La questione del lettore
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Ho molto apprezzato i tuoi contributi al tema della Teologia Riformata, con
particolare riferimento alla dottrina della predestinazione. Ti dico questo, non
solo perché condivido ciò che tu hai scritto, ma anche perché mi ha aiutato a
comprendere meglio alcuni passi della Scrittura a me un po’ ostici.
Un dubbio però mi è venuto, leggendo tutti i tuoi contributi. All’inizio di
questa discussione, in uno dei tuoi scambi con Gaetano Nunnari scrivevi: «Ti
faccio presente che non sono arminiano né un sostenitore a oltranza del libero
arbitrio (tanto meno del contrario): queste sono categorie filosofico-dottrinali
che non mi toccano e non m’interessano…». I tuoi contributi hanno però espresso
una chiara presa di posizione contro la dottrina calvinista della
predestinazione, tanto che chiunque li leggesse, credo che affermerebbe una tua
adesione «di fatto» alla posizione arminiana. Capisco la tua avversione alle
etichette, per cui preferisci non averne nessuna, però dai tuoi contributi
appare abbastanza chiaro un tuo sostegno alla libertà individuale di scegliere
di credere in Cristo, o meno. Avendo messo bene in chiaro la tua avversione
all’ideologia calvinista sulla predestinazione, potresti chiarire quali aspetti
non condividi nell’ideologia arminiana? Cosa intendi quando sostieni di non
essere un sostenitore a oltranza del libero arbitrio? {Nicola Berretta;
19-09-07}
►
Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata 1 {Nicola Martella}
►
Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata 2 {Nicola Martella}
►
La predestinazione dell’individuo, figlia d’una cultura umanistica {Nicola Berretta}
La risposta ▲
Sgombriamo il campo
Quando si comprano le «azioni» di una sovrastruttura filosofica-dottrinale, si
aderisce di fatto all’intero
paradigma che essa rappresenta. Io sono allergico agli «ismi» (ideologie
dogmatiche), qualunque essi siano; preferisco la «teologia biblica» risultante
dall’esegesi accurata e rigorosa.
Come ho già avuto modo di chiarire, le filosofie dogmatiche nascono in un
certo momento storico in contrapposizione ad altre vigenti. Per contrastare le
esagerazioni dogmatiche altrui, nel giuoco dialettico si evidenziano (volenti o
nolenti) posizioni antitetiche. Perciò può succedere che il cavaliere, per paura
di cadere dal cavallo a destra, cade a manca. La polemica accesa fa sì che ci si
rifuggi in posizione diametralmente polari a quelle del proprio avversario
dogmatico.
Solo una corretta e rigorosa esegesi permette di formulare una «Teologia
Biblica», legata al metodo storico-grammaticale (quindi non alla filosofia
atemporale e atopica dei dogmatici), permette di uscire da tali giuochi
ideologici e di riconoscere la verità così come è stata trasmessa. È evidente
che chi si accosta esegeticamente alla Scrittura, riconoscerà che il cuore della
«Teologia Biblica» sono i patti di Dio, ingiunti agli uomini durante la storia.
In questi ultimi la sovranità di Dio e la libertà degli uomini sono evidenti e
scontate, poiché Dio chiama i suoi partner nell’alleanza (Gn 12) e fa loro
solenne promesse all’interno della stipula (Gn 15), ma chiede loro anche di
prendere su di sé il giogo, l’impegno all’ubbidienza e all’etica del patto (Gn
17; 26,5).
Chi non si muove all’interno della logica dogmatica (ma di quella della
«Teologia Biblica»), non possiede solo una grande libertà da sistemi e paradigmi
dogmatici, ma può apprezzare la «misura di verità» che esiste in ognuno
di loro. Allora non solo può avversare certi contenuti sia del calvinismo sia
dell’arminianesimo, ma ne può apprezzare altri. Se si vuole, sebbene io stesso
sia allergico a tali etichette, mi senso «calvinista» quanto alla dottrina della
salvezza (la rigenerazione vera o nascita dall’alto non si può annullare) e
dissento con l’arminiana perdita della salvezza. D’altro canto, devo evidenziare
— con Arminio (sono costretto dalla teologia dei patti) e contro Calvino —
l’esistenza di un «libero arbitrio» che permette agli uomini di accettare o
rifiutare la grazia di Dio (Gv 3,36). Ma come detto tale «giuoco delle
etichette» mi fa stare a disagio e m’infastidisce, poiché a ogni passo c’è il
rischio di essere incompreso e di essere pigiato in uno «schema dottrinale»
preconfezionato. Preferisco ragionare subito secondo le categorie della
«Teologia esegetica».
