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1.
Introduzione
▼
2.
Facciamo un po’ di chiarezza
▼
3.
La priorità dello studio sincronico |
Prima parte |
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Questo articolo lo presentiamo in due parti, a causa della sua lunghezza,
specificità e difficoltà di comprensione per tanti lettori. Esso non è destinato
a tutti, ma solo a quei lettori che sono appassionati dell’interpretazione del
testo biblico, quindi di ermeneutica, di esegesi contestuale, di linguistica e
discipline affini.
Tale approfondimento proviene da lontano, ossia dapprima dal confronto su 2
Pietro 1,3-4 tra Tonino Mele e Francesco Grassi. [►
2 Pietro 1,3-4 tra storia ed escatologia {Tonino Mele}; ►
Natura divina e incorruttibilità in 2 Pietro 1,3-4 {Francesco Grassi};
►
Natura divina fra caparra e adempimento finale] A tale discussione è seguito l'articolo
«
Lingue bibliche e l’errore dell’etimologia», scritto da Nicola Martella e Francesco Grassi. Da ciò è nata una
discussione in merito, e questo articolo di Francesco Grassi rappresenta la risposta data specialmente
a Tonino Mele. La lunghezza di quest'ultima ci ha obbligati a
mettere questo scritto a sé stante.
Le tesi presentate qui da Francesco Grassi costituiscono una base di discussione, a cui seguiranno
risposte sia di Tonino Mele, sia mie.
Qui di seguito si fa uso dei termini «sincronico» e «diacronico». Col
primo s’intende il significato di un termine in un certo momento della storia;
mentre «diacronico» intende l’uso e lo sviluppo di un dato termine nel
tempo. {Nicola Martella}
►
Seconda parte |
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1.
INTRODUZIONE: Fino a un secolo fa il metodo linguistico, usato sia per lo
studio biblico che per l’analisi linguistica in generale, era di tipo
«etimologico». Molto peso era dato alla morfologia, all’etimologia, alla
formazione etimologica dei termini. In campo biblico era l’ossessione per
«l’ispirazione testuale» d’ogni singolo morfema e lessema a portare molti
studiosi a cercare per forza un significato intrinseco e più profondo degli
stessi: un testo divinamente ispirato doveva contenere più di quello che
s’apprendeva normalmente!
Contava poco come questo assumesse differenti sfumature secondo il contesto, in
cui esso era inserito. Come ci ha
ricordato Tonino Mele, per molte persone i termini
hanno un «significato fisso».
Saussure, circa un secolo fa, gettò le basi per
la linguistica moderna, cosa che trovò non solo ampio uso nello studio delle
Scritture, ma anche minò alla base i vecchi metodi «diacronici». Fra gli
studiosi evangelici vi è oggi un consenso sulla priorità e dell’utilità del
metodo sincronico su quello diacronico, idea per l’appunto, esibita per primo da
Saussure.
In pratica purtroppo, le cose non sono cambiate un gran
che. Spesso si passa da un’assenza generale di studio e metodo, all’adottarne di
obsoleti e inefficaci, o comunque, a preferire alla strada nuova quella vecchia.
Così, l’errore etimologico del quale stiamo parlando è ancora vivo e vegeto e
diventa ancor più evidente, perché vi è un’alternativa migliore, ma che non si
vuole adottare. Nei vecchi dizionari, commentari, opere ermeneutiche e
grammatiche (ma non solo!), dal pulpito e perfino in importanti lessici
considerati la quintessenza nel campo degli studi biblici, certi errori si
perpetuano ancora. Nel 1961, fu James Barr, con il suo Semantics of
biblical Language
che, sulla linea di Saussure, continuò la critica dell’uso diacronico e diede
una vera svolta alla questione. Egli prese di mira in particolare il Kittell,
ossia il
Theological Dictionary of the New Testament (abbr. TDNT).
La critica negativa di questo lessico riguarda la sua natura ovvero d’essere
in realtà un dizionario del pensiero, della storia e della teologia
neotestamentaria piuttosto che un vero e proprio lessico. Nel suo libro presenta
molti esempi, in cui dimostra l’illegittimità del metodo diacronico e i vari
errori esegetici connessi a esso.
