Qui di seguito discutiamo l’articolo «Salvata partorendo figli? (1 Timoteo 2,15)». Tale verso ha dato alito a
bizzarre interpretazioni e a strumentalizzazioni varie da parte di falsi
maestri e degli avversari dell’Evangelo. Invece di una introduzione più lunga
qui, rimandiamo semplicemente all’articolo di base. Anticipo, invece, qui una
domanda, che certamente verrà fatta (vedi sotto): Come mai i traduttori
delle varie versioni italiane della Bibbia, non traducono in maniera più
accurata il verbo greco sōzō con «salvaguardare, proteggere»? Ecco, qui
di seguito, la mia risposta.
Direi che alcuni traduttori sono affetti da «deformazione soteriologica»,
ossia il verbo viene semplicemente tradotto col significato più ovvio, più
prevedibile, più atteso o più «cristiano», e viene applicato in genere alla
salvezza dell’anima. Come recita un motto: «Chi ha un martello in mano, vede
tutto come chiodi». Basta prendere un dizionario di greco classico o koiné per
rendersi conto del vasto spettro di significati che ha il verbo sōzō.
Il verbo greco
sōzō non era un termine cristiano, né biblico, ma ricorreva nella vita
quotidiana e nel linguaggio profano dei popoli di lingua greca, per
descrivere le più disparate situazioni dell’esistenza. Come mostra già la
Settanta (traduzione greca dell’AT), esso venne usato per un vasto spettro
di significati storici, esistenziali e politici, che nulla avevano a che fare
con il «salvare l’anima», ma con il «soccorrere, proteggere, aiutare».
Addirittura nel NT tale verbo e i suoi derivati furono usati anche per «sanare»
(= salvare la vita; Mc 5,34 sōzō + hygiēs; D, R, NR «salvata»;
Elb, Lut, ND «guarita»); similmente avviene in altri brani a seconda della
traduzione (cfr. Mc 10,52; Lc 17,19; 18,42). È singolare che nell’episodio della
donna dal flusso di sangue, chi ha tradotto Matteo 9,22 nella Riveduta, ha
interpretato tale verbo con «guarita» (2 volte sōzō; come in Mt
15,28, dove c’è però iáomai); chi, invece, ha tradotto in Marco lo stesso
episodio, ha riportato «salvata» (+ hygiēs «guarita»)!
Anche in
latino dalla stessa radice verbale proviene salv* e san*, quindi salvare e
sanare (guarire nel senso di salvare la vita). Faccio notare che alcune volte il
termine nel testo originale per «salvare» in senso esistenziale è stato
riportato in italiano con «sano e salvo», per rafforzare l’espressione
(Gn 28,21 D, R, NR, CEI; 33,18 tutte; 1 Re 22,27s; 2 Cr 18,26s; 19,1; Lc 15,27;
At 23,24).
A titolo d’esempio,
ecco alcuni riscontri nella Settanta, in cui nel libro della Genesi
ricorre il verbo sōzō o una sua variante a traduzione dei verbi ebraici
originali:
■ «Io non posso scampare [diasōzō] sul monte prima che...» (Gn 19,19).
■ «E se ritorno sano e salvo [gr. metà sōtērίas “con incolumità,
liberazione o salvezza”] alla casa del padre mio» (Gn 28,21).
■ «La schiera, che rimane, potrà scampare [sōzō]» (Gn 32,8).
■ «Tu ci hai salvaguardato [sōzō] la vita!» (Gn 47,25), dissero gli
Egiziani a Giuseppe, il quale in tempo di carestia diede loro la semenza per i
loro campi.
■ «Io aspetto la tua salvezza [sōtērίa “soccorso, salvezza, aiuto”], o
Eterno!» (Gn 49,18).
Si potrebbe fare
tale studio in tutto l’AT e il NT, per vedere il vasto spettro di significati
che il verbo sōzō aveva a seconda del contesto. Anche nel NT si
ritrovano questi e altri significati. Di ciò bisogna assolutamente tener
presente in 1 Timoteo 2,15 nel suo contesto.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
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I contributi sul tema ▲
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1. {Edoardo
Piacentini}
▲
■
Contributo:
Il commento di Nicola è esaustivo e, a mio avviso, non c’è nulla da aggiungere e
non ci sono argomenti esposti, da cui dissentire. Solo un’applicazione
tipologica a quel verso, sperando possa essere di edificazione per chi
legge. Spesso la donna, nella Scrittura, è figura, vale a dire
rappresenta sia la chiesa locale sia la nostra anima.
