriarca d’ubbidire ai
suoi precetti. Guardando indietro, dopo la morte d’Abramo, Dio disse a Isacco
che intendeva mantenere le sue promesse proprio perché Abramo aveva ubbidito ai
suoi comandamenti (Gn 26,3ss). Questo schema si ripete in tutti i patti elargiti
Dio, anche in quello nuovo.
Nella mentalità biblica non c’è contraddizione fra grazia di Dio e
responsabilità dell’uomo. È il «tritacarne» della dogmatica (= filosofia
religiosa) a creare queste contraddizioni! Le esagerazioni degli uni (p.es.
l’assoluto «libero arbitrio») fanno oscillare il pendolo per altri (per
reazione) nell’altro estremo (predestinazione dei giusti e degli empi; chiamata
irresistibile); e viceversa. Tutti i dogmatici (essendo ideologi) pretendono che
ci si schieri con loro e contro l’altra posizione.
L’esegeta, seguendo la «teologia biblica» (o metodo storico-grammaticale), non
sente necessità a entrare in tale diatriba dogmatica, né a scegliere tra due o
più «idee forti», né a seguire il «pendolo dottrinale» nel suo attuale ciclo, né
a cercare sintesi fra posizioni polari. Egli prende atto che all’interno dei
singoli patti c’è sia la grazia divina, sia la responsabilità umana; sia la
chiamata di Dio, sia la risposta impegnativa dell’uomo. L’esegeta lascia tale
polarità così come si presenta e la spiega così come la trova. La realtà è
sempre più grande delle posizioni dogmatiche di questi o di quegli.
|
■ Gaetano: Questo è uno di quei casi che non riesco
proprio a capire, sarà per la mia testa dura naturalmente, ma come si fa a
essere sia uno che l’altro? O lo decidi tu di seguire il Signore, o Dio ti ha
predestinato. Non riesco ad andare oltre con il mio cervellotto. ■ Nicola:
Quando Dio chiama, l’uomo viene posto a un
bivio e deve scegliere! La «dottrina delle due vie» è molto ricorrente nella
Bibbia e, non è un caso che si trova proprio all’interno delle stipulazioni dei
patti (cfr. Dt 28). Il discorso che fece Mosè agli Israeliti nel Deuteronomio
era questo: Dio ha eletto i vostri padri e in vece loro siete voi qui per
entrare nel suo patto (cfr. Dt 29,10-13); ora scegliete fra la vita e la morte
(Dt 30,15.19). Questo fu similmente il discorso che fece Giosuè, chiamando
Israele a ripristinare il patto (Gs 34,15).
L’elezione è il piano di Dio per gli uomini, che Egli chiama nel suo relativo
patto, ma senza l’impegno personale e l’ubbidienza della fede si è destinati al
fallimento. Esempi al riguardo ce ne sono tanti: Esaù (era nel patto
d’Abramo, come primogenito era il depositario delle benedizioni, ma fu profano);
Israele (la prima generazione fu riscattata dall’Egitto ma perì nel
deserto; vedi i fallimenti storici); Saul (era l’unto del Signore, eletto
da Lui, ma fece bancarotta); Giuda (fu scelto da Gesù fra i suoi dodici
stretti collaboratori, ma finì miseramente), eccetera. Elezione, predestinazione
e simili sono termini che descrivono il piano e il proposito di Dio verso gli
uomini («...Dio,
nostro Salvatore, il quale vuole che tutti
gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità»;
1 Tm 2,3s); ma se il seme della Parola non cade in buona terra (il cuore
dell’uomo), non porterà frutto, anzi si perde.
Ho detto sopra che la realtà è sempre più grande delle posizioni dogmatiche di
questo o di quel teologo di dogmatica. Paolo, invece, aveva udito nel Paradiso «parole
ineffabili che non è lecito all’uomo di proferire» (2 Cor 12,4) e si guardò
dall’«insuperbire a motivo della eccellenza delle rivelazioni» (v. 7).