Consapevoli o meno, le cose non sono più le stesse da
allora. C’è stato un moltiplicarsi d’opere su base più o meno sincronica, e
comunque, le vecchie metodologie sono confinate alle vecchie opere.
Difficilmente è utilizzato oggi uno strumento, che si rispetti, il quale fondi
le proprie ricerche sull’uso diacronico o sull’etimologia.
Penso particolarmente
al BDAG: A Greek English Lexicon of the New Testament and
other Early Christian Literature
(2000, Third Edition); e al LOUW-NIDA: Greek-English Lexicon of the New
Testament Based on Semantic Domains
(1988).
Nessuno studio serio del Nuovo Testamento può essere intrapreso senza
queste opere, salvo che naturalmente non si voglia ricorrere sempre e soltanto a
commentari o alle varie traduzioni della Bibbia
(non sto criticando chi lo fa, anzi! Vedi i commenti di Nicola… Sto solo
presentando gli strumenti utili per uno studio induttivo, particolarmente
indicati per chi conosce il greco, o almeno sa leggerlo).
▲
2.
FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA: Qui di seguito parliamo della differenza fra
studio diacronico e sincronico.
2.1. DA DOVE INIZIAMO?: In ogni tipo di lavoro è importante
saper bene da dove iniziare per prima. Bisogna pianificare, progettare e poi
mettere in atto. È facile non realizzare che un buon inizio è determinante per
un buon esito. Anche nell’analisi lessicale vale lo stesso principio: alcune
cose ne precedono altre. La tesi di questo articolo è che lo studio sincronico
preceda quello diacronico. Se si vuole evitare di cadere nell’errore
etimologico, allora è importante riconoscere la differenza fra i due metodi e la
priorità dell’uno sull’altro. È possibile infatti che uno voglia dare pari
importanza a entrambi i metodi, o che voglia addirittura invertirne l’ordine:
sarebbe la stessa cosa? Avremmo gli stessi risultati? Non importa veramente cosa
preceda cosa?
Secondo alcuni, se non si studia prima l’uso
diacronico d’un termine, non si può determinare né capire il suo significato,
per esempio, neotestamentario.
Se, per esempio, volessi
sapere cosa Paolo intendesse significare con il termine
dynamis in Rom 1,16, dovrei iniziare dall’uso che egli fa nelle sue lettere,
per poi spostarmi al resto del NT; e solo in caso di fallimento,
dovrei ricorrere a fonti extrabibliche. Secondo la logica diacronica, invece,
m’occorrerebbe fare il contrario: passare in rassegna «prima» tutta
la letteratura classica, poi la LXX e, solo alla fine, andare all’uso che Paolo
fa di quel termine nelle sue lettere. Solo alla fine potrei capire cosa
dynamis
significhi.
Questo svela un altro di quegli
errori etimologici che, mi sembra, siano alla base
di questo modo di procedere,
ossia riguardo alla «genetica
lessicale».
Secondo questo pensiero, già i primi lettori, prima ancora che noi, per
comprendere Paolo, avrebbero dovuto essere a conoscenza dell’uso diacronico (i
geni lessicali tramandati lungo la storia) di gran parte del suo vocabolario,
poiché Paolo non ha allegato nessuna «guida diacronica alla lettura» alle sue
lettere. In realtà, ciò che importava a Paolo era l’uso del termine nel tempo in
cui egli scrive e questo garantiva che vi fosse un «ponte» fra le sue lettere e
i suoi lettori. Gli scrittori usavano convenzioni linguistiche correnti. È
altamente improbabile se non impossibile che i lettori conoscessero l’evoluzione
e l’etimologia dei termini usati da Paolo.
Il punto è, infatti, che la lingua si trasforma,
s’appiattisce, si semplifica, si fonde alle altre, perde le connessioni
etimologiche, le motivazioni storiche; e spesso i cambiamenti che ne risultano
sono accidentali e non rintracciabili.