Ebbene, la chiesa,
come la nostra anima, già salvata per grazia mediante la fede, deve concentrarsi
sul compito maestro, pensato per lei dal Signore e da Lui affidatole: essere
dispensatrice di vita e pedagoga dei suoi figli. Non solo la donna
cristiana, ma ogni singolo credente, come ogni comunità locale, ha questo
compito ricevuto dal Signore: predicare l’Evangelo a ogni creatura e
partorire figli spirituali da educare con l’esempio e, soprattutto,
con il consiglio della Parola di Dio, unica e sola regola di fede e di condotta
per ogni fedele. Dio ci benedica. {12-07-2012}
▬
Risposta
(Nicola Martella): Ammetto che tale tipologia applicativa è stata
inaspettata in questo contesto. È un interessante excursus, che
consideriamo come spunto di riflessione. Ora, sebbene, le cose sono formulate in
un modo non convenzionale rispetto al testo in esame (parto e pedagogia
domestica quale tipo di quelle ecclesiali), i contenuti sono accettabili. Per
una donna, allora, in vista della prevedibile vedovanza e della vecchiaia, era
la sua assicurazione sulla vita
crescere figli, che perseverassero «nella fede e nell’amore e nella santità
con costumatezza» (1 Tm 2,15). Similmente, la certezza, che nel futuro ci
sarà una sana chiesa locale, dipende dalla pedagogia cristiana, che la
chiesa attuale saprà trasmettere alla prossima generazione.
2. {Giuseppe
Domingo}
▲
■
Contributo:
Mi sento di aggiungere due paroline al riguardo. Per me, Paolo volle significare
qualcosa d’importante e verace verso la donna, madre di famiglia (anche
se ciò si riporta anche ai pastori e insegnanti delle chiese). Egli voleva
spingerla a camminare col Signore, dimostrandole la prova che, se essa è
veramente convertita e non finge di esserlo, la grazia di Dio, che è in
lei, si spanderà sul frutto delle sue viscere anche senza una data pedagogia
sofisticata. Perché nessuna pedagogia materna o altro, potrà mai
sostituire una vera conversione e santificazione di una madre, o di una
qualsiasi altra persona devota al Signore. La chiave è nella fede, carità
e santificazione, con onestà… anche della madre. Quindi, i figli stessi
riprodurranno lo stesso frutto invisibilmente trasmesso della loro madre: se lei
è vera, i figli saranno veri; invece se lei è soltanto religiosa, i figli
saranno più o meno religiosi, salvo eccezioni personali, perché la salvezza è
personale. Vi abbraccio in Cristo Gesù, cari fratelli. {12-07-2012}
▬
Risposta (Nicola Martella): Vedo che le
applicazioni derivate affascinano; si vede che servono anch’esse. Chiaramente
Paolo aveva in mente le donne credenti in questa sua epistola e in questo
capitolo (cfr. 1 Tm 2,9ss), quindi donne
convertite e dedite alla santificazione. La santificazione della madre è
certamente importante, poiché i figli imitano in genere i genitori. Essa non è
però in contrasto con una confacente pedagogia materna. Nel libro dei
Proverbi viene ricordata la disciplina (mûsar) paterna e l’istruzione (torah)
materna (Pr 1,8; 6,20); e la madre del re gli dà importanti precetti, a cui
attenersi (Pr 31,1ss). Santificazione e pedagogia biblica sono
ambedue essenziali e camminano insieme come le due assi di una macchina.
