■ 1.
Introduzione
■ 2.
Facciamo un po’ di chiarezza
■ 3.
La priorità dello studio sincronico |
►
Prima parte |
▼
4.
L’utilità dello studio diacronico
▼
5.
Il caso «impertinente» di
dynamis
▼
6.
Un appello conclusivo |
Seconda parte |
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Questa è la seconda parte dell'articolo di
Francesco Grassi. Qui di seguito si fa uso dei termini
«sincronico» e «diacronico». Con «sincronico» s’intende il significato di
un termine in un certo momento della storia, ad esempio al tempo del NT; mentre
«diacronico» intende l’uso e lo sviluppo di un dato termine nel tempo, ad
esempio durante il periodo di storia che va da Abramo a Malachia. Nella
precedente parte è stato mostrata l'importanza dello studio
sincronico dei termini della Scrittura. Qui di seguito vengono mostrati la
pertinenza e i limiti di uno studio sincronico dei termini biblici.
Le tesi presentate qui da
Francesco Grassi costituiscono una base di discussione, a cui seguiranno
risposte sia di Tonino Mele, sia mie.
Spetterà poi ai lettori verificare l'intera materia, qui presentata, per
considerarne la validità di tutti gli aspetti presentati e la loro utilità per
lo studio della sacra Scrittura, affinché si «tagli rettamente la Parola
della verità» (2 Tm 2,15). {Nicola
Martella} |
▲
4.
L’UTILITÀ DELLO STUDIO DIACRONICO: Da quanto visto finora non si deve dedurre che
lo studio diacronico non abbia alcuna utilità; ne ha invece, anche se è limitata
ed è da tenere sotto controllo. Lo studio diacronico, infatti, è utile per
perseguire i
seguenti obiettivi.
■ Tracciare i cambiamenti di significato d’un
termine: Abbiamo già precisato indirettamente che lo
studio diacronico ha l’utilità nel tracciare le traiettorie e l’evoluzione
semantica d’un termine, purché teniamo sempre a mente le seguenti cose: ▪ 1) Lo
studio sincronico è il prerequisito (si va a ritroso da questo all’uso
diacronico, non viceversa); ▪ 2) Bisogna fare particolare attenzione al fenomeno
del cambiamento semantico;
▪ 3) si tratta d’analizzare la storia del termine, non di «scoprire» il vero
significato in contrapposizione all’uso corrente: ▪ 4) Il processo non
garantisce che l’esito, benché sembri verosimile e sia stato raggiunto in modo
rigoroso e onesto, sia «vero»; è molto probabile che abbiamo perso qualche
passaggio, qualche fonte da noi sconosciuta, o ci troviamo semplicemente di
fronte a una coincidenza linguistica, l’origine d’una sfumatura di significato.
■ Lo studio degli hapax legomena:
Gli hapax legomena sono quei termini che compaiono solo una volta
in tutto il Nuovo o l’Antico Testamento. In questi casi non essendo possibile
fare un confronto con altri brani paralleli, in cui il termine ricorre in
qualche sua forma, si ricorre allo studio diacronico del termine (per esempio,
dal NT si va alla LXX o alla letteratura extrabiblica)
o all’analisi della sua radice. Quest’ultima è molto utile per l’ebraico che ha
1.300 hapax legomena, 500 dis legomena, su un totale di circa
8.000 parole.
[N.d.R.: Per dis legomena si intende un termine che compare soltanto due
volte nel testo biblico.]
■ Il caso di attestazione limitata: Vi sono casi in cui, in un particolare periodo (p.es. quello dei
Profeti), il termine che stiamo analizzano non è largamente usato, e non compare
in altri libri per permettere un confronto. Perciò si può ricorrere all’analisi
della radice. Si ricordi però che il lasso d’anni che la storia e la letteratura
veterotestamentaria ricopre, è molto maggiore di quella del NT (poche decine
d’anni per quest’ultimo!). Questo complica qualsiasi tipo di confronto e ci deve
spingere a fare molta attenzione: le connessioni e le motivazioni etimologiche
si perdono molto presto o ci distraggono molto facilmente (Nel TDOT, nella
sezione
Etimologia, vedi gli infiniti e spesso inutili confronti con le lingue
affini all’ebraico).
■ Trasparenza del termine: L’analisi della radice d’un termine, è utile quando vi è una
certa «trasparenza» del termine, cioè quando il termine è facilmente associabile
al suo referente per via della fonetica o della morfologia.