Ciò che resta è il loro «uso» quotidiano del tempo. Mi sembra perciò che un sano
agnosticismo diacronico sia da preferire alla ricerca delle cause, motivazioni,
e accidenti nell’evoluzione d’un termine. Molti linguisti illustrano questo
principio con il gioco degli scacchi o con una foto in contrapposizione a un
filmato: non importa quali mosse siano state fatte
prima, conta la posizione attuale delle pedine o l’attuale fotogramma.
Ora,
se questo procedimento combattesse in qualche
modo
«l’errore etimologico»,
non ci sarebbe nulla da recriminare.
Il punto è che l’errore etimologico proviene proprio dal fatto di mettere in
posizione di preminenza l’uso diacronico d’un termine rispetto al suo uso
sincronico.
Iniziare dall’uso diacronico, non porta frutto all’esegesi, anzi si
rivela una missione frustrante e pericolosa.
Ciononostante, la ragione per cui scrivo non è quella di rispondere direttamente
a chi vorrebbe dar maggior peso al metodo
diacronico,
ma è quella chiarire alcuni
concetti in modo da aiutare chi legge e ha voglia di studiare la Parola di Dio
in modo onesto e fruttuoso, e seguendo una metodologia corretta.
2.2. ALCUNI ESEMPI CONTEMPORANEI: Molti termini assumono
significati del tutto diversi già a distanza di pochi anni. Oltre agli esempi
simpatici di Nicola Martella (io fui fulminato da una sorella quando dissi che
m’era penetrata una scheggia in un dito!), facciamo qualche esempio
vicino a noi.
■ Il termine «sindaco» viene, etimologicamente,
dalla fusione del prefisso greco syn- (con) e un derivato del sostantivo
greco dikaiosyne (giustizia). Sono sicuro che la stragrande maggioranza
della gente non sappia nulla dell’origine del termine, ma capisce più che bene
chi è il sindaco (molti sindaci non sanno affatto cosa egli rappresenti per la
cittadinanza!): dovrebbero prima conoscere l’uso diacronico per capire il
significato del termine «sindaco»?
■ Veniamo a un altro termine, «sinistro». Già
all’interno d’una stessa lingua (e lo stesso vale per molti termini greci), esso
può significare cose diverse: lato sinistro, incidente, colpo sinistro, un
partito politico o uno sguardo sinistro. Riguardo a quest’ultimo aspetto,
tutti sanno cosa sia uno sguardo o un luogo sinistro, ma molti ignorano cosa ha
originato tale accezione, cioè la credenza secondo cui gli auspici fatti dalla
parte sinistra diventavano di cattivo augurio.
■ Che cosa dire dei giorni della settimana?
Quanti pensano alla Luna, a Marte, a Mercurio, a Giove, a Venere, allo šābat e
al giorno del Signore (lat. Dominus)
o giorno del Sole in Inglese (Sunday)?
Nessuno ha bisogno di conoscere «prima» l’uso diacronico del termine per capirne
l’uso corrente.
■ Televisione: Questo è forse il termine più
vicino a noi dei quattro, eppure il significato etimologico è già decaduto.
Tutti sanno cosa sia la televisione, ma pochi conoscono l’etimologia del
termine: vista da lontano.
Da questi esempi capiamo che, nonostante i
termini abbiano una loro storia, ciò che di essa si ripercuote sul loro uso
corrente,
è lontano da noi e non aggiunge nulla alla comprensione d’un termine già chiaro
di per sé per uso e convenzione linguistica.
Secondo il
Silva, l’uso dell’etimologia «può essere connesso a una carenza di
familiarità genuina con le lingue bibliche».
Chi ne paga le conseguenze, come spesso avviene, è la chiesa. La gente capirebbe
meglio e prima il senso vero e normale d’un termine, se non fosse che chi
predica o scrive ricorre a complicare le cose con sofismi, distrazioni e
speculazioni etimologiche inutili. Il rischio è, infatti, oltre che a non tirar
fuori il «vero significato», quello d’allontanare dalla comprensione del termine
chi ascolta o legge. Il commento un po’ spiritualista (senza offesa!) di Volto
di Gennaro, non deve passare inosservato; e se mi è permesso d’applicare
il suo consiglio, dobbiamo ricordare che se «il senso d’un termine fa buon
senso, non occorre cercare un altro senso» (vecchia regola applicata
all’ermeneutica in generale).