3. {Liliane
Vitanza Hoffer}
▲
■
Contributo:
Grazie, Nicola, delle tue spiegazioni. Apprezzo molto la profondità del testo
originale e vedo il pericolo nelle traduzioni. Vorrei aggiungere la
situazione di donne, che non possono partorire vita! Secondo certe
interpretazioni, queste donne non sarebbero salvate! Ringrazio Dio di aver
capito che è per grazia che sono salvata e che posso dare la vita in
senso spirituale portando le anime a Cristo. Quindi, diffido tutti gli
uomini, che interpretano in modo errato questo testo. {14-07-2012}
▬
Risposta
(Nicola Martella): Le traduzioni contribuiscono nel bene e nel male alla
formulazione di dottrine. Oltre a ciò, è importante che nelle chiese ci siano
insegnanti della Parola, che siano in grado di tagliare rettamente (= fare una
corretta esegesi) la Parola della verità (2 Tm 2,15).
Il clericalismo secolare nelle grandi denominazioni cristiane hanno relegato le
donne nelle chiese a ruoli marginali, come se la maternità e la pedagogia
materna lo fossero. Oggigiorno nelle chiesa si va all’opposto; come frutto di un
femminismo cristianizzato, le donne rinunciano a molti aspetti della
maternità e della pedagogia materna, per dedicarsi alla carriera, anche a quella
ecclesiale di primo piano, appuntandosi l’etichetta
di «pastora». [Si vedano in Nicola Martella,
Generi e ruoli 2
(Punto°A°Croce, Roma 1996), gli articoli: «La donna nella chiesa», pp. 3-8;
«Ministeri preclusi alle donne», pp. 83-102.]
Il parto dà vita ad altri, non a sé stessi, né può mai salvare alcuno, né
la madre né i figli. Dio ha un solo mezzo di salvezza: per grazia mediante la
fede. Salvare per parto, significherebbe salvare per opere; allora Dio sarebbe
in debito.
Le donne nubili o sterili possono esercitare la maternità morale verso i figli degli
altri, i bambini e ragazzi delle chiese locali, sì del mondo. La gravidanza e il
parto sono atti biologici e fisiologici limitati e circostanziati; la maternità
è un compito per la vita. [Si vedano
Generi e ruoli 2, gli articoli: «La donna che serve», pp. 67-78; «Il ministero della nubile», pp.
79-82.]
4. {Pietro
Calenzo}
▲
■
Contributo:
Carissimo Nicola; shalom. Ti ringraziamo nel Signore, per questa esegesi storica
e testuale del brano di Timoteo. Una domanda sorge spontanea: Come mai i
traduttori delle varie versioni della Parola di Dio non traducono in maniera
più accurata il verbo salvare con «salvaguardare, proteggere»? Tutto ciò,
renderebbe il testo biblico più assimilabile da parte dei lettori. Ancora
grazie, Nicola, per la magnifica ed edificante esegesi testuale. Il Signore
continui a benedirti nel tuoi ministeri e nei tuoi carismi. Un abbraccio in Gesù
Messia. Shalom. {14-07-2012}
▬ Risposta (Nicola Martella): La risposta al
quesito di questo lettore l’ho messa all’inizio di questo tema di discussione.
Rimando, quindi, a tale nota introduttiva. Le chiese investono nelle
evangelizzazioni, ma poco nella formazione di insegnanti biblici, nella ricerca
teologica e, quindi, nella traduzione letterale e accurata della Parola di Dio.
Le nuove traduzioni sono in genere abbellimenti stilistici di quelle
esistenti, non vere traduzioni dagli originali mediante una seria critica
testuale. Come non vedere che l’ultimo grande traduttore evangelico è
stato Diodati (1576-1649) al tempo della Riforma? Avete mai letto la lista
dei traduttori nelle Bibbie correnti? (p.es. Riveduta, Nuova Diodati, Nuova
Riveduta). Esse sono perlopiù una revisione linguistica della Diodati, partendo
dal testo italiano, non vere traduzioni. La Nuova Diodati, poi, assomiglia del
tutto alla inglese King James. Mi fermo qui per non andare fuori tema. [►
Traduzioni (vari articoli)]
5. {Pierluigi
Prozzo}
▲
■
Contributo:
Se interessa, riporto quanto è presente nei commenti della Bibbia di
MacArthur su tale versetto di 1 Tim 2,15.
«(Sarà salvata) È chiaro che qui Paolo non si sta riferendo a Eva dal
momento che il verbo tradotto con “sarà salvata” è al futuro e che nel greco il
verbo “persevererà” è espresso alla terza persona plurale (se persevereranno).
