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La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Tutto ciò che serve per istruire il neofita nella sana dottrina e in una sana morale cristiana, per così orientarsi nell'insegnamento biblico di base, nella devozione e nel discernimento spirituale riguardo alle questioni che attengono alla fede biblica e al saggio comportamento nel mondo. È «vademecum» per chiunque voglia trasmettere la fede biblica.

   Ecco le singole parti principali:
01. La via che porta a Dio;
02. Le basi della fede
03. La Sacra Scrittura
04. Dio
05. Creazione e caduta dell’uomo
06. Gesù Cristo
07. Lo Spirito Santo
08. La salvezza dell’uomo
09. Il cammino di fede
10. La chiesa biblica
11. Ordinamenti e radunamenti
12. L’opera della chiesa
13. Il diavolo
14. Le cose future
15. Aspetti dell’etica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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NATURA DIVINA FRA CAPARRA E ADEMPIMENTO FINALE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Nella teologia cristiana si parla del «già qui e non ancora», ossia degli aspetti attuali della salvezza in attesa del loro compimento finale. La fede dei cristiani biblici è posta, in tal modo, in una certa tensione fra il primo e il secondo avvento di Gesù Cristo. Tale tensione rimane anche nell’interpretazione di brani come 2 Pietro 1,3-4. È evidente che a seconda se si privilegerà il «già qui» (attualità della salvezza) o il «non ancora» (salvezza futura), s’arriverà a un’altra conclusione riguardo a tale brano.

     L’articolo di Tonino Mele porta il titolo «2 Pietro 1,3-4 tra storia ed escatologia»; esso risponde a quello precedente di Francesco Grassi dal titolo «Natura divina e incorruttibilità in 2 Pietro 1,3-4». Francesco Grassi privilegia una tesi più escatologica, privilegiando l’opzione esegetica seguita ad esempio da I.H. Marshall. Tonino Mele sostiene la tesi più storica, privilegiando l’opzione esegetica seguita ad esempio da Michael Green. Chiaramente ambedue gli articoli sono pregevoli, e siamo grati agli autori per le loro fatiche.

     I lettori che studieranno e confronteranno ambedue gli articoli, avranno un buon esercizio d’ermeneutica biblica e metteranno così alla prova le proprie capacità interpretative. Chiaramente questo non è cibo per i principianti, ma è destinato ai credenti maturi e pieni di discernimento.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

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I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Vari e brevi

2. Pietro Calenzo

3. Francesco Grassi

4. Tonino Mele

5. Francesco Grassi

6. Nicola Martella

7. Gianni Siena

8.

9.

10.

11.

12.

 

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1. {Vari e brevi}

 

■ Che io abbia capito, l’apostolo Pietro per «natura divina» intende l’uomo nuovo rinnovato dallo Spirito di Dio. fraterni saluti. {Volto Di Gennaro; 26-03-2010}

 

 

2. {Pietro Calenzo}

 

Cari nella grazia, ben conscio di tutte le mie limitatezze, tenterò di dare il mio piccolo contributo, che coinvolge un gran numero da esegeti e di dottori del corpo di Cristo, considerando (e a ragione) di non facile interpretazione il prologo petrino della sua seconda lettera.

     La tensione che s’avverte in questa pericope (2 Pt 1,3-4), è tra l’attribuzione della «natura divina» a una promessa o benedizione già in atto (che è definita storica, come la nuova nascita, essere il tempio dello Spirito Santo, ecc.) o, viceversa, dare a questa grande benedizione una connotazione «escatologica», ossia della quale saremo benedetti al secondo avvento del Signore Gesù Messia, allorquando lo vedremo nella sua gloria infinita.

     In primo luogo, vorrei precisare, come saggiamente sottolinea Michael Green: «Pietro non intende dire che l’uomo viene assorbito dalla deità, ciò non farebbe altro che dissolvere l’identità individuale e rendere impossibile un incontro personale tra Dio e l’essere umano» (p. 96 opera citata dal fratello Mele). Piuttosto, essendo stati salvati dalla sovrana grazia di Dio, Egli ci fa partecipi, per la potenza di Cristo, della natura divina (che Paolo ad esempio chiama similmente nuova creazione in Cristo Gesù), distinguendo il Green, sempre il Perfetto dal perfettibile.

