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1.
Entriamo in tema
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2.
Il piano personale
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3.
Il piano istituzionale
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4.
Aspetti conclusivi
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5.
Disciplina per gli altri ministeri |
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1.
ENTRIAMO IN TEMA: Nei
rapporti interpersonali bisogna distinguere il piano personale e quello
istituzionale. Se all’uno si applicano le prerogative dell’altro, non solo si
commettono madornali errori, ma si compiono ingiustizie e le conseguenze sono
imprevedibili e pesanti.
Il piano personale è quello normale dei rapporti di un credente biblico
qualsiasi col suo prossimo. Il piano istituzionale è quello che riguarda
la relazione fra guide della chiesa, fra missionari fondatori e conduttori o fra
conduttori e la comunità; esso riguarda specialmente l’esercizio dell’autorità,
il comportamento morale di chi detiene un ufficio o esplica un ministero
pubblico e anche il contenuto del suo insegnamento.
Sia l’AT che il NT distinguono questi due piani. Quando il buonismo dei
cristiani li confonde, produce oltre alla tirannia, un cristianesimo debole, in
cui i superbi trionferanno, ammantandosi magari con l’esercizio di una devozione
particolare di tipo legalistico o mistico. Ad esempio, non basta che un
conduttore, che esercita un abuso di potere o non si attiene
all’insegnamento biblico, chieda scusa in privato alla persona vittima
dell’illecito. Egli è una persona pubblica e deve rendere conto pubblicamente
dei suoi atti.
Qui di seguito trattiamo il particolare caso dei conduttori di chiesa (episcopi
o sorveglianti, presbiteri o anziani). Per sgombrare il campo da possibili
fraintendimenti, faccio notare che i principi risultanti da tale analisi biblica
e da tale disquisizione si applicano chiaramente a chiunque detiene un
ufficio pubblico nell'opera di Dio, secondo le funzioni ministeriali
indicate dall'apostolo Paolo: «E lui ha dato gli uni come missionari
[fondatori = apostoli]; e altri, come proclamatori [= profeti]; e altri, come
araldi [= evangelisti]; e altri, come curatori d’anime [= pastori] e insegnanti
[= dottori]» (Ef 4,11). A loro si aggiungono chiaramente anche i «servitori»
(= diaconi),
ossia i collaboratori o responsabile settoriali, i quali sono
menzionati subito dopo i conduttori in 1 Timoteo 3. [►
5.]
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2.
IL PIANO
PERSONALE: Per piano personale intendiamo i rapporti generali di
un credente verso il suo prossimo nella vita comune di tutti i giorni.
■ Antico Testamento: Porto qui un solo esempio, tratto dal Levitico: «Non
odierai il tuo fratello in cuor tuo;
riprendi pure il tuo prossimo, ma non ti caricare d’un peccato a motivo
di lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo,
ma amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,17s).
La soluzione di una controversia interpersonale era condizionata dalla
riparazione
materiale o immateriale del danno subito, aggiungendo l’indennizzo prescritto
(Lv 6,2-5; Nu 5,6s).
■ Nuovo Testamento: Qui Gesù istruì i suoi discepoli riguardo a come
affrontare le questioni interpersonali sul piano generale. Nella legge regale,
in un tipico contesto giudaico, dopo aver dato l’insegnamento di base (Mt
5,20ss), concluse: «Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare,
e qui ti ricordi che il tuo fratello ha
qualcosa contro di te, lascia qui la tua offerta dinanzi all’altare, e
va’ prima a riconciliarti col tuo
fratello; e poi vieni a offrire la tua offerta» (vv. 23s).
