Una lettrice ci
ha presentato le seguenti questioni.
Ciao Nicola, ti
scrivo riguardo ai «dolori di crescita» di un altro lettore. [►
Problemi di crescita d’un credente novello]
È scritto: «Il bene che voglio non lo faccio e il male che non voglio lo
faccio». Nel mio caso il male che faccio, è stato di allontanarmi
dalla lettura e dalla preghiera personale con Dio, con la conseguente perdita
del sorriso che mi caratterizza quasi sempre, e l’arrivo di malumori e
insoddisfazioni. E queste leggi contrastanti tra polvere e luce sono
davvero forti, mi lasciano delusa, perché credevo d’essere a buon punto del mio
cammino (nonostante sia una neonata).
S’aggiungono pertanto sensi di colpa. E, come se non bastasse, tutti i
problemi quotidiani d’una famiglia normale improvvisamente sembrano
giganteschi e assumono forma di punizione o di non esaudimento di preghiere
fatte col cuore per il bene dei miei cari. E qui s’instaura un circolo
vizioso nel quale mi sento imbrigliata, con il risultato d’una costante
insoddisfazione e d’una pessima testimonianza in famiglia.
I miei cari fratelli m’incoraggiano continuamente alla comunione. Ma, guarda
caso, il periodo estivo mi costringe a lavorare di domenica e, come se
non fossi io a decidere, quando ho il pomeriggio libero, perché finisco il
lavoro verso le 14.30, mi sento sfinita, e qualcosa in me mi dice che mi merito
un po’ di
riposo all’ombra del mio giardino in fiore, col canto degli uccellini e il
vento fresco, tanto silenzio e mio marito, che vedo poco, che mi fa le
coccole... È una situazione tentatrice e tanto allettante, ma quasi
sempre cedo... È questa la mia colpa? Cosa devo fare? È pigrizia o bisogno di
riposo? È un riposo fisico ma non spirituale, come faccio a scegliere? Sono
davvero scoraggiata e sto facendo il contrario di quello che mi dice la
Parola: «Siate allegri nella speranza, pazienti nell’afflizione, perseveranti
nella preghiera», «rallegratevi nel Signore, vi ripeto rallegratevi nel
Signore».
Anche se vedo i miei fratelli costantemente e studiamo insieme, ho tanto
desiderio di sentire nel mio cuore quella gioia di qualche tempo fa. Sono
molto
confusa. Alcuni mi dicono che è stress, altri che mi faccio peso dei
problemi lavorativi di mio marito, altri ancora del malcontento adolescenziale
di mio figlio. Se puoi rispondimi. {Daniela Ferro; 27 maggio 2009}
Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
Volere e fare
È vero che Paolo parlò di tale dilemma (Rm 7,19) per illustrare che il
peccato nelle nostre viscere è una potenza che contrasta con la nostra volontà e
può renderci infelici (vv. 20-24). Egli riuscì però a ringraziare Dio,
nonostante tale dilemma (v. 25), basandosi sulla giustizia di Cristo e
camminando «non secondo la carne, ma secondo lo Spirito» (Rm 8,1-4).
Perciò mostrò che alla base di una vita vittoriosa, nonostante che siamo nella
carne, c’è la decisione di funzionare — lo dico con una metafora cibernetica —
secondo il «sistema operativo» dello Spirito e non della carne (vv. 9ss). O
detto con le parole dell’apostolo: «Noi siamo debitori non alla carne per
vivere secondo la carne… ma se mediante lo Spirito mortificate gli atti del
corpo, voi vivrete» (vv. 12s). Pur trovandoci nella carne, la soluzione
è quindi quella di «funzionare» mediante lo Spirito Santo, secondo la chiamata
ricevuta, lo status di figli di Dio a cui s’appartiene ora, in vista del
compimento delle promesse divine (vv. 14-25) e con la forza e il sostegno che ci
vengono dal Signore e dal suo piano meraviglioso per noi (vv. 26-39). Elencando
una serie di agenti ostili per il credente (vv. 31-39), Paolo poté affermare: «In
tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha
amati» (v. 37).