     Fare un’esegesi testuale è di primaria importanza; infatti l’uso dei verbi, il tempo dei verbi, la collocazione nel contesto storico, pagano o eresiaco (ellenista) possono donarci ausili e una chiave di lettura di notevole sussidio. È notorio che l’apostolo Pietro, sotto la guida dello Spirito Santo, sta elevando apologeticamente la fede e la realtà cristiana al di sopra della gnosi gentile e delle visioni particolari di gruppi ereticali, numerosi già a quel tempo.

     Kenneth O. Gangel, Hanry Mattew ( noto commentatore puritano calviniano) e Mariano de Gangi sembrano protendere per una reale e oggettiva presenza in ogni credente ora et nunc della natura divina, di cui parla Pietro nell’accezione storica. Diversamente il Bosio sembra sposare una posizione escatologica, cosi come H. Balz. E.W. Schrage.

     È utile ancora, ricordare che una delle eresie, che Pietro sta combattendo in questa santa Scrittura, è il noto docetismo di chiara matrice platonica, neoplatonica e proto-gnostica cristiana, che vedeva in Gesù non il Logos umanato, ma un essere divino prettamente spirituale. Tale eresia considerava ciò che era materia (quindi anche il corpo umano di Gesù) come qualcosa di non decoroso e antitetico alla loro gnosi. Infatti, ciò che era celestiale, doveva essere separato dalle cose materiali, corporee, visibili; poiché tutto ciò, che consisteva di materia, sapeva d’una caduta nel o dal peccato.

     D’altro canto non si può escludere che l’apostolo Pietro avesse in mente di sconfessare anche l’eresia ebionita, che vedeva in Gesù, sì, il Messia, quale inviato di Dio, ma solamente in quanto personaggio eccezionale dal forte carisma. Tali forme d’apologetica sono presenti e pregnanti anche nel corpus Giovannneo e in molte lettere di Paolo.

     A mio parere è importante rilevare che in gran parte del 1° capitolo dell’epistola petrina, egli ci parla di tutte le benedizioni che abbiamo in Gesù Cristo come figli di Dio, adesso e subito; e in tale prospettiva, infatti, si fa garante della piena ortodossia cristiana, come apostolo testimone oculare della maestà di Gesù (quest’epistola petrina è la Scrittura biblica, dove viene descritta con maggior risalto la potenza di Cristo), che viene accertata e trasmessa a ogni figlio del Signore.

     Nei capitoli successivi, invece, l’accento di Pietro è posto maggiormente sugli avvenimenti futuri, quindi su un piano più dichiaratamente escatologico. Infatti, tornando un attimo alla prima tesi, l’apostolo usa una terminologia greca che indica nel nostro contesto la «natura divina» (theias), la quale viene usata solo tre volte nel N.T. e che specifica una correlazione attuale e concreta nella divinità.

     Per chi volesse approfondire una più esaustiva conoscenza del testo in greco, si possono consultare le opere di Gangel, di Michael Green; o direttamente le traduzioni interlineari greco-inglese di Nestle-Aland o quella greco-italiana di Corsani; o ancora «Escatologia 1 e 2» di Nicola Martella e dall’«Avvento alla Parusia» sempre di Nicola Martella. È mia convinzione pertanto, che lungi dall’essere stato esaustivo o infallibile e con grande rispetto e amore fraterno per i carissimi Tonino Mele e Franceso Grassi, la natura divina, cui si riferisce l’apostolo Pietro debba o possa riferirsi a tutte le benedizioni che il Padre santo ci ha largito, sin dalla nuova nascita o rigenerazione in Cristo Gesù, nostro Signore, unto Re in eterno. Dio vi benedica nel santo nome di Gesù, il Cristo benedetto in eterno. Amen. {27-03-2010}

 

 

3. {Francesco Grassi}

 

Il «predicatore» scrive: «Il ferro forbisce il ferro; così un uomo ne forbisce un altro» (Pr 27,17). Ho letto l’articolo di Tonino ed è davvero un ottimo articolo. Ti ringrazio perché oltre alla possibilità che ci viene data d’esprimere le nostre opinioni, cresciamo attraverso le opinioni altrui. Cosa che spesso viene negata in seno alla chiesa locale. Non si smette d’imparare, e io personalmente non voglio smettere di farlo. Questo confronto con Tonino Mele è una sfida e allo stesso tempo un motivo per affinare i miei «attrezzi da lavoro». Credo però che, anche se si tratta di «cibo solido» (come lo hai definito tu), questo confronto dia la possibilità a tutti i lettori, non solo di chiarirsi le idee in merito a un brano specifico, ma anche d’osservare, valutare e sviluppare un «senso critico» che va oltre un giudizio superficiale e aprioristico. In sostanza, credo che sia il lettore colui che più di tutti può trarre beneficio da questo tipo di confronti.