Nella prospettiva della futura ekklesia o assemblea messianica, Gesù
insegnò la
proceduta di base da seguire per addivenire alla risoluzione dei
conflitti: «Se poi il tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e riprendilo
fra te e lui solo. Se t’ascolta,
avrai guadagnato il tuo fratello; ma, se non t’ascolta, prendi con te ancora
una o due persone, affinché ogni
parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni. E se rifiuta
d’ascoltarli, dillo alla chiesa; e
se rifiuta di ascoltare anche la chiesa, sia per te
come il pagano e il pubblicano. Io
vi dico in verità: Se voi legherete
qualsivoglia sulla terra, sarà legato nel cielo; e se voi
scioglierete qualsivoglia sulla
terra, sarà sciolto nel cielo» (Mt 18,15.18). Anche i versi, che seguono
(19-22), appartengono a questo contesto; «due di voi sulla terra s’accordano»,
«due o tre sono radunati nel nome mio», numero di volte da perdonare,
compresa la parabola e sua conclusione vv. 23-35).
Anche gli
apostoli, basandosi sulle parole di Gesù, diedero indicazioni simili (1 Cor
5,11s; 6,1-8).
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3.
IL PIANO ISTITUZIONALE: Per
piano istituzionale intendiamo specialmente i rapporti specifici, che legano un
conduttore a un eventuale missionario fondatore, ad altri conduttori,
alla comunità e ai suoi singoli, nell’esercizio delle sue funzioni, della sua
autorità, delle sue decisioni e dei contenuti del suo insegnamento dottrinale.
È chiaro che la gestione degli abusi sul piano istituzionale non può essere
affrontata come quelli sul piano personale. Sebbene ambedue questi piani
contemplino delle sanzioni, gli abusi sul piano istituzionale prevedono anche
particolari
aspetti pubblici.
Oltre all’aspetto, in cui sono coinvolte le guide, qui rientrano anche i casi,
in cui
singole persone hanno causato pesanti conseguenze materiali o immateriali
alla collettività. Per far comprendere le questioni, riporto un esempio tratto
dall’AT e uno del NT. Nel caso di Achan, dopo la sua individuazione, non
è bastata la sua confessione privata dinanzi alle guide del popolo né il suo
eventuale pentimento, ma ha dovuto subire un processo pubblico e pesanti
sanzioni per sé e la sua famiglia (Gs 7; 22,20; 1 Cr 2,7). Nel NT troviamo il
caso di Anania e Saffira (At 5,1-11). È interessante notare che, essendo
avvenuto tutto pubblicamente (cfr. 4,35.37), Pietro non chiamò Anania (e
successivamente Saffira) da parte per rimproverarli in privato, ma li affrontò
davanti a tutti, dove pure avvenne il pesante giudizio.
3.1.
ANTICO TESTAMENTO: Dei tanti casi faccio riferimento ad alcuni
particolari.
■ Maria (e Aaronne): Un primo caso fu costituito dalla messa in
discussione dell’autorità di Mosè da parte di due persone di rilievo, che erano
pure suo fratello e sua sorella. Maria aveva una forte personalità carismatica
(Nu 26,58; Mi 6,4 Mosè, Aaronne e Maria) e l’esercitava nel bene (Es 15,20) e
nel male (Nu 12,1ss). È probabile che fu lei a istigare Aaronne. Essi
presero come
pretesto il fatto che Mosè aveva preso una moglie cuscita (Nu 12,1), per
screditare Mosè come guida unica e per accreditare se stessi (v. 2). Essendo la
cosa pubblica, non fu risolta in privato o in famiglia, secondo il proverbio «i
panni sporchi si lavano in casa», ma pubblicamente e alla presenza dell’Eterno
(vv. 3s). Pubblicamente Dio difese il suo servo Mosè, rimproverò Aaronne
e Maria (vv. 6ss) e colpì Maria, quale istigatrice, di un ripugnante morbo
cutaneo (vv. 9s). Aaronne non fu colpito per non squalificarlo nella sua
funzione sacerdotale, ma il suo giudizio fu solo rimandato. Nonostante la
confessione di Aaronne e l’intercessione di Mosè, Maria dovette rimanere
rinchiusa fuori del campo sette giorni, prima di essere guarita (vv. 11-15),
portando così la vergogna pubblica. La cura funzionò, poiché da lì in poi
nel Pentateuco non si sente più parlare di Maria come avversaria di Mosè (Nu
20,1 morte; Dt 24,9 suo giudizio come paragone). [Per l’approfondimento si veda
Augusto Melini, «I veri motivi di molte
divisioni», in Nicola Martella (a cura di),
Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce,
Roma 2001), pp. 112-115].