L’etimologia, può essere informativa, interessante,
illustrativa, ma non
può avere priorità nell’esegesi e
non deve mai
venire «prima» d’un normale studio lessicale sincronico. Questo è
particolarmente vero, come vedremo fra un po’ per il greco del NT.
▲
3.
LA PRIORITÀ DELLO STUDIO SINCRONICO
3.1. UN CONSENSO GENERALE: Quando frequentavo la scuola
biblica a Roma, uno dei consigli che spesso ci venivano dati dagli insegnanti
era che, se quello che dici non è già stato detto o non lo dice nessuno, allora
forse sei nel torto. Riporto di seguito quello che, in ambito degli studi
biblici, è il consenso generale di teologi, filologi, esegeti, esperti di
grammatica greca e commentatori. Per la cronaca, se ne trovano di calvinisti,
arminiani, pentecostali, cattolici, liberali, atei: se tutti convergono in
questo punto, e argomentando in modo onesto e rigoroso, allora faremmo bene ad
ascoltare.
■ Le informazioni diacroniche possono essere
interessanti, perfino informative, ma non devono essere uguagliate o elevate
al di sopra della descrizione e l’analisi sincronica.[15]
■ I dati sincronici sono essenziali per
l’interpretazione; i dati diacronici sono inaffidabili.[16]
■ L’etimologia, comunque, dà una falsa idea sulla
natura d’un vocabolario (intende la lingua) in quanto è interessata solo a
come il vocabolario sia stato formato. Le parole non sono adoperate secondo
il loro uso storico. La mente — ammesso che ne abbia mai saputo — dimentica gli
sviluppi semantici, attraverso cui le parole sono passate. Le parole hanno
sempre un valore corrente, cioè, limitato al tempo in cui furono
adoperate, e un valore
particolare relativo all’uso momentaneo che noi facciamo d’esse.
■ Il punto principale è che l’etimologia d’una
parola non è un’affermazione riguardo al suo significato, ma riguardo
alla sua storia... È del tutto sbagliato supporre che l’etimologia d’un termine
sia necessariamente una guida al suo «proprio» significato in un periodo più
tardo o al suo vero significato corrente.[18]
■ Si notino, qui di seguito,
alcune osservazioni che ho tratto dalle definizioni, che
Wikipedia
dà dell’etimologia (il grassetto è redazionale): «Talvolta si crede che
l’etimologia sia lo studio del “vero significato” d’una parola, ma non lo è
affatto. L’interesse dell’etimologia è quello di studiare la storia d’una
parola. Esamina così quando e come una parola entrò a far parte della
lingua, come è cambiata la sua forma originale nel corso degli anni, e come
s’evoluto il suo significato. L’etimologia quindi, studia la vera provenienza
della parole, mentre nell’errore etimologico, si pensa sia lo studio del loro
vero significato». «Quale sia il vero significato delle parole può essere deciso
solo studiandone l’uso. Essendo un processo umano, la lingua è
soggetta a cambiamenti, e l’uso è uno di quegli aspetti che subiscono
alterazione nel tempo».
■ Perciò, il significato
d’una parola non sarà rivelato dalla considerazione della sua etimologia, ma
dall’analisi di tutti i possibili significati conosciuti di quella parola,
al tempo in cui è stata usata (evitando così l’errore diacronico).[19]
■ Gli interpreti devono
deliberatamente ricercare cosa le parole originali d’un brano significavano al
tempo in cui furono scritte e nel contesto in cui esse compaiono. Il corretto
significato delle parole, non quali idee possano richiamare alla nostra mente
mentre leggiamo il brano, è l’oggetto dello studio lessicale.[20]
■ Significati passati
possono essere interessanti e perfino pittoreschi, ma dobbiamo resistere alla
tentazione di credere che questi
influenzino in qualche modo l’uso corrente.[21]
Lo stesso concetto compare proprio nelle opere che dovremmo usare per lo studio
lessicale, ovvero il Louw-Nida, ma anche nelle grammatiche di Wallace e Mounce.
Insomma, la lista è davvero lunga.