     Quanto allo scritto di Tonino Mele, è sicuramente una possibile interpretazione, anche se per certi versi trovo le premesse un non sequitur. Il fatto, per esempio, che un contesto sia storico (ma io preferisco «etico»), non significa che ogni termine in esso debba essere appiattito e interpretato «storicamente» (nei soli tre versi di 1 Pietro 1,3-5 si ritrova un aspetto passato, uno presente e uno futuro). Seguire poi la linea del numero delle promesse / promessa per confermare che si tratti di concetti diversi, mi sembra rischioso: anche corruzione / corruzioni (1,4; 2,20) dovrebbero esserlo solo perché si trovano in «contesti diversi»? Sembra proprio di no, perché la «fraseologia» è la stessa.

     Quanto al contesto poi, non ho mai negato che il capitolo 1 sia prevalentemente «etico», ho solo negato che «partecipe della natura divina» sia tale, considerando tale risultato una «simbiosi» fra grammatica, sfondo del termine, contesto letterario e base per l’esortazione del verso 5. Mi sembra infatti che nei versi 3-4, l’opera passata e la promesse future di Dio facciano da base e incentivo per l’esortazione dei versi 5-11. Anche il contesto «etico» è stretto in un’inclusione formata dal verso 4 (futuro) e 11 (futuro). Quindi, la regola che il «contesto regna» non può significare che il «contesto tiranneggia»: alcuni termini e frasi ritengono il loro significato denotativo che non può essere obliterato dal contesto nel quale si trovano anche quando vengono contestualizzati. Possono infatti essere rettificati o «cristianizzati», come per l’appunto fa Pietro, ma non possono essere «neutralizzati».

     Certo poi, se seguiamo le suddivisioni attuali di capitoli, paragrafi e versetti, tutto è in contesto e tutto è fuori contesto. Seguire un’analisi semantico / discorsiva è senza dubbio più fruttuoso, e ci permette di capire come le singole parti «collaborino» alla medesima costruzione (tutte le epistole sono spinte da un’occasione e hanno uno scopo preciso).

     Visti gli ultimi interventi di questo tema di discussione, forse sarebbe utile precisare che lo gnosticismo nasce (se come reazione o come pensiero indipendente, se ne si può discutere) in epoca «post-apostolica». È un errore anacronistico vedere nella letteratura neo-testamentaria lo gnosticismo del secondo secolo. In 2 Pietro poi, il problema era costituito da scetticismo e libertinismo, non il docetismo o lo gnosticismo. Che poi Pietro combatta l’immoralità, caratteristica anche dello gnosticismo, non significa che anche le altre idee gnostiche debbano essere viste nella lettera e nel termine «gnosi» (ecco l’errore etimologico, e anche anacronistico in questo caso): in quale periodo della storia l’uomo non è immorale? È in 1 Giovanni che troviamo una qualche forma di docetismo (o più probabilmente le idee di Cerinto, per cui il Gesù divino sarebbe sceso sul Gesù umano al momento del battesimo e lo avrebbe lasciato prima della crocifissione), e in Colossesi una qualche forma di «ascetismo» proto-gnostico. Quanto a 1 Corinzi, i problemi sono più legati all’immoralità locale dovuta al paganesimo che non allo gnosticismo in senso tecnico. Questo è un errore che si ritrova anche in molti commentari che seguono una certa «parallelomania». Ad oggi comunque, il fatto che non siano stati rinvenuti documenti gnostici contemporanei agli scritti neo-testamentari, deve farci desistere dal proiettare idee postume al cristianesimo apostolico, negli scritti del NT.