Per l'approfondimento si veda in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce,
Roma 2002), i seguenti articoli: «I patti e gli altri approcci», pp. 31-53 (un
confronto fra la teologia dei patti, quella del patto unico e quella delle
dispensazioni); «Sistemi teologici», pp. 332ss (sintesi parziale dell’articolo
precedente); «Teologia biblica e dogmatica: confronti», pp. 252s (i due approcci
alla Scrittura a confronto); «Teologia biblica» (approccio esegetico), pp. 353s;
«Teologia del patto e l’AT», pp. 354ss (analisi della teologia del patto unico
del calvinismo); «Teologia dogmatica», pp. 356s (approccio dottrinale).
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Il «libero arbitrio» esiste
Questa è l’esperienza che facciamo ognuno di noi nell’amministrare la nostra
vita e nel prendere decisioni. Il «libero arbitrio» si accompagna con una certa
«cornice di possibilità» (ricco o povero, uomo o donna, ecc.) e una serie di
«dipendenze» da altri o da altro, che nei bambini, nei disabili e nelle persone
anziane sono maggiori, ma da cui nessuno è eccetto (coniuge, famiglia, partner
d’affari, sistema sociale, tipo di Stato, congiuntura economica, legislazione,
ceto sociale, ecc.).
Anche nella Scrittura ci sono persone che prendono
decisioni, pregne di conseguenze, per la loro vita o, se ne hanno
l’autorità, anche per altri (Es 18,22.26). Così fa anche Dio (2 Cr 25,16). Anche
nel campo ecclesiale e missionario furono presi provvedimenti (At 15,2). Anche
Paolo dinanzi a certe situazioni prese decisioni (At 20,3).
Scegliere fa parte della vita. Ciò vale in campo socio-politico (Es
18,21.25), in quello militare (Gs 8,3), in quello economico (Gn 13,11), in
quello pratico della quotidianità e della vita (Lc 14,7), in quello religioso
(Es 12,21), in quello morale (Eb 11,25) e in quello ecclesiale (At 15,25). Anche
Dio ha fatto delle scelte durante la storia della salvezza (Dt 10,15). Anche in
campo spirituale non si può dire da parte di Dio a un singolo o a un gruppo:
«Scegli» o «Scegliete», se non si ha la facoltà di esercitare il «libero
arbitrio» e la responsabilità (Dt 30,19; Gs 24,15; 1 Cr 21,1s; Is 56,4).
Si noti che in tutti questi brani le decisioni e le scelte sono state fatte da
persone che sono in grado di farle nel loro ambito di possibilità oppure è stato
loro ingiunto di fare ciò per le stesse ragioni.
Libero arbitrio sì, ma nei limiti
È stato giustamente riconosciuto che non sono un sostenitore a oltranza del
libero arbitrio. La doppia predestinazione è di per sé un’arroganza umanistica
che pretende di sapere fin in fondo quale sia il «mistero» e il definitivo
«consiglio di Dio». La stessa cosa fanno i difensori a oltranza del «libero
arbitrio», pretendendo parimenti di esprimere una parola definitiva in merito:
l’uomo è libero comunque, dovunque e nonostante tutto. Ciò non corrisponde a
un’analisi corretta e rigorosa della Scrittura.
La filosofia dottrinale di un pieno e reale «libero arbitrio» parte da una
situazione ideale e primordiale che non c’è più dalla caduta dell’uomo in
poi. È vero che l’uomo anche dopo la caduta è «immagine di Dio», essendo questa
la dichiarazione della sua specie particolare. Ed è anche vero che laddove Dio
interpelli l’uomo, chiunque egli sia, questi è in grado di (cor)rispondergli. Ma
è una pia illusione che l’uomo, cercando la verità (ammesso che lo faccia), sia
in grado di raggiungerla.
La libertà nella Scrittura è un efflusso della
teologia dei patti e premette la rivelazione particolare di Dio all’uomo e
l’adesione di quest’ultimo al relativo patto. Sono l’incontro col Dio che libera
e i contenuti etici del relativo patto a liberare l’uomo e a guidare il suo
arbitrio in conformità con l’analisi della realtà, le ingiunzioni divine e le
sue promesse, rivelate nel patto stesso.