Ora, con questa lista non voglio dimostrare nulla, ma rimane il fatto che vi è
una grande differenza fra i due metodi sopra descritti e il loro rispettivo
ordine
nell’analisi lessicale. Ora, benché vi possano essere forti assonanze e richiami
nientemeno che fra lingue così distanti fra loro, quali l’italiano e il greco
(p.es. dynamis
- dinamite), queste connessioni sono solo morfologiche, non semantiche, e
comunque non presagite o confermate dal testo sacro! Il significato è
dato, per l’uno e l’altro termine, dalle convenzioni linguistiche usate nei
rispettivi momenti storici. La somiglianza morfologia non porta con sé il
significato. Per questo trovo illegittimo l’uso della
dinamite anche solo come illustrazione della potenza dell’Evangelo, pur con
le opportune modifiche e abbellimenti (vedi sotto: Un caso «impertinente»?).
3.2. LA PROVA DEL LESSICO: Quando ero studente all’Ibei di
Roma, Nicola Martella dava spesso agli studenti delle analisi lessicali da fare,
nelle quali si doveva fare particolare attenzione a come il termine veniva
usato, per esempio, nei Profeti, nel Pentateuco, nei Libri Storici, ecc. Questo
compito dà per scontato almeno tre cose: ▪ 1) È possibile comprendere
l’uso sincronico d’un termine senza «conoscere prima» il suo uso diacronico; ▪
2) Questo è il metodo più sicuro ed esegetico per conoscere il
significato d’un termine, per esempio, nei Profeti (è infatti un metodo
mirato!); ▪ 3) Nonostante il termine possa aver subito variazioni nel corso dei
secoli, queste sono spesso fortuite e inspiegabili, e non lasciano traccia né
del momento né delle circostanze, che ne hanno determinato il cambiamento di
sfumatura o significato. Allo studente importa quale sia il significato del
termine nel periodo, che si sta studiando, secondo l’uso sincronico e non la
storia diacronica. Forse all’inizio non si comprende la ragione di questo
studio, che sembra essere limitato e superficiale, finché non s’iniziano a
consultare lessici e dizionari teologici, e quant’altro.
Facciamo un esempio. Mettiamo il caso che stiamo
studiando un testo, o un libro dell’Antico Testamento. Ci rendiamo conto che
l’analisi d’un termine ci aiuterebbe nella comprensione del discorso e del
libro.
Che cosa facciamo? Certamente possiamo iniziare dalle traduzioni che abbiamo, ma
dobbiamo ricordare che le migliori traduzioni sono comunque delle
interpretazioni e, alla peggio, parafrasi, fino a essere traduzioni davvero
precarie. Allora, rintracciamo il nostro termine nel BDB, nello Strong o nel
Gesenius (lessici), nel TWOT o nel TDOT (dizionari). In uno dei dizionari
migliori in circolazione oggi, il New International Dictionary Old Testament
Theology and Exegesis (abbr. NIDOTTE), a seconda del termine, si ritrovano,
più o meno, le seguenti voci:
■ ANE (Ancient near east). In questa voce
si ritrova di solito l’aspetto etimologico, ovvero se il termine ha qualche
riscontro nelle maggiori lingue semitiche. Al riguardo però è interessante il
commento dell’editore del dizionario: «lo scopo di questa voce è quella
d’aiutare alcuni lettori con le connessioni etimologiche. Vi è un rischio nel
provvedere queste informazioni a causa del larghissimo abuso delle etimologie.
Nonostante ciò, il materiale congiunto è rilevante sia per
capire
l’estensione dei campi semantici che nel definire
il
significato degli hapax legomena» (corsivo mio).[23]
[N.d.R.: Gli hapax legomena sono termini che ricorrono una sola volta in
tutto il testo biblico.]
Si noti che l’autore parla di capire l’estensione
dei campi semantici e di definire il significato solo nel caso degli
hapax legomena, ovvero quei termini che compaiono solo una volta
■ OT (Antico Testamento). Questa però è solo la
grande categoria che ne contiene altre.