     Che Pietro quindi usi termini quali «gnosi» o «epignosi» (con le argomentazioni che ne possono derivare, come nell’articolo di Tonino Mele), non significa che egli ne faccia uso in tono polemico o come strumento apologetico. I falsi profeti non pretendevano avere una conoscenza o una fede nascosta e privilegiata (così in Tonino Mele), ma negavano l’adempimento delle promesse / profezie, e negavano che vi fosse affatto una «conoscenza» della divinità; questi credevano che il cristianesimo stesso fosse un «mito» (1,16). Con la frase «noi l’abbiamo sentita quella voce...» (1,18), Pietro non vuole combattere il docetismo (il linguaggio è molto più forte in 1 Gv 1,1-4), o lo gnosticismo, ma garantire che l’insegnamento apostolico ha valenza quanto la «parola profetica più salda». Questo è confermato dal fatto che al capitolo 3,1-3, Pietro, esortando i suoi lettori, pone sullo stesso piano «le parole già dette dai santi profeti e il comandamento del Signore e Salvatore trasmessovi dai vostri apostoli». Ma non solo. L’episodio, cui fanno riferimento le parole di Pietro, è la trasfigurazione, episodio che nel resoconto dei Evangeli sembra rappresentare un assaggio del regno di Dio (in tutti e tre gli evangelisti, dopo le parole «vi sono alcuni che non gusteranno la morte prima d’aver visto il regno di Dio venire con potenza», segue subito dopo il commento, rispettivamente di Matteo e Marco «sei giorni dopo Gesù prese...» e Luca «circa otto giorni dopo»). Pietro vuole quindi dimostrare che la promessa riguardo alla parusia è vera, tanto vera da essere stata anticipata (ecco ancora la nostra tensione) alla trasfigurazione di Gesù. Di questo Pietro e gli apostoli erano stati testimoni, e questo volevano confermare; non che avevano toccato e udito il Gesù «storico» in opposizione al Gesù «mistico» degli gnostici.

     Sì, prediligo l’interpretazione escatologica perché il tono della lettera è escatologico, perché lo scopo di Pietro nello scrivere è escatologico (3,1ss), perché la terminologia è escatologica. È questo «non ancora» che vuole influenzare il nostro «qui e ora»; è in vista di quel che sarà che dobbiamo «metterci da parte nostra ogni impegno»; è in vista dell’adempimento delle «preziose e grandissime promesse» che dobbiamo aspettare «in modo d’essere trovati da lui immacolati e irreprensibili nella pace» (3,14). Ma così non la pensavano i falsi profeti. La «vera» dicotomia? Non credo sia apostoli-lettori; il cambio di persona dalla prima alla seconda pl. è un cambio ad hoc, dovuto al fatto che sono i lettori che Pietro vuole esortare; cambia quindi referente prima d’introdurre l’esortazione dei versi 5-10 (un semplice cambio linguistico quindi). La vera dicotomia è quindi fra i figli di Dio e il loro futuro glorioso, e i ribelli e il loro giudizio eterno. Un saluto fraterno. {28-03-2010}

 

 

4. {Tonino Mele}

 

Per ragioni di brevità e per non annoiare chi legge, articolerò la mia replica in 10 punti.

 

     ■ 1. Mi fa piacere che Francesco riconosca che il contesto di 2 Pietro 1,3-5 è storico e non escatologico e concordo con lui che questo non ci deve portare a «appiattire e interpretare storicamente» ogni parte del testo. Tuttavia, non basta quest’affermazione di carattere generale e in quanto tale condivisibile, per dimostrare che la specifica frase in oggetto — «partecipi della natura divina» — non debba essere intesa secondo una prospettiva storica.

 

     ■ 2. Aver detto che in 2 Pietro 3 s’usa il singolare «promessa», mentre al capitolo 1 s’usa il plurale «promesse», era solo un’osservazione e non del tutto fuori luogo, se viste nel loro contesto. Nel capitolo 3 s’usa il singolare, perché si sta parlando d’una promessa precisa, quella della «venuta» futura del Signore. Nel capitolo 1 invece il contesto non ci dà questa stessa certezza, e l’uso del plurale non fa che accrescere questa incertezza, che mal si sposa con la sicurezza, con cui Francesco identificava questo brano come escatologico. Il termine «corruzione» (1,4) poi, pur essendo singolare, non può vantare d’un contesto, come per il singolare «promessa», che gli dia un senso preciso e circostanziato. Per cui, l’accostamento che ne fa Francesco è improprio.

 

     ■ 3. Avendo definito «storico» il contesto di 2 Pietro 1,3-5 non volevo esaurire le peculiarità di questo testo, che ha ragione Francesco a definire anche «etico» e direi «parenetico». Ho usato l’espressione «storico» per marcare maggiormente il contrasto con «escatologico». Tuttavia, non ho escluso che il nostro testo abbia anche peculiarità escatologiche ed etiche. Ora, però, neppure il termine etico è da «preferire», in quanto c’è altresì una buona componente «dottrinale».