La logica
conseguenza
Per il credente non c’è uno stato neutrale, una marcia a folle: se non si decide
con volontà di funzionare con il «sistema operativo» dello Spirito, si innesta
automaticamente e senza preavviso quello della carne. I risultati sono
ovviamente di conseguenza. Se non si cura una comunione costante col Signore,
una devozione personale o, come la chiamo io in «Entrare
nella breccia» (pp. 80-84. 258s), una «dieta biblica» — prima ci
accorgiamo noi del deserto del nostro cuore, poi quelli che ci stanno più vicini
e, infine, anche gli altri. Come dice il proverbio, non si può avere «la botte
piena e la moglie ubriaca» o, tradotto in parole bibliche, non si può camminare
a proprio arbitrio ed essere ripieni di Spirito e del suo frutto.
La lettrice, una credente giovane nella fede, se ne rende conto da sé, parlando
riguardo a tale circolo vizioso, il cui frutti sono perdita del sorriso,
malumori, insoddisfazioni, delusioni, sensi di colpa, problemi vissuti come
punizione, pessima testimonianza…
Scelte di fondo
Che gli altri credenti ci incoraggino alla comunione è positivo, come pure i
momenti in cui essi ci invogliano a studiare la Bibbia insieme. Ciò non può
sostituire una devozione personale viva e costante. La vita è chiaramente piena
di problemi e Gesù stesso parlò delle tribolazioni che i suoi seguaci avrebbero
avuto nel mondo, incoraggiandoli a non perdersi d’animo (Gv 16,33). Chiaramente
ci vogliono anche momenti di relax. Alla base di tutto, però, è necessaria una
decisione di fondo: mettere Dio al primo posto nella propria vita o meno,
cercare dapprima il regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,33) o no. Dio non si
accontenta dei nostri ritagli e non sta al servizio del nostro arbitrio. Non si
può voler funzionare a proprio piacere — cercando soprattutto un ameno riposo,
le coccole matrimoniali, e quant’altro, tutte cose legittime se praticate al
momento giusto — e poi volersi sentire riposati, caricati spiritualmente,
edificati e incoraggiati. O il letto fatto o la gelosia d’amore, recita un altro
proverbio.
Risucchiati dal
futuro o dal pantano
Come ha già evidenziato la lettrice stessa, citando brani biblici (dico: beato
chi lo sa, ma ancor più beato chi lo fa!), la gioia è nel Signore, ossia
in relazione a Lui, e nella speranza (Rm 12,12; Fil 3,1.4), ossia
nell’attesa del compimento delle promesse di Dio. Chi non è in attesa, non
veglia e s’impantana nei piaceri o nelle preoccupazioni della vita; e magari
cerca di riempire il vuoto con surrogati che non saziano.
Ha detto qualcuno che la parola d’incoraggiamento nessuno se la può dire da
solo; lo stesso vale per l’edificazione, l’esortazione, l’ammonizione, eccetera.
Per questo necessitiamo della famiglia spirituale. Ripeto anche qui un mio
motto: «Il tizzone lontano dal fuoco si spegne lentamente e neppure se ne
accorge!».
Ritorno alle
origini o atrofia
La gioia per il credente è l’efflusso del ravvedimento e dell’ubbidienza al
Signore (cfr. Sal 4,7; 51,8); la pace è frutto della giustizia (Is 32,17; Gcm
3,18). La confusione è sempre la logica conseguenza di non tagliare «rettamente
la Parola della Verità» (2 Tm 2,15). Entrando nel nuovo patto, abbiamo
accettato Cristo, oltre che come Salvatore, come Signore della nostra vita; è
nostro dovere mantenere la nostra parola d’onore, affinché Dio mantenga la sua
(cfr. Gn 18,19; Dt 11,13ss; 1 Re 2,3s).
Stress, problemi, difficoltà e quant’altro sono questioni reali. Quando però
siamo stati innamorati, essi non sono stati mai un serio ostacolo, ma una sfida
maggiore. Così è con le cose del Signore. Al conduttore della chiesa di Efeso
Gesù disse fra altre cose: «…ho questo contro di te: che hai lasciato
il tuo primo amore. Ricordati
dunque dove sei caduto, e ravvediti, e fa’
le opere di prima; se no verrò a te, e rimuoverò il tuo candelabro [=
chiesa locale] dal suo posto, se tu non ti ravvedi» (Ap 2,4s). Dio ci chiede
quindi di far rinverdire il nostro «primo amore» verso di Lui. Ciò che non si
rinnova, si atrofizza… o diventa tutta apparenza senza sostanza.
►
Problemi di crescita d’un credente novello
{Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Dolor_cresce_carne_SS_EdF.htm
29-05-2009; Aggiornamento: 03-09-2009
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