■ Datan, Abiram e soci: Il levita Kore e tre discendenti di Ruben (egli
era il primogenito di Giacobbe), Datan, Abiram e On vollero far valere i loro
presunti diritti di capi e sacerdoti del popolo. Coinvolsero altri 250 «principi
dell’assemblea, membri dei consiglio, uomini di grido» (Nu 16,1s), e si
radunarono contro Mosè e contro Aaronne (v. 3). Anche qui la questione non fu
risolta in un consiglio privato, a porte chiuse, o in una riunione di tutti i
capi, ma pubblicamente dinanzi all’Eterno, svolgendo proprio le funzioni che
essi arrogavano a sé (vv. 4-7). In un incontro preliminare con tutti i Leviti,
Mosè difese il sacerdozio di Aaronne dinanzi alle pretese del levita Kore di
essere come lui (vv. 8-11). In un incontro particolare, ma non privato (essi
avvenivano sempre alla presenza di tutti i capi), ingiunto da Mosè con Datan e
Abiram, essi non andarono, ma si ostinarono e accusarono Mosè come capo e guida
(vv. 12ss). Si arrivò quindi all’assemblea pubblica, in cui i dissidenti
si appressarono a fungere da sacerdoti del Signore (vv. 16-27). Il giudizio fu
pesante da parte dell’Eterno per loro e le loro famiglie (vv. 28-35).
Tale evento fu oggetto di un salmo storico a memoria di tutte le generazioni: «Furono
mossi a invidia contro Mosè nel
campo, e contro Aaronne, il santo dell’Eterno. La
terra s’aprì, inghiottì Datan e coperse il sèguito d’Abiram. Un fuoco
s’accese nella loro assemblea, la fiamma
consumò gli empi» (Sal
106,16ss).
Il sacerdozio aaronitico fu poi confermato, una volta per sempre, mediante
l’ordalia delle verghe (Nu 17).
3.2.
NUOVO TESTAMENTO: Anche qui dei tanti casi faccio riferimento ad alcuni
particolari.
■ Aspetti dottrinali: Quando veniva toccata la sostanza dell’Evangelo,
Paolo non aveva scrupoli a scrivere lettere a singole chiese (p.es.
Corinto), a gruppi di chiese (p.es. Galati) o a tutte le chiese (p.es. circolare
chiamata «agli Efesini»). Un gravissimo problema, che l’apostolo affrontava
spesso senza sconti per nessuno, era costituito dai Giudei cristianizzati, che
arbitrariamente si introducevano nelle chiese, usurpando spesso posizioni di
guida e predicando un altro Evangelo pieno di legalismo (Gal 1,6-9) e/o
misticismo (2 Cor 11,3s.13ss). Chiaramente Paolo affrontò le questioni anche
di persona, recandosi in tali chiese (2 Cor 13,1ss).
Il vizio di giudaizzare nelle chiese a maggioranza gentile, in certe occasioni,
diventava pressante per i cristiani giudaici. Quando Cefa (= nome giudaico di
Pietro) arrivò ad Antiochia, si comportò dapprima in modo normale con i
credenti gentili, ma dopo l’arrivo di emissari di Giacomo («quelli della
circoncisione»), cominciò a giudaizzare, trascinando nella simulazione altri
Giudei e perfino Barnaba (Gal 2,11ss). Paolo, visto che essi «non procedevano
con dirittura rispetto alla verità dell’Evangelo», non cercò di affrontare
la situazione in modo privato, ma disse «a Cefa in presenza di tutti:
“Se tu, che sei Giudeo, vivi alla gentile e non alla giudaica, come mai
costringi i Gentili a giudaizzare?...» (v. 14ss).