 

     ■ 4. Quando Francesco parla di «significato denotativo» d’alcuni termini, io preferisco parlare di «campo semantico». Nel campo semantico si tiene conto di tutta la gamma di significati che un termine ha avuto nel tempo (studio diacronico) e poi si studia quale meglio s’adatta al contesto corrente (studio sincronico). Parlare di significato «denotativo» rischia d’essere riduttivo. E questo può essere il caso del termine «promesse» in 2 Pietro 1,3-5. [N.d.R.: «Sincronico» intende qui in un dato momento della storia, «diacronico» significa l’uso e lo sviluppo di un dato termine nel tempo.]

 

     ■ 5. A proposito della genesi dello gnosticismo, pur essendo esploso in epoca post-apostolica, non si può escludere a priori che esso possa essere maturato in epoca anteriore, come spesso succede ai movimenti delle idee e religiosi. E sono diversi gli studiosi che parlano d’un proto-gnosticismo già contemplato nelle lettere paoline ai Corinzi e ai Colossesi.

 

     ■ 6. Leggere il termine «gnosis» in chiave anti-gnostica è per me solo un’ipotesi di lavoro che non è neppure rilevante per la corretta comprensione del termine stesso. Anche ammesso che Pietro non volesse contrapporsi alla conoscenza «privilegiata» degli gnostici, il significato che egli dà a questo termine è chiaro e riguarda la dimensione storica del Cristo (cfr. 1,16).

 

     ■ 7. L’affermazione di Francesco che «Pietro... vuole garantire che l’insegnamento apostolico ha valenza quanto la parola profetica più salda», non mi pare il senso più immediato che traspare da questo brano. Non traspare affatto questa contrapposizione con l’AT. Forse andrebbe meglio argomentata...

 

     ■ 8. Che la trasfigurazione rappresenti un’anticipazione della parusia, può essere una chiave di lettura, anche se il senso di questo straordinario e misterioso evento è più sicuro prenderlo dal contenuto dei discorsi tra Gesù e Mosè e Elia, discorsi che non vertevano tanto sulla «parusia», quanto sulla «dipartita» di Gesù (Lc 9,31). Resta poi da dimostrare quale senso aveva in mente Pietro, quando ha citato questo evento nella sua lettera.

 

     ■ 9. L’affermazione «è in vista di quel che sarà che dobbiamo “metterci da parte nostra ogni impegno”, corrisponde più alle premesse, a cui Francesco s’ispira che al testo in esame, il quale motiva il nostro «impegno», in vista di «non essere pigri né sterili nella conoscenza del Signor Gesù» (v. 9). Qualcosa dunque che attiene al qui e ora, alla conoscenza attuale del Cristo risorto e non a quella del Cristo escatologico.

 

     ■ 10. Infine, riguardo al «cambio di referente» presente nel contesto di 2 Pietro 1,3-5, non sarei così veloce a derubricarlo a «semplice cambio linguistico». All’espressione «quanto la nostra» (v. 1) si contrappone l’espressione «da parte vostra» (v. 5). Si tratta solo d’una variazione linguistica? Inoltre, il termine chiave di questo brano, cioè «conoscenza», vede contrapposti la conoscenza oculare del Cristo, di cui gli apostoli sono depositari (v. 16), con l’esortazione a crescere nella conoscenza rivolta ai suoi lettori (v. 5). È solo una differenza linguistica?

 

Come s’evince, oltre che replicare ho voluto anche chiarire meglio il mio pensiero. Lascio al lettore trarre le sue conclusioni. Fraterni saluti.

 

 

5. {Francesco Grassi}

 

Nota redazionale: Qui l’autore risponde a Tonino Mele, seguendo i punti da lui impostati. Si consiglia di leggere tali punti parallelamente, per venirne a capo.

 

     ■ 1. «Solo» questo? Mi sembra d’aver presentato altre prove. E comunque, perché nel caso sostenuto da Tonino, dimostrare che il contesto è storico, dovrebbe invece bastare per dimostrare errata la mia tesi se, come egli afferma qui, non è giusto «appiattire» ogni termine?