● La sintassi
● Uso naturale
● Uso metaforico |
● Il Pentateuco
● I Libri Storici
● Giobbe
● I Profeti |
Da un semplice sguardo allo schema di questo dizionario capiamo che, se stiamo
leggendo i Profeti, può essere interessante vedere quale significato abbia avuto
un termine nel Pentateuco, ma vorremmo senza dubbio consultare «prima», la voce
«profeti» e il suo uso sincronico. Il termine
’ābal «lamento, piangere, fare lutto», per esempio, può assumere diverse
sfumature a seconda del periodo storico o del periodo letterario in cui è
utilizzato. L’autore di questa voce conclude proprio con questo commento: «Il
verbo
’ābal nell’Antico Testamento è utilizzato in modi diversi».
A tutto ciò s’aggiungono le diverse forme
verbali, che spesso sono usate solo in un determinato periodo letterario o
in un solo libro. Per esempio, se un verbo ha nella forma Qal l’aspetto attivo,
non sempre ha nel Niphal l’aspetto passivo, o nell’Hiphil quello causativo.
[N.d.R.: Qal, Niphal e Hiphil sono modi verbali della grammatica ebraica.] Molti
verbi hanno aspetto attivo anche se compaiono nel Niphal, e non hanno affatto la
forma di base Qal. Ricorrere all’uso d’un verbo in un’altra forma verbale,
ritrovata in un altro periodo, non è di grande utilità perché molto
spesso con un cambiamento di forma verbale avviene anche un cambiamento di
significato, che non possiamo rintracciare etimologicamente. Dobbiamo farci
bastare le volte che il termine compare nel libro che stiamo usando, e solo nel
peggiore dei casi, ricorrere alla studio della «radice». Questo è il caso degli
hapax legomena, per cui non abbiamo la possibilità di fare un confronto
diacronico (vedi sotto: Utilità del metodo diacronico).
Lo stesso identico principio vale per il NT. Il
BDAG per esempio riporta diversi significati. Faremo attenzione che il brano che
stiamo studiando compaia nell’accezione che stiamo analizzando. Altri dizionari
teologici dividono, per esempio, la voce in
Vangeli, Lettere paoline, Ebrei-Apocalisse.
3.3. ALCUNI ERRORI ETIMOLOGICI: Abbiamo fatto sopra qualche
esempio tratto dalla lingua italiana. Vediamone qualcuno tratto dal greco del
NT.
■ Il termine diakonos «servo»
è formato dal prefisso greco dia «attraverso» + konis
«polvere».
Non è necessario ricorrere all’etimologia e concludere: il servo, infatti, è
colui che si sporca, s’umilia, «serve attraverso la polvere». Tutti sapevano al
tempo che un diakonos era semplicemente, colui che serve (piuttosto a
tavola!), che si prende cura degli altri. Il servo non deve umiliarsi?
Certamente, ma questo non è il suo senso lessicale.
■ Il verbo martyreō significa
testimoniare. In esso non vi è alcuna sfumatura di
martirio, essendo, questa, una sfumatura del 2° sec. d.C. Si noti che i
termini condividono la stessa radice, eppure hanno significati del tutto
diversi. Al tempo di Gesù un martire era un testimone. È irrilevante
giustificare tali «illustrazioni», dimostrando che i martiri erano anche
testimoni: il martirio non rientrerà mai nel senso lessicale del termine
martyreō. Nell’esegesi c’interessa l’uso corrente della parola.
■ In Giovanni 14,6 leggiamo: «E io pregherò il
Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per
sempre». Il sostantivo consolatore
traduce il greco paraklētos. La traduzione però è influenzata dal
verbo parakaleō che ha la stessa radice, ma diverso significato, cioè
«consolare, confortare». Ora, lo Spirito non consola, non conforta? Certo che
sì! Ma questo non è il suo senso lessicale. Si noti poi che si tratta d’un
«altro paraklētos», che avrebbe sostituito Gesù nel suo compito terreno,
potremmo dire un altro Gesù nella sua funzione di guida (ma anche altri compiti
propri dello Spirito). Eppure Gesù non è mai definito paraklētos in
Giovanni (nei sinottici il termine non compare affatto), ma si ritrova in 1 Gv
2,1: «…abbiamo un avvocato presso il Padre». Che la NR abbia
tradotto qui «avvocato» e lì «consolatore», è un evidente errore etimologico, di
«radice», ma ci mette sulla strada giusta. Ad ogni modo, anche il termine
avvocato non è esatto perché importa nel senso lessicale neotestamentario la
sfumatura che il termine ebbe solo successivamente in latino, advocatus,
e richiama alla mente una figura legale con tutti i preconcetti moderni legati a
questa figura, mentre il termine denota semplicemente un amico. Allora vi è chi
cerca il significato nella formazione del termine, para-kaleō, «chiamare
accanto», quindi colui che sarebbe chiamato per stare accanto (per consolare?).
