Non vi sono dubbi sul fatto che l’articolo di Francesco Bozzi (►
Apostoli
oggi?) affronti un tema estremamente interessante e di importanza primaria per la Chiesa di oggi;
inoltre, mette per certi versi «il dito sulla piaga» su temi scottanti che
riguardano i rapporti non sempre idilliaci tra le comunità locali e i
servitori a tempo pieno che vi collaborano. Ancora di più, porta a rimettere in
discussione il concetto di «indipendenza della chiesa locale», uno tema
così caro alle «Chiese dei Fratelli». Se infatti si riconosce che anche oggi gli
apostoli debbano avere un ruolo nella Chiesa, quali dovrebbero essere i
confini della loro autorità? Dovrebbero cioè avere un ruolo di guida che
supera la singola comunità locale? Se sì, è ovvio che occorra porsi anche
un’altra domanda, ancora più delicata: chi li elegge?
La difficoltà di
affrontare questo tipo di domande è legata soprattutto al timore di dover
rimettere in discussione principi organizzativi «sovra-ecclesiali», che
invece in altre confessioni cristiane storiche o nell’ambiente carismatico sono
dati per scontati.
Proprio per evitare di
confondere le acque, occorre chiedersi entro quali limiti un apostolo
debba esercitare la sua autorità. Paolo molto chiaramente fa riferimento a
«limiti» nel suo campo d’azione (2 Cor 10,13-16) che presumibilmente
riguardavano quelle chiese dove lui aveva operato in prima persona, senza
sovrapporsi al lavoro altrui (cosa di cui si vanta anche in Rom 15,20). D’altra
parte il solo confronto tra libri quali 1-2 Corinzi e Colossesi ci porta a
constatare il diverso atteggiamento di Paolo, paternamente ingiuntivo (e
anche coercitivo in 1 Cor 5,3-5) verso i Corinzi, mentre verso i Colossesi porta
esortazioni di carattere più generico. Vero è che queste lettere affrontano
problematiche contingenti ben diverse, ma si comprende come Paolo si prenda
delle
libertà nei confronti della comunità di Corinto, da lui fondata, ben
diverse da quelle che si prende nei confronti dei Colossesi, della cui fede è
venuto a conoscenza indirettamente, tramite Epafra. Non credo dunque che si
possa affermare che l’apostolo debba essere una figura «automaticamente» dotata
di autorità al di sopra di qualsiasi comunità locale.
D’altra parte è anche
vero che persino coi Corinzi, sebbene spesso usi un linguaggio ingiuntivo molto
forte, l’atteggiamento di Paolo non è certo quello del «capo» che ordina di fare
determinate cose sulla base di un’autorità gerarchica data per scontata.
L’autorità apostolica di Paolo non è un’autorità che si impone automaticamente
in conseguenza di «gradi da generale affissi sul petto», piuttosto è un’autorità
che lui si è
guadagnato sul campo e che la chiesa è invitata a riconoscere attraverso
un discernimento spirituale.
Ha un senso
riconoscere, o delineare meglio, la figura dell’apostolo nelle «Chiese dei
Fratelli» di oggi? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe forse prima
chiedersi se nelle «Chiese dei Fratelli» di ieri siano mai esistiti degli
apostoli. Io credo proprio di sì. Penso a uomini di Dio come Giannunzio
Artini o Abele Biginelli. Non ho avuto il privilegio di conoscerli
personalmente, ma il loro ministero e la loro autorità spirituale travalicava la
singola comunità, di cui erano membri, il che, tra l’altro, garantiva non solo
una crescita delle singole chiese, ma anche una maggiore coesione tra le
comunità italiane. Non so se venissero «ufficialmente» considerati tali, ma, a
mio giudizio, il loro ruolo era squisitamente apostolico. Ci sono
apostoli oggi? Credo di no. Ed è un male.
Partecipa alla seguente discussione connessa: ►
Il rapporto fra missionari e conduttori nell’opera di Dio {Nicola Martella}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Apostoli_Fratelli_Ori.htm
2006; Aggiornamento: 07-08-2008
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