 

     ■ 2. Sono un po’ inquieto, poi, per l’ostinazione riguardo alla connessione «dopo essere fuggiti alla corruzione, che è nel mondo» (1,4) e «dopo essere fuggiti alle contaminazioni del mondo» (2,20): non si tratta della stessa fraseologia? È un parallelo improprio? Chi legge dovrebbe dedurre questo, perché lo dice Tonino (il quale ha presentato una mezza citazione dei versi) o leggendo i due versi?

 

     ■ 3. È chi ha mai detto che etico sia «non dottrinale»? Perché correggere ciò che uno non ha detto?

 

     ■ 4. Il campo semantico non si determina a questo modo. Vedi qualche testo di linguistica. Quello di cui parla Tonino, senza saperlo, è la storia del termine. Il senso «denotativo» poi non esclude quello «semantico», ma si trova all’interno del suo campo. Riduttivo? È proprio quello che si fa nello studio del «campo semantico» d’un termine. In certi casi poi, non essendo possibile un confronto lessicale, il campo semantico è così ristretto che il senso denotativo diventa l’unico possibile. Inoltre, il campo semantico d’un termine non si determina da uno studio «diacronico» ma da i vari significati / sfumature correnti che un termine ha; solo successivamente si ricorre allo «studio diacronico» d’un termine. Una comprensione maggiore in quest’ambito ci aiuterebbe a non prendere «fischi per fiaschi».

 

     ■ 5. Chi ha negato questo? Io stesso ho precisato che si può parlare di proto-gnosticismo con particolare riferimento a Colossesi. Non capisco la motivazione di questa precisazione (infatti abbiamo detto più o meno la stessa cosa). Questo comunque non significa che 2 Pietro stia affrontando tale questione gnostica. Non è metodologicamente corretto cercare di dimostrare un’influenza gnostica in altri scritti, per poi importarne i risultati in 2 Pietro.

     Quanto ai «molti» studiosi, sarei davvero interessato a conoscerne i nomi, e magari qualche nota a piè di pagina aiuterebbe i lettori. I maggiori commentari alla lettera di Prima Corinzi, (Fee, Thiselton, e Garland), le introduzioni al NT (Carson, Guthrie) e le tante opere specifiche al riguardo parlano della tendenza di vedere un qualche gnosticismo storico/tecnico, come un «errore rosso ormai da abbandonare». Se questa tendenza si ritrova in vecchi commentari, è oramai riconosciuto essere un errore da abbandonare. Le cause di termini, concetti, problemi, peccati sono da ritrovarsi altrove.

 

     ■ 6. Nella gnosi della quale Pietro parla si deve «crescere». La trovo cosa difficile, se egli la intende come conoscenza storica. Come si può progredire in essa? Questa interpretazione tradisce, oltre che forse la proiezione moderna dei dibattiti sulla «storicità di Cristo» (cosa che nemmeno gli gnostici negavano, ma reinterpretavano), il preconcetto che Tonino vuole usare per caricare di significato «storico» la frase discussa, cioè «partecipi della natura divina». Anche questo è illegittimo.

     Inoltre, è regola appurata in ermeneutica che un termine non può essere definito in base a una ricorrenza successiva dello stesso, soprattutto quando il termine non compare nel verso preso a conferma, cioè 1,16! Ciò di cui gli apostoli sono stati testimoni, dice Pietro, è la sua trasfigurazione, evento precursore della gloria alla parusia. [N.d.R.: La parusia è l’avvento del Messia in gloria alla fine dei tempi.] Ora, non possiamo fare un’esegesi dettagliata di tutta la lettera, ma il verso 1,16, più che parlare di «conoscenza storica» (e si ricordi che il termine non compare!), parla di «testimonianza della trasfigurazione e della voce dal cielo». Perché parlare di quest’evento e non del semplice essere stati con Gesù (cfr. 1 Gv 1,1ss)? Sembra (e non sono l’unico a sostenerlo) che Pietro stia dicendo di «aver fatto conoscere la potenza e la venuta di Gesù, del suo ritorno futuro (il termine utilizzato è parousia), cioè proprio perché (sono stati testimoni d’una sua anticipazione, cioè, la trasfigurazione (cfr. Investigare le Scritture, p. 912; Bauckham, p. 215, Bigg, p. 266; BDAG parousia; sembra che anche Michael Green conceda che sia una possibile opzione, p. 92. vers. inglese. Ma Tonino non ne fa menzione).