Più o meno come funziona l’onomatopea. Anche in questo caso il successo non è
garantito, specialmente quando il confronto è fra greco e italiano.
Nel caso della «trasparenza», ciò che deve accomunare i due termini, deve essere
il suo significato base, non una sfumatura secondaria (come purtroppo accade per
la coppia
dynamis - dinamite).
De Moor spiega, però, che anche per l’ebraico «una
spiegazione che si basa sulla sola base etimologica, non potrà mai essere più
che una possibile ipotesi».
D.A. Carson aggiunge che: «E, in ogni caso, la specificazione del significato
d’una parola sulla sola base dell’etimologia, non può mai essere altro che un
ospite ben ammaestrato».
La prova di quest’affermazione la troviamo proprio nel
BDAG e nel NIDNTT riguardo a epiousios in Matteo 6,11, che è un hapax
legomena: «il nostro pane l’epiousios dacci oggi» (trad. lett.). In
tutta la letteratura a disposizione, il termine non compare se non in Matteo
6,11, negli scritti successivi che fanno riferimento a Matteo 6,11 e in un
papiro del quinto secolo d.C., il cui significato non è certo (NIDNTT,
epiousios). Ciononostante né lessici, né dizionari, né commentari
risparmiano il loro inchiostro per tentare di trovare un significato verosimile.
Risultato? Ci sono almeno 4 opzioni! Anche in questi casi, l’analisi etimologica
non mi sembra porti buoni frutti.
Da quanto visto sopra, l’uso sincronico non esclude
quello diacronico, ma può essere utile solo «dopo» e «se» l’uso sincronico non
ha portato grandi risultati, e comunque solo se siamo davvero sicuri (e non ne
avremo mai la certezza) che certe connessioni fossero nella mente dell’autore.
▲
5.
IL CASO «IMPERTINENTE» DI
DYNAMIS:
Ora, è probabile che l’esempio da me
usato in un contributo precedente abbia lasciato perplesse diverse persone e sia
risultato ad alcuni non pertinente all’errore esegetico, da me additato.
Intanto Nicola Martella ha opportunamente evidenziato
che la mia era una nota a piè di pagina, e a una nota così lunga non si possono
aggiungere altre note. Diciamo che è il primo esempio che mi è venuto in mente.
Credo invece che l’esempio non sia «impertinente»… (A proposito, il termine
impertinente è etimologicamente connesso a pertinente [da
pertinere], ma si noti il mio uso improprio qui. Esso non è il contrario di
«pertinente», ma è sinonimo di «maleducato»).
Ad ogni modo, credo
che illustrare la potenza dell’Evangelo con l’esempio moderno della dinamite —
solo perché anche quest’ultima può avere scopi benefici, e perché
l’Evangelo è potenza per rompere i legami con il peccato (cercando così
di far collimare il più possibile concetti opposti fra loro) — sia illegittimo e
non illustra né arricchisce, anzi allontana dalla comprensione del testo.
■ La sfumatura non rientra nel campo semantico di
dynamis e quindi non fa parte del suo senso lessicale.
Perché tale sfumatura possa far parte del campo semantico di
dynamis e quindi rientrare nel senso lessicale del termine, dovremmo
trovare almeno un caso nel NT in cui essa è presente.
Walton riassume così questa regola semantica: «Il senso
lessicale fa riferimento a quegli elementi di significato che la parola
automaticamente richiamerà in qualsiasi
contesto, in cui è utilizzata. Se vi è anche un solo caso (nella stessa
categoria del campo semantico), in cui quell’elemento non è ritrovato, allora
quell’elemento deve essere escluso dal senso lessicale».
Nel campo semantico di dynamis ritroviamo,
«abilità nel fare qualcosa, capacità di compiere un’azione, forza, potere
sovrano, potenza, opera miracolosa, efficacia» (così nel BDAG e Louw-Nida e
NIDNTT). In nessuna delle sue accezioni il termine assume sfumatura di «potenza
esplosiva e distruttrice» (per ovvie ragioni: come facevano a pensare
all’esplosivo prima che questo fosse inventato?). Interessante notare che
nessuno di questi dizionari fa il minimo accenno alla sua etimologia, ma solo al
suo uso,
e naturalmente, non ricorre all’illustrazione della dinamite per amplificare
o illustrare il concetto o la definizione.