Paolo sta parlando dunque delle donne che sarebbero venute dopo Eva. Il verbo
“sarà salvata” è meglio tradotto con “sarà preservata”. Il verbo greco
può anche significare soccorrere, conservare protetto e incolume, guarire o
liberare da. Esso ricorre diverse volte nel N.T. senza fare specifico
riferimento alla salvezza spirituale (cfr. Mt 8,25; 9,21-22; 24,22; 27,40.42.49;
2 Tim 4,18). Paolo non sta dichiarando che le donne sono eternamente salvate dal
peccato partorendo figli, né che esse custodiscano la propria salvezza in tale
maniera. Entrambi i concetti costituirebbero una chiara contraddizione
dell’insegnamento del N.T. sulla salvezza per sola grazia mediante la fede (Rom
3,19-20) custodita per sempre da Dio (Rom 8,31-39). Paolo sta insegnando che
benché la donna porti lo stigma di strumento iniziale della caduta della razza
umana nel peccato, ella può essere preservata o redenta da quello stigma
crescendo una generazione di figli consacrati al Signore (cfr. 5,10).
(Partorendo figli) Dal momento che le madri hanno un legame e un’intimità
unici con i propri figli e trascorrono molto più tempo con loro dei padri, esse
hanno un’influenza maggiore sulle loro vite e quindi un’opportunità e una
responsabilità unica nel crescerli nel timore del Signore. Se da un lato una
donna può aver condotto la razza umana nel peccato, le sue discendenti godono
del privilegio di poter condurre i molti dal peccato alla santità. Paolo sta
parlando in termini generali, il che non significa che Dio desideri che tutte le
donne si sposino (1 Cor 7,25-40) e che tutte abbiano figli.
(Se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia)
Il pio aspetto esteriore e il contegno che le donne devono tenere nella chiesa
(versi 9-12) trova la sua motivazione nella promessa di liberazione da qualsiasi
stato d’inferiorità e dalla gioia di crescere dei figli timorati del Signore».
{14-07-2012}
▬ Risposta (Nicola Martella): In effetti, non
esiste una Bibbia di John MacArthur, ma la «Sacra Bibbia con note e commenti di
John MacArthur», come dicono gli stessi produttori, sebbene anch’essi abbreviano
volentieri a «
Bibbia da studio John MacArthur». In ogni modo, grazie per le sue note.
Vedo che MacArthur si esprime similmente a quanto ho fatto io nel mio articolo,
sebbene non conoscessi le sue riflessioni. Tuttavia non concordo con l’ultimo
punto quanto alla traduzione, che però è importante, dando il senso al tutto.
Ripeto la traduzione letterale: «E Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo
stata sedotta, cadde in trasgressione.
Ella sarà, però,
salvaguardata mediante il parto di figli, se
essi persevereranno nella fede
e nell’amore e nella santità con costumatezza» (1 Tm 2,14s).
«Essi»
si riferisce a «figli». Il senso era che figli timorati di Dio, si
sarebbero presi cura della madre nella vecchiaia (anche quando il marito non ci
fosse più; gli uomini si sposavano tardi, per dare sicurezza alla moglie e per
indennizzare i suoceri, e le donne abbastanza presto). Figli timorati e
costumati erano la salvaguardia o assicurazione di una donna per la sua
vecchiaia.
6. {Giuseppe
Domingo}
▲
■
Contributo:
Caro fratello Nicola Martella, ho letto la tua risposta al mio contributo e,
sono perfettamente d’accordo con te e anche con Eduardo Piacentini, riguardo
alla pedagogia della madre verso i figli, che ciò è indispensabile, e che
io non escludo affatto, ho mancato d’indicarlo. Però, voglio significare anche,
che la pedagogia da sola, senza di una vera conversione di fede della
madre, è deficiente e incompleta... E ti ringrazio d’averlo fatto notare perché
ciò è importante. La fede vera con tutto il suo accompagnamento, ha anche il suo
insegnamento. Ora in quanto al soggetto in 1 Timoteo 2,15, per me si
riferisce principalmente alla salvezza
in vita eterna dell’anima e dello spirito, anche se il sostegno materiale
è incluso. Un fraterno Saluto in Colui, che ama tutti di par passo. Pace in Lui.