     In ultima analisi, il temine gnosis è certamente chiave nel capitolo 1, ma non ha sfaccettatura storica, bensì personale e intima. Come dovremmo intendere l’affermazione di Tonino: «Il significato che egli dà a questo termine è chiaro e riguarda la dimensione storica del Cristo», quando questa «chiarezza» si basa sull’ipotesi della presunta presenza d’un termine, in un presunto versetto che parlerebbe della «dimensione storica del Cristo»? Mi chiedo: Non dovremmo partire dai dati «certi» e non dalle ipotesi? (Per qualche approfondimento si veda Investigare le Scritture, pp. 912ss; Bauckham, pp. 215ss; Green, pp. 70ss).

 

     ■ 7. Oltre a non aver letto le motivazioni della mia conclusione, sembra che Tonino abbia ben notato le foglie, ma non sia riuscito a vedere le querce. Comunque, accogliamo il consiglio e argomentiamo meglio (spero serva):

            ● Si noti il parallelismo nei versi 1,18-19: «…e noi l’abbiamo udita quella voce… abbiamo inoltre la parola profetica più salda…». Abbiamo in contrapposizione una voce dal cielo, e «inoltre» una parola più salda, se la parola degli apostoli non dovesse bastare.

            ● Dopo l’affermazione riguardo alla parola profetica, alla quale i lettori dovevano prestare attenzione, segue il consiglio di «non ascoltare» la parola dei falsi profeti (cap. 2). Alla fine di tale discorso (3,1ss) Pietro ripete di «ricordare le parole dei santi profeti» (ispirati) e il «comandamento del Signore trasmesso dagli apostoli» (cfr. Investigare Le Scrittura, p. 928; e anche Michael Green, pp. 135, 101 versione inglese, che Tonino sembra non voler citare).

     Francamente non so se si può argomentare meglio, naturalmente, per chi vuole vedere.

 

     ■ 8. Anche in questo caso, sembra che Tonino non m’abbia letto bene. I sinottici precisano che Gesù fu trasfigurato «alcuni giorni dopo» che fu fatta l’affermazione riguardo a certuni che avrebbero visto il «regno di Dio venire con potenza». Non può essere un caso. Che i discorsi fra Gesù e gli altri due personaggi vertessero sulla dipartita del Signore, non annulla il valore di quest’evento connesso alla frase di Gesù solo un verso prima. Poi, non è l’evento trasfigurazione che deve prendere senso dai discorsi, ma la croce semmai (cfr. Investigare le Scritture, p. 921, Green, pp. 92ss.). Quindi, la trasfigurazione anticipa la parusia e non si tratta d’una chiave di lettura.

 

     ■ 9. Perché, se l’esortazione a metterci ogni impegno è strettamente connessa a «per questa stessa ragione» nello stesso verso, sarebbe meno preconcetto guardare a un riferimento più lontano? Io non lo escludo, ma vedo come contingente; forse una lieve distinzione fra motivazione / fine aiuterebbe: la motivazione (ragione) è quello che Dio ha fatto o farà, mentre il fine è quello di non essere pigri.

 

     ■ 10. Ora, mettiamo che io voglia sostenere una veduta «storica» della frase «partecipi della natura divina»; perché «da parte vostra» dovrebbe contrapporsi ad un riferimento più lontano, e non a un più vicino, per così dire, «da parte di Dio», cioè il suo averci reso partecipi della sua natura, elargito le sue promesse, salvati, ecc.? (Cfr. Briggs, 256-57; Investigare, p. 218; Green, p. 75.)

     A cosa farebbe riferimento, nello stesso verso «per questa stessa ragione metteteci da parte vostra ogni impegno», se non un rispondere all’opera (passata o futura che sia) di Dio? Quanto al confronto «quando la nostra / da parte vostra», questa è solo atomizzazione del testo: dovrebbe aver qualcosa di profondo da dire, solo perché vi sono due pronomi, rispettivamente alla 1a e 2a persona plurale?

Quanto, ancora, alla contrapposizione «conoscenza degli apostoli - conoscenza dei lettori», ribadiamo ciò che forse Tonino non ha notato: nel verso 1,16 il termine gnosis non compare nemmeno, e ciò di cui gli apostoli sono stati testimoni, fattore rilevante per le lettera, è la trasfigurazione quale pregustazione del ritorno del Signore. Questo ci proietta nuovamente in una prospettiva escatologica di tutta la lettera e dà valore a tutti i discorsi contenuti in essa.