Abbiamo detto che la filosofia dottrinale di un pieno e reale «libero arbitrio»
parte da una situazione ideale che non esiste più. Perché una persona specifica
possa esercitare un pieno e reale «libero arbitrio», bisogna in qualche modo
ricreare una situazione ideale, mediante la rivelazione particolare di Dio o
mediante l’annuncio di essa.
Uno studio serio della Parola di Dio ci dà questo quadro dello stato reale
dell’uomo.
■ Il cuore (= ebr. mente) dell’uomo è
ingannevole (Gr 23,26) e inganna se stesso (Ab 1,3) e gli altri (Pr 12,20).
■ Il cuore dell’uomo si può ottenebrare: «L’insensato cuore loro s’è
ottenebrato» (Rm 1,21; Ef 4,17s).
■ Il cuore dell’uomo si può indurire (1 Sm 6,6), e cioè sia nei pagani
(Ef 4,18), sia anche in chi ha ascoltato la Parola o la conosce (Dt 10,16; Sal
95,8); ciò può portare a rifiutare di convertirsi all’Eterno (2 Cr 36,13) e,
anzi, a sollevarsi arrogantemente contro Dio (Dn 5,20).
■ Il cuore si può pervertire o può pervertire la condotta della persona
(1 Re 11,2s).
■ Il cuore dell’uomo si può ostinare dinanzi al comando di Dio, e ciò
riguarda sia i pagani (Es 9,7.34), sia coloro che conoscono la Parola di Dio (Is
46,12; Ez 2,4; 3,7).
■ Il cuore dell’uomo può essere sedotto (Gb 31,9.27), non solo quello
della gente pagana (Is 44,20), ma anche quello di chi conosce la verità (Dt
11,16). C’è anche la seduzione di se stessi (Gcm 1,26). Durante la seduzione la
persona non si rende conto che viene circuita oppure i suoi filtri morali sono
messi fuori uso. «E con dolce e lusinghiero parlare seducono il cuore dei
semplici» (Rm 16,18).
Ci fermiamo qui, sebbene potremmo continuare nell’analisi biblica. Si pensi alla
possibilità di essere scandalizzati, traumatizzati e abusati. In tutto questo
discorso non bisogna dimenticare
l’influenza ambientale dell’educazione, della cultura umana e religiosa e
della società. Ragazzi che sono educati cristianamente, che vivono all’interno
di una cultura biblica e in una società aperta, hanno più possibilità di capire
e accettare quella verità che li renderà liberi. Chi vive in una ambiente
superstizioso, politeista, ostile alla vita, violento, prevaricatore, ecc. avrà
decisamente più difficoltà al riguardo.
Abilitati a esercitare il «libero arbitrio»
Quanto abbiamo detto fin qua, mostra che un pieno «libero arbitrio» dell’uomo
non esiste, ma solo «misure di libertà di scelta» che variano a seconda
del soggetto e della situazione contingente. Non ci sono più le condizioni
originali. L’uomo per esercitare un relativo «libero arbitrio», deve esserne
posto nelle condizioni. Biblicamente parlando, egli ha bisogno innanzitutto di
rivelazione, di illuminamento e di verità. Si può citare al riguardo la promessa
di Gesù: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli;
32e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31s).
Come mostra la cura pastorale, una cosa è il desiderio di credere in Dio,
altra cosa è la capacità di poterlo fare in modo efficace. Persone ad esempio
legate da una dipendenza, ossessionate o demonizzate, non saranno in grado di
credere in Cristo, senza essere dapprima liberate da Lui. Per ricevere la verità
che libera, bisogna essere dapprima in grado d’intendere e di volere. A ciò
s’aggiunga che quando il «seme della Parola» cade, può trovare dei cuori
paragonabili a terreni differenti (Lc 8,11ss).
Inoltre, come abbiamo visto, anche i cuori di chi è stato illuminato dalla
Parola di Dio (Sal 19,8; Ef 1,17s) e ne ha ricevuto la rivelazione, può ancora
incorrere in pericoli vari: essere sedotto, traviato, eccetera;
altrimenti non avrebbero senso gli avvertimenti al riguardo.