Eppure (o proprio per questo) affermò: «Noi conosciamo
in parte, e in parte
proclamiamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo
in parte, sarà abolito. […] Poiché
ora vediamo come in uno specchio [= lastra bronzea levigata],
in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora
conosco in parte; ma allora
conoscerò appieno, come anche sono stato
appieno conosciuto» (1 Cor 13,9s.12). Il mistero rimane
necessariamente (anche quello del rapporto fra grazia e responsabilità nella mia
vita!) e cioè fino all’avvento della perfezione; solo gli ideologi hanno
l’arroganza di anticiparlo e di spiegare i deboli riflessi di tale mistero come
una spiegazione logica ed esaustiva.
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{Paolo Castellina} ▲
Caro Nicola, ho letto il tuo messaggio per Evangitalia [►
Atti 13,48 e la teologia riformata] e ne ho approvato
la pubblicazione. Confesso, però, di essere un po’ preoccupato, perché potrebbe
causare le solite polemiche che spesso esplodono su questa lista fra cristiani
riformati e gli altri. Come sai questa Mailing List riflette ufficialmente le
posizioni calviniste (è affermato chiaramente sulla sua
homepage) e quindi attacchi a questa posizione teologica dovrebbero
essere molto bene esplicitati evitando attacchi personali e conservando uno
stile «accademico».
Quanto affermi nell’esordio del tuo messaggio non lo
ritengo accettabile. Contesto decisamente che la teologia calvinista sia basata
su presupposti filosofici estranei alla Scrittura, anzi, la sua storia basa le
sue posizioni sulla rigorosa esegesi delle Sacre Scritture, com’è dimostrato da
una catena ininterrotta di esegeti riformati antichi e moderni. Il giudizio che
fai, poi sul passaggio che ha fatto il «carismaticista» da un’ideologia
all’altra, lo ritengo del tutto inopportuno e ingiusto. Il movimento calvinista
antico e moderno è un movimento del tutto trasversale alle varie denominazioni
cristiane. Chi vi è giunto, è arrivato alla persuasione che sia biblicamente
corretto partendo dalle posizioni più diverse.
Speriamo quindi che questo intervento non «incendi»
nuovamente questa Mailing List... Potresti però proporre le tue argomentazioni
in un nostro altro forum molto qualificato dal punto di vista teologico:
http://pattodigrazia.informe.com/.
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{Nicola Martella} ▲
Caro Paolo, grazie della tua e-mail. Spero che la pubblicazione del mio invito
alla lettura su «Evangitalia» non abbia procurato inutili diatribe. Ritengo
comunque positivo, se e quando i cristiani rispettosi della Bibbia si parlano;
il male peggiore è oggigiorno l’apatia, la superficialità e la «droga» del
consumismo e del materialismo. Per lungo tempo ho resistito ai lettori che mi
hanno posto quesiti sul calvinismo, sulla «teologia del patto» unico, sui
Riformati e sull’approccio riformato alla Scrittura. Nonostante le mie
resistenze, almeno un paio di loro non hanno mollato e sono ritornati
regolarmente alla carica. Lungi da me dal disconoscere i meriti di molti
evangelici calvinisti e riformati. La questione riguarda l’approccio alla
Scrittura e io distinguo al riguardo due approcci maggiori:
■ 1. L’approccio
puramente esegetico: Si appura mediante una corretta esegesi testuale
che cosa la Bibbia dica, in tutte le sue sfaccettature, su un certo tema o su
una certa questione, e perciò si modifica di conseguenza il proprio modo di
pensare e il proprio comportamento. L’esegeta purista accerta quindi sempre
tutto lo spettro di una questione, non dovendo egli difendere nessuna tesi o
posizione particolare, e così facendo tiene presente i singoli contesti
(storico, letterario, culturale) e lo sviluppo della rivelazione. Gli «aspetti
polari» di una questione (p.es. elezione e responsabilità dell’uomo) vengono
lasciati così come sono, senza tentare una scelta discriminante e senza tentare
una sintesi. ■ 2. L’approccio