 

Non so cosa il lettore possa intuire da questo dibattito. Non si discute più l’esegesi d’un verso soltanto, ma di tutto un approccio all’ermeneutica, alla necessità del confronto con altri studiosi, e forse, anche alle motivazioni delle risposte-chiarimento. Anche questo tipo di confronto può aiutare però a esercitare un sano discernimento di più largo raggio.

 

 

6. {Nicola Martella}

 

Non entro nel merito delle singole cose asserite. Ammetto che probabilmente tanti lettori (come io stesso) si perderanno in tale ping-pong, che non riescono più a decifrare fino in fondo, essendo risposte a osservazioni su asserzioni… di cui si è perso probabilmente il filo. Avrei preferito che in alcuni punti si fosse usato più il congiuntivo (o addirittura il condizionale) che l’indicativo. A certe frasi sicure e assolute avrei preferito quelle più umili di chi fa concessioni e presenta il proprio pensiero senza dare impulsivamente il sigillo di «illegittimità» alle tesi del proprio interlocutore. Anche indicare come «vecchio» il pensiero espresso dal proprio interlocutore, è come un boomerang, visto che le convinzioni dei pensatori, a cui ci si riferisce, sono spesso cicliche. Basta, a volte, una nuova scoperta, un nuovo documento, per ribaltare il tutto e mettere a nuovo concezioni ritenute vecchie e sepolte.

     Come vediamo, siamo arrivati ormai al capolinea. Le tesi di ambedue sono chiare, i fronti delineati e oramai non si affrontano più veramente alle esigenze testuali, ma si risponde all’altro mediante osservazioni e obiezioni che tendono a sminuire gli argomenti altrui e rafforzare i propri. È tipico di un tema sviscerato a sufficienza.

     Abbiamo visto che tale asserzione di base è unica nel NT e il contesto si può effettivamente leggere in due modi differenti, a seconda del punto di vista che si assume e degli elementi che si vorrà privilegiare. In genere, quando un brano è oscuro o ambiguo, si cerca in merito un brano chiaro per illuminare il primo. Al riguardo, però, non esiste, un tale brano chiaro e incontrovertibile, ossia che contenga tale locuzione o una simile; e tutti i brani, che si addurranno, dipenderanno dalla propria tesi di base: attualità o futura perfezione.

     In tali casi, la cosa più saggia è probabilmente quella di lasciare tale tensione fra tempo storico (presente) e tempo escatologico (fine dei tempi).

     ■ Se ammettiamo che il brano sia maggiormente storico, dobbiamo ricordarci che l’oggi è nella fede pur sempre un’anticipazione di ciò che sarà, una caparra di ciò che saremo.

     ■ Se ammettiamo che il brano sia maggiormente in prospettiva escatologica, dobbiamo ricordarci che ciò che saremo getta già la sua luce sull’oggi. Diverremo soltanto ciò che abbiamo già oggi in Cristo, nel senso che miriamo da lontano l’albero che saremo, avendone già oggi in noi stessi il seme germogliato.

 

Lasciamo quindi tale tensione nel testo con tutta la sua dinamica fra «il già qui e non ancora». Un mio motto, tratto dalla quintessenza di epistole come Efesini, Colossesi e altre, recita così: «Nella dinamica della fede le cose stanno così che “in Cristo” siamo già giunti alla meta “con Lui”, pur essendo noi esistenzialmente ancora per strada».

 

 

7. {Gianni Siena}

 

L’articolo di Tonino Mele è pregevole e pure l’altro. Molti anni fa, in fabbrica, quando militavo per la giustizia e non per l’ideologia di sinistra, ascoltai un detto marxista che trovo a volte valido. Esso recita appunto così: «Quando una tesi si scontra con un’antitesi, esse si confrontano e ne nasce una sintesi». Quando due posizioni sono a confronto e con elementi validi in entrambe, si contestualizzano i punti di vista, affinché il loro meglio origini un ragionamento più completo e valido... spesso funziona anche in teologia biblica. Dato che nessuno è perfetto e che ogni ragionamento biblico è sempre perfettibile, continuiamo a ragionare dando allo Spirito Santo la possibilità d’insegnarci qualcosa, consolandoci con il progresso d’un altro fratello. Siamo «umani»! Saluti e benedizioni dal Signore. {22 maggio 2010}

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Natur-div_caparra_ademp_EdF.htm

27-03-2010; Aggiornamento: 24-05-2010

 

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