Una teologia naturale è insufficiente per sostenere un pieno «libero
arbitrio», legato a un pieno riconoscimento della verità. È vero che il creato
può parlare del Creatore (Sal 19,1ss), ma è la Torà (istruzione) dell’Eterno a
essere perfetta (vv. 7s) ed è il timore dell’Eterno a dare accesso alla verità
(v. 9). È vero che «le perfezioni invisibili di lui, la sua eterna potenza e
divinità, si vedono chiaramente sin dalla creazione del mondo, essendo intese
per mezzo delle opere sue» (Rm 1,20), ma ciò non ha portato gli uomini a
riconoscere il Creatore partendo dalla creazione, ma a renderli inescusabili,
poiché tale conoscenza non ha portato alla glorificazione di Dio o alla
riconoscenza, ma a discorsi vacui, all’ottenebramento interiore, alla stoltezza
spirituale e alla perversione religiosa ed etica (vv. 21ss).
Per credere, bisogna prima ascoltare la Parola
(Rm 10,17). Ciò non è automatico, poiché si può procrastinare il tutto o
addirittura l’annuncio può diventare motivo di beffe (At 17,32). Anche riguardo
a coloro che hanno ascoltato l’annunzio della buona novella, è scritto che per
molti «la parola udita non giovò loro nulla non essendo stata assimilata per
fede da quelli che l’avevano udita» (Eb 4,2).
I credenti maturi e ubbidienti possono esercitare una grande misura di
«libero arbitrio», ma non è mai assoluto. A questo si deve la necessità di
nutrirci continuamente della Parola e di controllare in essa «se le cose stanno
veramente così». A ciò si deve anche il bisogno di esortazione e di ammonizione
reciproche. «Io vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a
presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; il che è
il vostro culto razionale. 2E non siate conformi a questo mondo, ma
siate trasformati mediante il rinnovamento del senno, affinché siate in grado di
provare quale sia la volontà di Dio: quella buona e gradita e perfetta» (Rm
12,1s gr.).
Il discernimento, di cui necessita il «libero arbitrio», non si alimenta solo
mediante l’analisi corretta della realtà delle cose (aspetto razionale), ma
necessita di altri elementi, ad esempio: la fede (= fiducia in Dio) come
«organo» di accesso a una realtà più grande (Eb 11,1ss); il timor di Dio che dà
accesso alla «sapienza» (ebr. kochmah «ordine» sia creazionale, sia
morale; Pr 1,7; 9,10); lo Spirito (gr. pneuma) di Dio, che dà una
«conoscenza pneumatica» alla realtà (1 Cor 2,11ss); la conoscenza delle
Scritture che rendono «sapiente a salute mediante la fede che è in Cristo
Gesù» (2 Tm 3,15).
L’unico a essere veramente libero è e rimane Dio soltanto. Solo lui
esercita un pieno e reale «libero arbitrio». Quello umano non è mai assoluto.
Neppure quello dei credenti. Perciò, oltre alla fede, ci vuole timor di Dio e
umiltà. Il «mistero» rimane, sia quello della grazia di Dio, sia quello
del libero arbitrio; esso risiede in Dio e nessuno è in grado di accedervi ora.
■ «Ora vediamo come in uno specchio [= rame levigato], in modo oscuro; ma
allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò
appieno, come anche sono stato appieno conosciuto» (1 Cor 13,12).
■ «Non che io lo abbia già afferrato o sia già giunto alla perfezione; ma
[lo] inseguo, semmai io possa afferrarlo, al quale riguardo anch’io sono
afferrato da Cristo Gesù» (Fil 3,12 gr.).
Aspetti conclusivi
Abbiamo visto che il «libero arbitrio» esiste, ma è pur sempre relativo. L’unico
a possederlo in modo assoluto è Dio soltanto (1 Sm 2,6ss; Sal 115,3; Dn 4,35;
5,21). La «misura di libertà decisionale» dell’uomo dipende però da fattori
costituzionali della persona, dalla fase della vita, dalla cornice contingente
in cui si è inseriti e da altri fattori (Ec 3,1ss; 11,1-6; 12,3ss.8s).
In campo spirituale e morale l’uomo necessita di illuminazione spirituale (Ef
1,18), di rivelazione scritturale (Ef 1,17; 3,3), del convincimento dello
Spirito (Gv 16,8ss) e di altri fattori (timor di Dio, fede, sapienza, maturità
spirituale), per così esercitare adeguatamente una buona misura del «libero
arbitrio». La piena misura della libertà ontologica e decisionale è musica
futura (Rm 8,21).
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Il libero arbitrio? Parliamone {Nicola Martella}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Libero_arbitrio_quanto_MT_AT.htm
22-09-2007; Aggiornamento: |