■ Abuso di potere: A quel tempo gli apostoli formavano delle squadre
missionarie
e fondavano chiese; famose sono rimaste le squadre che Paolo fondò con Barnaba e
con altri, per questo parlò spesso col «noi». Meno conosciute sono le squadre
degli altri apostoli (= missionari). Nella terza sua epistola anche Giovanni usò
il «noi» nella relazione con una certa chiesa e il suo conduttore. È quindi
molto probabile che erano stati proprio Giovanni e la sua squadra a fondare tale
comunità. Sta di fatto che un certo Diotrefe cercò d’avere il primato fra
i fratelli (3 Gv 1,9). L’apostolo aveva scritto alla chiesa per potersi recare
in essa ai fini di istruzione ed edificazione, come allora succedeva (cfr. i
predicatori itineranti nei vv. 8s). Tuttavia, Diotrefe, abusando del suo
potere, non riceveva Giovanni e la sua squadra, al contrario, «e non
contento di questo, non riceve egli
stesso i fratelli e ostacola
coloro, che vogliono [farlo], e li caccia
fuori della chiesa» (v. 10b). Stando così le cose, all’apostolo
Giovanni non rimaneva che una sola opzione, ossia affrontarlo personalmente e
pubblicamente: «Perciò, quando vengo, io riporterò a memoria le opere,
che fa, blaterando contro di noi con male parole» (v. 10a).
■
Conduttori sotto disciplina: Differentemente dalla sciatteria odierna, nel
primo secolo i missionari fondatori e le loro squadre detenevano una
paternità e un’autorità sulle chiese fondate. I fondatori sentivano il diritto e
dovere di intervenire in situazioni, in cui i conduttori venivano accusati
per questioni dottrinali e morali. Certo, considerando la situazione odierna dei
conduttori di certe comunità verso i missionari fondatori, sembra di stare su un
altro pianeta. È successo diverse volte qui in Italia che un missionario,
dopo aver fondato una comunità e aver poi istaurato dei conduttori locali nella
chiesa, ha sperimentato da parte loro come è stato progressivamente
emarginato e destituito d’ogni autorità e d’ogni ministero in tale chiesa
locale, fino a quando, amareggiato e depresso, non si è allontanato da essa per
non rendersi colpevole (1 Cor 3,17), ossia per non essere motivo di spaccature
nell’opera da lui fondata.
Tornando al NT, vediamo quali istruzioni diede il missionario fondatore
in merito a tali cose al suo collaboratore Timoteo. Dopo aver evidenziato
l’onore e il diritto al sostegno dei conduttori «che faticano nella parola e
nell’insegnamento» (1 Tm 5,17s), gli ingiunse di applicare la seguente
norma: «Non ricevere accusa contro un anziano, se non con due o tre
testimoni. Quelli che peccano, riprendili in presenza di tutti, affinché
anche gli altri abbiano timore» (vv. 19s).
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4.
ASPETTI CONCLUSIVI: Abbiamo
visto che nella Bibbia il piano personale veniva distinto da quello
istituzionale. La confusione di questi due piani porta sempre a gravi
danni nelle chiese. In nome di un buonismo cristianizzato si affrontano
in privato questioni, che non riguardano soltanto il rapporto fra due credenti
qualsiasi, ma che attengono alla sfera pubblica della chiesa locale, alla linea
dottrinale, alla gestione dell’autorità e alla moralità dei conduttori. Laddove
ci sono abusi di potere e tutto viene ammantato da un certo
devozionalismo, i superbi ritengono che possono andare avanti nel loro arbitrio,
credendo che basti controbilanciarlo con una certa spiritualità mista ora
ad autoritarismo, ora a umiltà ben recitata, se non addirittura con una
devozione misticheggiante, proprio come a Corinto.