Ora, ammesso e non concesso che sia legittimo usare la
potenza della dinamite nell’omiletica per illustrare la potenza dell’Evangelo,
perché questa sia utile, dovremmo riuscire a dimostrare che una qualche idea
simile era presente nella mente dell’autore. Come fare?
Possiamo procedere in due modi: ▪ 1) Analizzare i brani, in cui Paolo parla
della distruzione del male, del peccato, della morte, del diavolo, ecc. e
osservare se in tali brani il termine dynamis compare ed è connesso al
concetto alternativo di dynamis (distruzione del male); ▪ 2) Cercare i
brani in cui il termine dynamis è connesso all’Evangelo e notare se in
questi vi è un qualche accenno alla «distruzione dei forti legami del peccato».
Da un’analisi dei dati neotestamentari il test si rivela negativo in entrambi i
casi. Com’è possibile? Dio non ci ha liberati dal male, dalla potenza del
peccato, dalla schiavitù della legge? Non ha egli abbattuto un muro di
separazione? Il punto è che il concetto si trova, eccome, ma non nel senso
lessicale di dynamis, e questo è un fatto.
● «Ma che
è stata ora manifestata con l’apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesù, il
quale ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l’immortalità mediante
il vangelo» (2 Tim 1,10).
● «E,
liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia» (Rom 6,18).
● «Ma ora,
liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra
santificazione e per fine la vita eterna» (Rom 6,22).
● «Ma ora
siamo stati sciolti dai legami della legge, essendo morti a quella che ci teneva
soggetti, per servire nel nuovo regime dello Spirito e non in quello vecchio
della lettera» (Rom 7,6).
● «Perché
la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del
peccato e della morte» (Rom 8,2).
● «E
allora sarà manifestato l’empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio
della sua bocca, e annienterà con l’apparizione della sua venuta» (2 Ts
2,8).
● «Ha
spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo,
trionfando su di loro per mezzo della croce» (Col 2,15).
Da questi versi è evidente che il concetto è presente «nella teologia di Paolo»,
ma non nel termine dynamis; ricordiamo che stiamo parlando di esegesi,
non d’eisegesi! [N.d.R.: L’esegesi ricava dal testo, l’eisegesi
proietta nel testo!] Nell’esegesi o dal pulpito, non si può importare in un
singolo termine tutto ciò, che sappiamo essere vero. Concedere queste piccole
licenze ermeneutiche, significa rischiare di vedere nel testo quello che
vogliamo, o crediamo essere teologicamente corretto.
Per questo un teologo deve prima essere un onesto esegeta!
L’errore del «trasferimento totale», che si fa con Rom
1,16, insieme all’errore anacronistico connesso a dynamis, è quello che
si fa per 2 Pietro 1,3-4, importando nozioni dogmatiche successive, o tutte
quelle filosofiche precedenti. Il paragone non mi sembra per niente una
forzatura.
■ La sfumatura non era nella mente dell’autore
quando scrisse Romani 1,16 e quindi non fa parte del senso contestuale di
dynamis. Nel contesto Paolo spiega perché l’Evangelo è dynamis di
Dio, ossia perché in esso, ogni qual volta una persona crede ed è salvata, è
rivelata la giustizia di Dio che ha permesso questo miracolo; quella giustizia
di Dio soddisfatta da Gesù, manifestata nella sua morte e accreditata a noi
(cfr. 2 Cor 5,21; 1 Cor 1,30; Rom 4,27).
Perciò, anche nel senso contestuale di dynamis,
la sfumatura distruzione non compare e non è richiamata alla mente.
■ La sfumatura non era nella mente dell’autore negli
altri suoi scritti, quindi non fa parte nemmeno del senso teologico di
dynamis. Il fatto che il concetto «distruzione dei legami del peccato»
sia presente nella teologia di Paolo o del NT, non significa sia presente nella
teologia del termine dynamis. In sostanza, anche volendo dare alla
sfumatura un significato teologico, Walton ci ricorda quanto segue: «Il punto
importante qui e il punto centrale per l’interpretazione teologica, è capire che
il significato d’una parola, teologica e non, deve provenire dal suo uso, non
dalla sua etimologia».