È interessante che il BDAG non fa affatto menzione di quest’aspetto etimologico,
e il LOUW-NIDA afferma quanto segue: «Paraklētos: derivato di
parakaleō
“chiamare per provvedere aiuto”, non compare con questo senso specifico nel NT».
Paraklētos dovrebbe perciò essere tradotto
semplicemente come «colui che aiuta»
[N.d.R.: «soccorritore»], essendo questo il senso lessicale del termine
richiamato normalmente alla mente dei lettori. Tutte le altre sfumature possono
al massimo essere di carattere «contestuale». In 1 Giovanni 2,1 più che
avvocato, potrebbe assumere il senso contestuale di «sostituto» o «che parla
in favore di». Il significato più semplice è anche il più «vero» e adattabile a
ogni contesto.
■ Il termine ekklēsia «chiesa, assemblea»
è un derivato di due parole: ek «fuori» e kaleo
«chiamare». Sulla base dell’etimologia, però, sarebbe sbagliato illustrare o
spiegare che «infatti, la chiesa è formata da persone chiamate fuori dal
mondo». Questo è vero teologicamente (cfr. Atti 15,14; Rom 8,30; Gv
17,6-26), ma non è il senso lessicale di ekklēsia.
Il Louw-Nida precisa infatti quanto segue: «Nonostante che alcune persone
hanno cercato di vedere nel termine
ἐκκλησία, più o meno il significato de
«i chiamati fuori», questo etimologizzare non è autorizzato dal significato di
ἐκκλησία nei tempi neotestamentari o
dall’uso fatto in periodi precedenti. Il termine
ἐκκλησία è stato d’uso comune
per centinaia d’anni prima dell’era cristiana ed era usato in riferimento a un
assemblea di persone costituita secondo un ben definito gruppo d’appartenenza.
Nell’uso greco generale era solitamente un’entità socio-politica basata sulla
cittadinanza in una città-stato, e in questo senso è parallela a
δῆμος […]. Per il NT, comunque, è
importante intendere il significato di
ἐκκλησία come “un’assemblea del popolo
di Dio”».[26]
Precisamente in questo caso, il termine è come una
fotografia: non ci dice nulla della provenienza di questo gruppo, né la ragione
per cui sono riuniti. A questo
potrebbe contribuire il senso contestuale o il senso teologico, non quello
lessicale. Dico «potrebbe», perché non è affatto scontato che al termine
troviamo veramente associato, sia nel contesto che nell’interpretazione
teologica del termine, la sfumatura «chiamati fuori da». Infatti, se andiamo ad
analizzare i brani in cui il concetto di «chiamati fuori» compare, notiamo che
il termine
ekklēsia ne è esente. E se analizziamo i brani in cui
ekklēsia compare, la sfumatura «chiamati fuori» è assente. Nel NT,
l’ekklesia è semplicemente il radunamento dei santi di Dio, in
contrapposizione a qualsiasi altro gruppo religioso o politico. È rilevante la
frase di Gesù riportata con le parole di Matteo: «…edificherò la mia ekklesia»
(Mt 16,18).
Anche su base diacronica, nella traduzione LXX del
Salmo 26,5, ritroviamo una ekklēsia che non è
chiamata fuori da Dio, ma è semplicemente definita come «l’assemblea dei
malvagi».
■ 4.
L’utilità dello studio diacronico
■
5.
Il caso «impertinente» di
dynamis
■
6.