{15-07-2012}
▬
Risposta 1
(Nicola Martella): Paolo in 1 Timoteo 2,15 non si riferiva per nulla alla
salvezza eterna. Se lo affermi, significa che ho scritto l’articolo
inutilmente o che tu non l’abbia letto nella sua interezza. Il verbo greco
sōzō
è usato centinaia di volte nella Bibbia, senza intendere la salvezza eterna, ma
il soccorso in vita. Se una donna si salva, partorendo figli, allora la
salvezza è per opere, che Cristo è morto inutilmente e che povere donne
sterili sono ancora perdute!
▬
Replica 1
(Giuseppe Domingo): Senti, io non ho mai detto e nemmeno pensato che le
donne saranno salvate, solo avendo dei figli, perché io credo fermamente nella
grazia di Gesù Cristo, per tutti uomini e donne avendo fede in Cristo, e per le
donne, che siano madri o no, feconde o sterili, saranno salvate per la grazia,
che è nel sacrificio del Figlio di Dio. Ma forse non mi son bene spiegato oppure
non mi hai capito tu. Comunque meglio non continuare questi dibattiti
soprattutto per iscritto a distanza, che sono soggetti molto delicati. Pece in
Gesù. {15-07-2012}
▬
Risposta 2
(Nicola Martella): Mi fa piacere se la pensi così, ma allora puoi spiegarmi
questo «non luogo» teologico? Tu affermi: « Ora in quanto al soggetto in 1
Timoteo 2,15, per me si riferisce principalmente alla
salvezza in vita eterna dell’anima e dello spirito, anche se il
sostegno materiale è incluso». Quindi?
▬
Replica 2
(Giuseppe Domingo): Io non vedo il rapporto con quello che tu dici, che cioè, il
verso 15 di 1 Timoteo 2 si riferisca soltanto al soccorso in vita, cioè
sostegno o aiuto materiale dei figli verso la madre, allorché Paolo nel verso 14
parla di Eva, che essendo sedotta fu cagione di trasgressione, quindi scaduta
dalla grazia, ma si può riscattare partorendo figliuoli (quelle che non
possono avere figli, non è colpa loro, ma nulla le impedisci di consacrarsi al
Signore, per vivere una vita santa, che si stende in vita eterna), se saranno
perseveranti in fede. Altri traduce: «A patto che essa persevera nella fede,
nella carità e nella santificazione, con modestia». Perciò ho affermato che
la madre deve essere santa prima lei stessa, e poi seguono i figli. Ora so molto
bene che la parola salvezza ha molte applicazioni in diversi sensi, ma
qui non è il caso, e non sono punto d’accordo con te su ciò, che tu affermi. I
traduttori ebbero e hanno ancora molta difficoltà a tradurre la sacra
Scrittura è vero, perché la Parola di Dio è difficile a darle un senso secondo
l’uomo. Deve essere lo Spirito Santo a dare la buona definizione e
interpretazione in Spirito a ogni suo servo. Cerchiamo di ascoltarlo anche
quando facciamo delle ricerche soprattutto nella Parola di Dio. Che Egli ci
aiuti. Ti saluto nell’amore di Cristo nostro Redentore. Pace e Grazia a tutti
noi. Amen. {16-07-2012}
▬
Risposta 3
(Nicola Martella): Che Eva fosse «scaduta dalla grazia» e si potesse «riscattare
partorendo figliuoli» è una novità dottrinale incredibile!
Dopo la caduta, Dio
insegnò il principio della grazia e dell’espiazione, coprendo i loro
corpi con pelli, provenienti da animali, che Dio uccise per loro.
Abele offrì anche lui gli stessi sacrifici, così tutti i loro discendenti
timorati di Dio (cfr. Noè). Non c’è altro modo per riscattare o espiare, se non
nei modo indicati da Dio, poiché Egli salva solo per grazia mediante la
fede. Altre vie sono invenzioni umane, compresa quella del «riscatto partorendo
figliuoli»! Inoltre, se le donne (ed Eva per prima) potessero «riscattarsi»
così, che cosa dovrebbero fare i maschi? Forse dovrebbero riscattarsi
procreando più figli, che possono? {16-07-2012}
7. {Pierluigi
Prozzo}
▲
■
Contributo:
Una precisazione, Nicola, leggendo la tua risposta a Calenzo [►
4.]
sulle traduzioni, in questo caso di 1 Timoteo 2,15 l’italiano del Diodati
sembra che si rifaccia più alla tradizione latina della Vulgata (salvabitur
autem per filiorum generationem si permanserint in fide et dilectione et
sanctificatione cum sobrietate) piuttosto che alla versione inglese di Re
Giacomo (Notwithstanding she shall be saved in childbearing, if they continue
in faith and charity and holiness with sobriety).