dottrinale: Nella contingenza storica si parte da una concezione
dottrinale (spesso contrapposta ad altre e formulata in contrasto con esse) e la
si sostiene con versi biblici, per poi spiegare (mediante il consenso) la Bibbia
in quei brani nel senso della dottrina particolare; in tal modo, tali testi
vengono «imbrigliati» a favore della tesi di base. Un approccio dottrinale
specifico nasce quindi sempre in una data contingenza storica (lo insegna la
storia della chiesa e dei dogmi), spesso come reazione ad altri approcci
dogmatici, ritenuti pericolosi per la fede biblica, e a movimenti settari (a ciò
si devono ad esempio le «dichiarazioni di fede»). È chiaro, che per contrastare
ciò che si ritiene un male, si evidenziano volentieri aspetti contrapposti a
esso. In tale logica è comprensibile che un Lutero — combattendo la dottrina
della salvezza per opere della chiesa romana — abbia definito la lettera di
Giacomo come una «epistola di paglia». La polemica dottrinale porta spesso con
sé polarizzazioni varie. Una volta formulata una «sovrastruttura dottrinale»,
essa si reggerà sul consenso e discriminerà tutte le altre sovrastrutture
(aspetto esterno) e isolerà chi fa obiezioni e osservazioni critiche (aspetto
interno). Ogni «sovrastruttura dottrinale», se spinta all’eccesso o se si trova
in una ambiente di grande militanza interna e di contrasto esterno, sviluppa le
caratteristiche tipiche di una «ideologia religiosa» e di un «integralismo
religioso»; in tali casi, si mostrerà allora combattiva e missionaria verso
l’esterno e intollerante verso l’interno.
Al
secondo approccio ascrivo tutti gli «ismi», che considero «sovrastrutture
dottrinali», quindi — oltre alla concezione cattolica e carismatica qui da noi —
anche le concezioni escatologiche (amillenarismo, dispensazionalismo, ecc.), la
«teologia del patto unico», la «doppia predestinazione», l’arminianesimo, la
«teologia della sostituzione», ecc.
È chiaro che per un esegeta purista ogni
«sovrastruttura dogmatica» è sospetta (qualunque essa sia); questo ha a che fare
con il tipo d’approccio alla Scrittura. Non è quindi una questione che mina la
stima verso i singoli credenti, a qualunque «ismo» essi aderiscano (calvinismo,
arminianesimo, dispensazionalismo, ecc.). Ritengo inutile ripetere qui in
dettaglio tutto ciò che ho già scritto nelle mie opere (specialmente vari
articoli nel «Manuale
Teologico dell’Antico Testamento» [riguardo agli approcci alla Scrittura] e in
«Escatologia
1-2» [riguardo agli aspetti escatologici]; per la lista dei
riferimenti bibliografici precisi, si veda
sopra).
Avendo una certa «allergia» per tutte le
«sovrastrutture dogmatiche» e una preferenza endemica per la pura esegesi, cerco
in genere di evitare di essere trascinato in polemiche di natura dottrinale, in
cui si confrontano opposti «ismi» (p.es. arminiani e calvinisti). La verità non
può essere appurata per «tesi» e «antitesi», ma solo con un’esegesi accurata
senza paraocchi dottrinali. Ribadisco qui la stima per ogni cristiano sincero e
ubbidiente alla Parola di verità, ed esprimo qui la convinzione che i cristiani
biblicisti abbiano in comune più di quanto possa mai differenziarli.
Una nota al margine. Un credente mi ha messo al corrente di aver letto la risposta di Paolo
Castellina a questo contributo nel Forum
http://pattodigrazia.informe.com/. Devo ammettere che
sono rimasto meravigliato. Non è certo un modo leale e trasparente per portare
avanti un colloquio franco e rispettoso. Che il sito «Fede controcorrente» non
sia abbastanza eletto per l'intellighenzia riformata? |
►
Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata 2 {Nicola Martella}
►
La predestinazione dell’individuo, figlia d’una cultura umanistica {Nicola Berretta}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Sovrastrutture_calvinismo_MT_AT.htm
12-07-2007; Aggiornamento: 26-09-07
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