Un appello conclusivo |
►
Seconda parte |
▲
Si veda anche l’ossessione d’alcuni studiosi per la gematria, opportunamente
mascherata da frasi spiritualiste come «la Bibbia è meravigliosa». La Bibbia è
ispirata, quindi, secondo loro, deve nascondere qualcosa d’immensamente grande e
«meraviglioso». Questo approccio, oltre che a essere «anti-esegetico», rasenta
lo gnosticismo vero e proprio. Un mio amico mi raccontò d’aver avuto a che fare
con discepoli d’un noto studioso evangelico italiano, i quali gli avrebbero
detto: «Se solo tu potessi vedere quello che vediamo noi nel testo».
Cfr. Moisès Silva, Biblical Word and their Meaning, pp. 1-51.
L’opera è tradotta in italiano col titolo Il Grande Lessico del Nuovo
Testamento, Paideia.
Il Louw-Nida è un’opera eccezionale. I termini non sono suddivisi in modo
alfabetico, ma per «campo semantico». Molto utile per notare i vari sinonimi
usati per uno stesso concetto. Un brano rilevante è Giovanni 21,15-17 in cui
compaiono i termini
agapao e fileo. Una breve occhiata a quest’opera c’indirizza a non scorgere
nessuna differenza di significato nei due termini. Per una spiegazione più
approfondita di questo brano si veda: Pietro Ciavarella, «I due amori di
Giovanni 21,15-17»,
Lux Biblica 39 (Anno XX, I sem.), pp. 95-101.
Questi strumenti non sono perfetti, ma rappresentano il meglio in circolazione.
Non ho incluso il NIDNTT e il NIDOTTE perché questi sono, per l’appunto,
dizionari «teologici». Vedi la critica del Silva al NIDNTT, «Reviews», in
Westminster Theological Journal V 43 2 (Spr. 1981), pp. 396-399.
È quello che io stesso ho fatto nel caso di 2 Pietro 1,3-4, essendo una frase
che si ritrova solo qui in tutto il NT.
Questo è essenziale se si vuole seguire questa metodologia. Infatti, dovrei
assicurarmi d’aver esaminato ogni possibile fonte extrabiblica, in cui il
termine compare, per asserire con certezza di non aver tralasciato nulla.
Questo concetto è ampliato in Grant R. Osborne, The Hermeneutical Spiral : A
Comprehensive Introduction to Biblical Interpretation (InterVarsity Press,
Downers Grove, Ill.: 2006, Rev. and expanded, 2nd ed., 87).
Decker, «How do we use biblical languages?», p. 5.
Cfr. Thiselton on Hermeneutics, 59; John Walton
Etymology.
Sembra che il primo a utilizzare l’illustrazione degli scacchi sia stato proprio
Saussure.
Ho preso tre termini a caso, ma per il puro divertimento; invito a scorrere un
po’ di voci in un comune dizionario, ancora meglio se «etimologico».
Esempio preso dal Dizionario Devoto Oli.
[15]
Stanley E. Porter, vol. 25, «Handbook to Exegesis of the New Testament», New
Testament tools and studies
114 (Leiden; New York: Brill, 1997).
J. Vendryes’s, Language: A Linguistic Introduction to History, pg 176,
citato in Silva, p. 47.
[19]
Peter Cotterell, in «Linguistics,
meaning, semantics, and discourse analysis»,
in NIDOTTE.
[20]
William W. Klein, Craig Blomberg, Robert L. Hubbard and Kermit Allen
Ecklebarger, Introduction to Biblical Interpretation 242 (Dallas, Tex.:
Word Pub., 1993).
[21]
Ibid., p. 245. cfr. p. 240.
Si devono scegliere solo i termini che davvero presentano qualche difficoltà, o
comunque termini importanti. Ricerche su articoli, congiunzioni e termini, di
cui conosciamo in modo chiaro e semplice il loro significato, possono essere
molto interessanti, ma frustranti e inutili.
[23]
NIDOTTE, s.v. «B. Semantic
Fields and Words», n. p.
Dello stesso parere anche il NIDNTT.
[26]
L&N, s.v. «Table of Domains», n. p.
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URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Analisi_lessicale_BB1_AT.htm
18-05-2010; Aggiornamento: 29-06-2010 |