Inoltre anche
MacArthur ha precisato fin dalla prima frase del suo commento «che nel greco
il verbo “persevererà” è espresso alla terza persona plurale (se
persevereranno)»; però, poi, prosegue attribuendo tale pluralità a «esse»
(le donne) e non a «essi», cioè i figli. Saluti. {15-07-2012}
▬
Risposta (Nicola Martella): Io ho parlato
della Nuova Diodati nel suo complesso, non nello specifico verso, quale
traduzione in italiano della King James.
Ti faccio presente che «si permanserint in fide et dilectione et
sanctificatione cum sobrie tate» è plurale e intende: «se continuano
nella fede e nella carità e nella santificazione con modestia»; effettivamente
corrisponde al greco e a ciò che hanno tradotto Diodati, Lutero, la Elbelfelder.
Quindi, la Nuova Diodati (se persevererà) ha tradotto proprio la King
James (se ella continua).
Hai detto bene su
MacArthur: il problema della sua interpretazione è l’attribuzione del
soggetto plurale. È improbabile che esso si riferisca alle donne, visto
che Paolo ne ha parlato fin lì al singolare: sedotta, cadde, salvaguardata; è
più scontato che si riferisca ai tékna «bambini, figlioli»,
menzionati per ultimi.
8. {Nicola
Carlisi}
▲
■
Contributo:
Giovanni Luzzi tradusse: «Nondimeno la donna sarà salvata, diventando madre,
se avrà perseverato nella fede, nell’amore e nella santificazione, con modestia»
(1 Tm 2,15). Intervengo a proposito del diventare madre. La destinazione terrena
della donna è la maternità (Gen 3,16). Non che la donna sia salvata
per il fatto del suo diventare madre, fisicamente parlando. Se così fosse, la
salvezza dipenderebbe da lei e non da Dio; mentre sappiamo che la donna, che
crede in Gesù, sia essa sposata o no, riceve la salvezza come dono di Dio e,
quindi, per grazia. Diventare madre la fa responsabile di tutti quanti i
doveri della donna e, in special modo, di quelli relativi alla educazione
dei figliuoli; e non solo, ma anche nei riguardi del marito, se questi
non è convertito (1 Cor 7,14-15); possa egli essere portato a credere in Gesù,
vedendo la sottomissione della moglie e la sua condotta accompagnata a timore (1
Pt 3,1.5). L’essere madre, le offre una quantità di occasioni preziose
che, espletandole con delicatezza, arrecheranno salute, quand’ella sappia
compierle, perseverando nella fede, nell’amore e nella santificazione, con
quella modestia che è il più bell’ornamento della donna cristiana.
Trovo che tale versetto 15 della traduzione Giovanni Luzzi sia stato tradotto
in modo corretto, perché la perseveranza della fede, nell’amore e nella
santificazione viene attribuita alla madre, e non ai figli. Lei come madre,
essendo più a contatto con i figli, ha solo il dovere come già detto, di
prepararli a una condotta nel timore di Dio. {16-07-2012}
▬
Risposta 1 (Nicola Martella): Non entro in
merito ai doveri della donna come madre e moglie, poiché ne abbiamo già
parlato. Non so a quale traduzione di Giovanni Luzzi questo lettore si
riferisca, se alla Riveduta o a una traduzione particolare dello stesso. La
Riveduta riproduce correttamente il greco con «partorendo
figliuoli», sebbene la locuzione greca
diá tẽs teknogonías
intenda letteralmente «per mezzo del parto di figli». Come si vede, non esiste
qui in greco un verbo «diventare madre», che non si trova mai nella
Bibbia, ma innumerevoli volte ricorre la locuzione «partorire figli», da
Genesi 3,16 ad Apocalisse 12,13. Quindi, che capacità tecniche ha Nicola Carlisi
per pontificare che Giovanni Luzzi abbia tradotto in modo corretto?