Interessante che molti non dicano nulla dell’uso
sincronico, lessicale, contestuale e teologico d’un termine, ma pretendano che
si possa «illustrare e arricchire» con vere e proprie speculazioni. Questa è la
vera anarchia, quella sincronica. Questo avviene perché iniziamo «prima»
dal senso diacronico del termine, dalla radice, e da tutti gli errori esegetici
interconnessi. Si potrebbe illustrare e arricchire molto meglio facendo notare
che dynamis
compare già al verso 4 dove «potenza» è quella mediante la quale Dio ha
risuscitato il suo Figlio dai morti: questa è la stessa potenza in grado di
salvare chiunque crede. Ma non solo. Nella vita cristiana è quella stessa
potenza mostrata nella risurrezione del nostro Signore a operare efficacemente
in noi per darci la «capacità» di vivere in modo santo, gradito e zelante per
lui. Questo messaggio ci arricchisce e c’incoraggia dandoci speranza, perché
anche noi saremo da Dio risuscitati (2 Cor 4,14) mediante la stessa potenza. «…qual
è verso di noi, che crediamo, l’immensità della sua potenza. Questa potente
efficacia della sua forza egli l’ha mostrata in Cristo, quando lo risuscitò dai
morti e lo fece sedere alla propria destra nel cielo» (Ef 1,19s).
■
Dynamis e dinamite non hanno punti «forti di convergenza», se non
morfologici e fonetici.
Le parole seguono delle convenzioni specifiche, quelle correnti. Il fatto
che vi siano corrispondenze etimologiche fra due lingue (la coppia dynamis
- dinamite), non significa affatto che siano importanti. Queste corrispondenze
ci indicano solo l’origine del termine, la somiglianza morfologica, la «strada»
che il termine corrente ha percorso fino a noi, non il suo significato. Si
ricordi che il linguaggio corrente stesso è metaforico e cambia referente
secondo il contesto, in cui è utilizzato (vedi gli esempi sopra, p.es.
sinistro). Inoltre un termine non è connesso alla cosa che rappresenta in
modo indissolubile e diretto: è questione di convenzioni linguistiche e sociali
condivise fra chi scrive e chi legge in un dato momento storico (vedi anche lo
studio della semiotica [= disciplina che studia i segni, N.d.R.).
Per questa ragione, Osborne ci ricorda che «un principio basilare della teoria
semantica moderna è che non possiamo risalire dalla forma d’una parola al suo
significato».[18]
Riguardo alle presunte connessioni e ai punti di
convergenza importanti fra lingue diverse (dynamis
- dinamite; kosmos - cosmonauta, ecc.), William Mounce, autore di diverse
opere di grammatica greca, spiega quanto segue: «Fare questo è molto peggio
(peggio che citare il greco nei sermoni). Questo significa definire le parole di
Dio, usando un significato preso da una lingua totalmente estranea
all’originale; perché alcune persone credono di poter usare sfumature inglesi
d’una parola, che è stata creata 2.000 anni dopo i tempi biblici, e leggere il
suo significato nella Bibbia? Tutto ciò può sembrare un po’ aspro, ma questo
tipo d’abuso è annoiante e tutti dovremmo conoscerlo meglio da ora in poi.
Perciò, voglio spiegarlo molto chiaramente. La sfumatura che una parola assume
in una lingua straniera, 2.000 anni dopo il fatto, ha assolutamente zero impatto
sul significato delle parole bibliche. Lasciamoci alle spalle questo errore e
progrediamo nel nostro compito d’usare il greco per aiutarci nella vera
comprensione delle parole di Dio».
▲
6.
UN APPELLO CONCLUSIVO: Secondo il Silva, sono i servitori meno attenti (di quelli che si
rifanno all’etimologia), che si concedono a eccessi come l’etimologia inversa,
ovvero quella che fa «riferimento a parole inglesi che derivano dal greco».
Noi non vogliamo essere di questi servitori. Studiare
la Parola del Signore è meraviglioso, e più ancora se lo facciamo in modo
approfondito, magari nelle lingue originali, ma sempre e soprattutto in modo che
onori Dio. Chi onora e rispetta la sua Parola, onora e rispetta chi l’ha donata.
Questo atteggiamento si deve vedere anche nel modo, in cui la studiamo, anche se
questo ci costa
ritrattare alcune cose e abbandonare metodi «più
appariscenti», ma che non portano a nulla, se non a un «wow» di chi ci
ascolta.
È chiaro che per fare questo, ci vuole coraggio e
sacrificio, confronto e approfondimento, umiltà e perseveranza, ma l’esito
ripagherà senza dubbio ogni nostro sforzo: non c’è nulla di più gratificante che
conoscere meglio il Signore e solo Lui, attraverso la sua Parola. Una conoscenza
ricercata con sacrificio e onestà porterà vero beneficio a coloro che ci stanno
intorno e ci leggono o ci ascoltano.