Tuttavia, a lungo andare, a essere in pericolo è proprio la testimonianza e la
comunità stessa. Sebbene Dio sia longanime, Egli non riterrà l’empio per
innocente (Es 34,6s). Il Signore Gesù, scrivendo ai conduttori di sette
chiese
dell’allora provincia romana Asia, indicò che il loro comportamento avrebbe
portato serie conseguenze sul destino della loro chiesa locale. A uno disse: «Io
ti vomiterò dalla mia bocca» (Ap 3,16), ossia io ti
ricuserò come conduttore. A un altro annunziò l’eventualità che la sua
comunità si estinguesse per suo ordine: «Ricordati dunque dove sei
caduto, e ravvediti, e fa’ le opere di prima; se no, verrò a te, e
rimoverò il tuo candelabro dal suo
posto, se tu non ti ravvedi» (Ap 2,5). Che i candelabri siano chiese locali,
lo spiegò lo stesso Gesù: «Le sette
stelle sono gli inviati [= rappresentanti, responsabili] delle sette
chiese, e i sette candelabri sono
le sette chiese» (Ap 1,20). [Per l’approfondimento si veda in Nicola
Martella (a cura di),
Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce,
Roma 2001) e nell’articolo «La conduzione
quale chiave per l’unità» il punto «4.3. Le lettere alle sette chiese», pp. 35s.
Sulla struttura formale di tali lettere si veda Nicola Martella, «L’Apocalisse»,
Dall’avvento alla parusia, Panorama del NT 1 (Fede controcorrente, Roma
2008), pp. 212.]
Abbiamo visto che gli abusi sul piano istituzionale prevedono anche
aspetti pubblici. Laddove i conduttori hanno commesso precisi misfatti,
abusando del loro potere verso la chiesa, verso altri conduttori o verso il
missionario fondatore, non basta il ravvedimento privato durante una riunione a
quattr’occhi o un consiglio di chiesa, ma ci vuole una confessione pubblica
dinanzi all’intera chiesa locale. Laddove ciò succeda, tale conduttore deve
rimettere il suo mandato; deve inoltre aspettare che la chiesa si raduni in
pubblica assemblea (senza di lui) per decidere sul proseguo del suo ministero o
sulle sanzioni da adottare. L’assemblea nel suo insieme rimane sovrana rispetto
ai propri conduttori.
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5.
DISCIPLINA PER GLI ALTRI MINISTERI : In questo
articolo abbiamo trattato il particolare caso dei conduttori di chiesa,
comunque essi vengano oggi chiamati (anziani, pastori, reverendi, episcopi,
presbiteri). Abbiamo visto che, di là dai brani specifici che parlano
espressamente dei conduttori, vari brani dell'AT e del NT si adattano in
generale a qualunque persona, che detiene un ufficio pubblico nell'opera
di Dio: missionari, proclamatori ispirati nella chiesa (cfr. 1 Cor 14,3), araldi
dell'Evangelo, curatori d’anime e insegnanti (Ef 4,11). Ciò vale chiaramente
anche per chiunque svolga la funzione ministeriale di conduttore e di
«servitore», ossia di collaboratore o responsabile settoriale (1 Tm 3; Tt 1).
Ciò vale quindi anche per i
missionari, sia per quelli fondatori di chiese, sia per i «missionari di
scopo», ossia che sono mandati in missione con un particolare scopo, ma diverso
da quello di fondare direttamente chiese. Per estensione ciò si applica a
chiunque abbia ricevuto un mandato
di servire in un aspetto particolare dell'opera (p.es. scuole bibliche, librerie
cristiane, assistenza medica, corsi biblici, editoria cristiana, campeggi
cristiani, ecc.). Ciò vale anche per quelli che in certi ambienti vengono
chiamati «servitori del Signore», alcuni dei quali fondano chiese e altri
fanno i predicatori itineranti.
►
Piano personale e istituzionale dei conduttori? Parliamone
{Nicola Martella} (T)
►
Dinamiche patogene nel rapporto fra missionari e conduttori {Nicola Martella} (A)
►
Dinamiche patogene nel rapporto fra missionari e conduttori? Parliamone {N. Martella} (T)
►
Apostoli oggi? {Francesco Bozzi} (A)
►
Apostoli oggi nella «Chiesa dei Fratelli»? {Nicola Berretta} (A)
►
Il rapporto fra missionari e conduttori nell’opera di Dio {Nicola Martella} (T)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Conduttori_pers_istituz_UnV.htm
01-10-2010; Aggiornamento: 12-11-2010 |