Inoltre, se il greco ha un verbo alla terza persona plurale (meinōsin
«essi rimangono») — e così traducono correttamente vari traduttori (Vulgata,
Lutero, la Elberfelder; Diodati lo fa al plurale ma dà un soggetto femminile,
che però non corrisponde alla prima parte della frase) — come si può affermare
che tradurre alla terza persona singolare sia corretto? Penso che ognuno
farebbe bene a rimanere nel campo delle sue capacità e attività, per cui ha
ricevuto i carismi (2 Cor 10,13ss).
▬
Replica 1 (Nicola Carlisi): Martella, la
traduzione da me usata è la seguente: Giovanni Luzzi, Il Nuovo Testamento
tradotto dall’originale greco e i Salmi tradotti dal’ebraico (Firenze, Società
«Fides et Amor» Editrice, Via Santa Caterina,14). {18-07-2012}
▬
Risposta
2
(Nicola Martella): Mi meraviglio, perciò, che Giovanni Luzzi abbia, a suo tempo,
tradotto tale verso con così varie imprecisioni («salvata, diventando
madre, se [ella] avrà...»), visto che vanta d’aver «tradotto dall’originale
greco».
▬
Replica
2
(Nicola Carlisi): Martella, non dimentichiamo che la vera guida è lo «Spirito
Santo». Gesù non disse: La Parola vi guiderà in ogni verità, ma lo Spirito
Santo vi guiderà in ogni verità (Gv 16,13). È risaputo che le traduzioni
non sono perfette. Lo Spirito Santo è il datore di ogni verità. {19-07-2012}
▬
Risposta 3 (Nicola Martella): L’esegesi
contestuale di Giovanni 16,13 mi spinge a evidenziare che, secondo Gesù, lo
Spirito Santo
avrebbe condotto gli apostoli (!) «in tutta la verità», cosa che poi
fece; e tali cose furono scritte in lingua greca. Quindi, ora che la Scrittura
ce l’abbiamo, a noi spetta soltanto di tagliarla rettamente (2 Tm 2,15) con
l’aiuto dello Spirito; ciò significa studiare il testo nel contesto e i
vari lemmi, risalire al significato vero di ogni brano, che poi commentiamo. È a
questo che lo Spirito Santo ci vuole spingere, per poi applicarlo correttamente.
Solo allora sarà una parola benefica e liberatrice, poiché contrasterà e
confuterà tutte le false interpretazioni e indicherà quella più attinente
al testo. Lo «Spirito Santo» non deve diventare, quindi, un alibi per
opinioni personali soggettive, per ispirazioni arbitrarie o,
addirittura per «nuove rivelazioni» su certi testi o che strumentalizzano
certi brani (cfr. Branham come l’ultimo Elia o, rimanendo in tema, la salvezza
della donna mediante il parto).
9. {Rosa
Battista}
▲
■
Contributo:
Sono a favore dell’interpretazione spirituale di questo versetto.
Molto
probabilmente il soggetto della prima parte di 1 Timoteo 2,15 è lo stesso
dell’ultima parte di 1 Timoteo 2,14, cioè Eva. Avendo Dio detto in Genesi
3,15 che la progenie della donna avrebbe schiacciato il diavolo (1 Tim
2,15) e visto che in questo paragrafo Paolo parla di Eva come analogia della
situazione delle donne nella chiesa, si evince, nella seconda parte di 1
Timoteo 2,15, che similmente tutte le donne possono essere salvate sempre
in Cristo (come fu per Eva). La fede, l’amore e la santificazione non sono però
le cause della loro salvezza, ma la condizione: le donne (come
tutti) devono ricevere la salvezza di Cristo, accettandola per fede e vivendola
in amore e santificazione. {17-07-2012}
▬ Risposta (Nicola Martella): Non so se Rosa
Battista abbia letto l’intero articolo e la discussione derivante, visto che
nelle sue argomentazioni sembra ignorarli del tutto. Il problema di tale
interpretazione è che non rispetta la grammatica e la sintassi di 1 Timoteo
2,13ss. Infatti, in tale testo non esiste un soggetto «donne» al plurale
(ghynaikés), ma solo uno al singolare. Eva (o ghyné
«donna») è ricordata specialmente per essere stata sedotta e per essersi resa
colpevole. Menzionare qui Genesi 3,15 è solo una proiezione, visto che
Paolo non l’adduce come prova diretta o indiretta (tale testo oggigiorno
alquanto cristologizzato, non viene mai citato né menzionato nel NT). [Per
l’approfondimento si veda in Nicola Martella, Temi delle origini,
Le Origini 1 (Punto°A°Croce, Roma 2006), l’articolo: «Il protoevangelo», pp. 304ss. Per l’esegesi contestuale si veda in Nicola
Martella, Esegesi delle origini,
Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006), l’articolo: «Il verdetto sul serpente 3,14-15», pp. 219-231.]