Se posso aggiungere qualcosa ai consigli già dati
altrove, si fa bene a imparare una lingua straniera. Questo, oltre a dare la
possibilità di leggere molta letteratura cristiana e a confrontarsi con essa, dà
accesso a molti strumenti indispensabili per lo studio induttivo della Bibbia,
quali lessici, dizionari, traduzioni, commentari del testo, e molto, molto
altro.
Quanto allo studio delle lingue originali, non è
impresa impossibile iniziare, ma sento di girarvi le parole che Nicola Martella
disse a noi studenti qualche anno fa: «Sono un eterno studente». Solo chi si
pone in questa prospettiva, farà progressi; anche se sbaglia, si correggerà; se
ripreso, rimarrà umile e sarà volenteroso d’imparare; e sarà sempre disposto a
fare sacrifici, visto che lo studio dura tutta la vita.
Pascal disse: «Il Dio definito è il Dio finito».
Allora questa beata occupazione durerà per l’eternità. Ma questo pensiero, è
forse per un altro tema… Gloria a Dio.
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Sincronia e diacronia tra dicotomia e complementarietà 1
{Tonino Mele} (A)
►
Sincronia e diacronia tra dicotomia e complementarietà 2
{Tonino Mele} (A)
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Secondo il Silva l’etimologia sarebbe utile in quattro ambiti diversi: ▪ 1)
Identificare le componenti d’una parola; ▪ 2) Risalire al più antico significato
attestabile; ▪ 3) Risalire alle forme e ai significati preistorici; ▪ 4)
Identificare le forme e i significati nelle lingue affini (p.es. semitiche).
Thiselton, Semantics, p. 82.
Vedi il dibattito Fee-Grudem sul significato di
kephalē (capo) in 1 Corinzi 11.
Fee G. First Corinthians; Grudem, «Does
kephale (Head)
Mean “Source” or “Authority over” in Greek Literature? A survey of
2.336 Examples», in Trinity Journal (1985), pp. 38-59.
È quello che ho fatto io con
l’espressione «partecipi della natura divina» in 2 Pietro 1,3-4. I singoli
termini compaiono nel NT, ma questa costruzione è completamente assente e ha
invece importanti punti d’incontro nella letteratura extrabiblica. Questo ci
deve ricordare che l’analisi dei termini non è tutto; semantica e analisi del
discorso sono da preferire a un’atomizzazione del testo.
Silva, Meaning, pp. 48-50.
Cfr. Ef 2,10 «…infatti siamo opera [poiema]
sua». Seguendo la fonetica potremmo arrivare a dire che siamo «il
poema» di Dio. Certo, come con il caso della dinamite, tutto può essere
giustificabile… siamo un’opera d’arte, un poema, o per «cantare poemi sinfonici
a Dio». E chi più ne ha…
Citato in Silva, de Moo, Ugaritic Lexicography, p. 85.
Carson, Exegetical Fallacy, p. 33.
Silva, Meaning, pp. 34, 38, 48; Barr,
Semantics, p. 116.
Intanto si noti che proprio questo esempio è usato in Silva, p 45; in Carson, p.
34; Walton,
Etymology; Osborne, p. 88;
Blomberg, 246; A. Thiselton, Semantics and New testament interpretation,
in New testament interpretation: Essays on Principles and Methods (Marshall.
Ed.), p. 81.
I metodi seguiti non sono
comunque consigliabili in quanto i termini si trovano sempre in relazione con
altri e cambiano spesso sfumatura. È solo un tentativo disperato.
Decker, «How do we use biblical languages?», pp. 10-11.
Cfr 1 Cor 6,14; 1 Cor 1,18; 2 Cor 13,4; Ef 1,19.21; 3,7, 16, 20; Fil 3,10; Col
1,11.29; 1 Ts 1,5; 2,13; 2 Ts 1,7.11; 2,9; 2 Tim 1,7s; 3,5; cfr. anche
Es 9,16.
[18]
Grant R. Osborne, The Hermeneutical Spiral : A Comprehensive Introduction to
Biblical Interpretation, Rev. and expanded, 2nd ed., 85 (Downers Grove, Ill.:
InterVarsity Press, 2006).
http://www.koinoniablog.net/2010/02/are-we-gods-poem-eph-210.html.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Analisi_lessicale_BB2_Avv.htm
18-05-2010; Aggiornamento: 29-06-2010 |