Il verbo plurale meinōsin «essi rimangono» dev’essere spiegato
sufficientemente, non avendo nel testo «donne» (ghynaikés) come soggetto.
Ho mostrato che il verbo sōzō significa, in centinaia di brani,
«proteggere, soccorrere, salvaguardare, ecc.» in senso storico ed
esistenziale, quindi non in senso soteriologico (salvezza eterna), ma qui lo
s’ignora continuamente. Tale verbo plurale ha, quindi, verosimilmente
tekna «figlioli» come soggetto.
Ripeto che il
senso del brano è il seguente: nell’allora cultura — dove gli uomini si
sposavano tardi (per creare sicurezza alla futura moglie e per indennizzare i
genitori di lei) e le donne venivano sposate spesso appena erano feconde e, in
genere, rimanevano altresì presto vedove — una donna era salvaguardata
rispetto alla vita, laddove metteva al mondo figli e li cresceva nel timore
di Dio. Tali figli sarebbero stati la sua assicurazione per la vecchiaia,
visto che allora mancavano assicurazione e previdenza sociali e qualsiasi forma
di assistenza statale.
Non a caso, Paolo parlò a Timoteo delle «veramente vedove», ossia di
quelle senza prole e parentela, di cui la chiesa locale doveva prendersi cura,
mentre per le altre dovevano occuparsi i credenti direttamente (1 Tm 5,13); si
noti che non parla dei vedovi, poiché essi in genere erano già morti. Egli parlò
anche delle «vedove più giovani» (vv. 11.14); ciò mostra che allora si
poteva perdere i mariti abbastanza presto. Visto che a quel tempo (ma anche
oggigiorno in varie parti del mondo) tale questione era (ed è) molto drammatica,
Paolo ricordò pure
l’obbligo morale dei parenti credenti della vedova: «Se uno non
provvede ai suoi, e in primo luogo a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede ed
è peggiore di un incredulo» (v. 8; cfr. Mc 7,11ss). Ciò mostra che per una
donna credente allora era una «salvaguardia», non solo mettere al mondo
figli, ma educarli a perseverare «nella fede e nell’amore e nella
santificazione con modestia» (1 Tm 2,15).
Come nel caso delle vedove, non c’è bisogno di «spiritualizzare» (=
allegorizzare) 1 Timoteo 2,13ss, solo perché c’ispira o appaga di più; la vita
di fede aveva (e ha) a che fare con cose molto pratiche, che erano (e sono)
fonte d’indigenza e
disperazione personale o anche di conflitto ecclesiale (cfr. At
6,1).
10. {}
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12. {Autori
vari}
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■
Samuele
Maodda: Grazie. Ho una Bibbia con commenti di MacArthur e, a suo
tempo, ho letto ciò che lui dice del verso in tema. Adesso l’ho compreso ancora
meglio, o forse l’ho solo focalizzato e inciso nella memoria. Dico solo grazie!
Dio ti benedica, Nicola, e vi benedica, cari che contribuite. {16-07-2012}
■ Giovambattista Mele: Se
tutti interpretassero bene, non ci sarebbero dottori e insegnanti biblici, come
è di regola; ma ringraziamo Dio, che ha provveduto a questi, ma stiamo attenti a
quelli falsi. Grazie, Nicola. {18-07-2012}
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Salva_partor_figli_S&A.htm
14-12-2012; Aggiornamento: 19-12-2012 |