Nella teologia
cristiana si parla del «già qui e non ancora», ossia degli aspetti
attuali della salvezza in attesa del loro compimento finale. La fede dei
cristiani biblici è posta, in tal modo, in una certa tensione fra il
primo e il secondo avvento di Gesù Cristo. Tale tensione rimane anche
nell’interpretazione di brani come 2 Pietro 1,3-4. È evidente che a seconda se
si privilegerà il «già qui» (attualità della salvezza) o il «non ancora»
(salvezza futura), s’arriverà a un’altra conclusione riguardo a tale brano.
L’articolo di Tonino Mele porta il titolo «2
Pietro 1,3-4 tra storia ed escatologia»; esso risponde
a quello precedente di Francesco Grassi dal titolo «Natura
divina e incorruttibilità in 2 Pietro 1,3-4». Francesco Grassi
privilegia una tesi più escatologica, privilegiando l’opzione esegetica
seguita ad esempio da I.H. Marshall. Tonino Mele sostiene la tesi più storica,
privilegiando l’opzione esegetica seguita ad esempio da Michael Green.
Chiaramente ambedue gli articoli sono pregevoli, e siamo grati agli autori per
le loro fatiche.
I lettori che studieranno e confronteranno ambedue gli articoli, avranno un buon
esercizio d’ermeneutica biblica e metteranno così alla prova le proprie
capacità interpretative. Chiaramente questo non è cibo per i principianti, ma è
destinato ai credenti maturi e pieni di discernimento.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1. {Vari e brevi}
▲
■ Che io abbia capito, l’apostolo Pietro per «natura divina» intende l’uomo
nuovo rinnovato dallo Spirito di Dio. fraterni saluti. {Volto Di Gennaro;
26-03-2010}
2. {Pietro Calenzo}
▲
Cari nella grazia,
ben conscio di tutte le mie limitatezze, tenterò di dare il mio piccolo
contributo, che coinvolge un gran numero da esegeti e di dottori del corpo di
Cristo, considerando (e a ragione) di non facile interpretazione il prologo
petrino della sua seconda lettera.
La
tensione che s’avverte in questa pericope (2 Pt 1,3-4), è tra
l’attribuzione della «natura divina» a una promessa o benedizione
già in atto (che è definita storica, come la nuova nascita, essere il tempio
dello Spirito Santo, ecc.) o, viceversa, dare a questa grande benedizione una
connotazione «escatologica», ossia della quale saremo benedetti al
secondo avvento del Signore Gesù Messia, allorquando lo vedremo nella sua gloria
infinita.
In primo luogo, vorrei precisare, come saggiamente sottolinea Michael Green:
«Pietro non intende dire che l’uomo viene assorbito dalla deità, ciò non
farebbe altro che dissolvere l’identità individuale e rendere impossibile un
incontro personale tra Dio e l’essere umano» (p. 96 opera citata dal fratello
Mele). Piuttosto, essendo stati salvati dalla sovrana grazia di Dio, Egli ci
fa partecipi, per la potenza di Cristo, della natura divina (che Paolo ad
esempio chiama similmente nuova creazione in Cristo Gesù), distinguendo il
Green, sempre il Perfetto dal perfettibile.
Fare un’esegesi testuale è di primaria importanza; infatti l’uso dei
verbi, il tempo dei verbi, la collocazione nel contesto storico, pagano o
eresiaco (ellenista) possono donarci ausili e una chiave di lettura di notevole
sussidio. È notorio che l’apostolo Pietro, sotto la guida dello Spirito Santo,
sta elevando apologeticamente la fede e la realtà cristiana al di sopra della
gnosi gentile e delle visioni particolari di gruppi ereticali, numerosi già
a quel tempo.
Kenneth O. Gangel, Hanry Mattew ( noto commentatore puritano calviniano) e
Mariano de Gangi sembrano protendere per una reale e oggettiva presenza
in ogni credente ora et nunc della natura divina, di cui parla Pietro
nell’accezione storica. Diversamente il Bosio sembra sposare una posizione
escatologica, cosi come H. Balz. E.W. Schrage.
È utile ancora, ricordare che una delle eresie, che Pietro sta combattendo in
questa santa Scrittura, è il noto docetismo di chiara matrice platonica,
neoplatonica e proto-gnostica cristiana, che vedeva in Gesù non il Logos
umanato, ma un essere divino prettamente spirituale. Tale eresia considerava ciò
che era
materia (quindi anche il corpo umano di Gesù) come qualcosa di non decoroso
e antitetico alla loro gnosi. Infatti, ciò che era celestiale, doveva essere
separato dalle cose materiali, corporee, visibili; poiché tutto ciò, che
consisteva di materia, sapeva d’una caduta nel o dal peccato.
D’altro canto non si può escludere che l’apostolo Pietro avesse in mente di
sconfessare anche l’eresia ebionita, che vedeva in Gesù, sì, il Messia,
quale inviato di Dio, ma solamente in quanto personaggio eccezionale dal forte
carisma. Tali forme d’apologetica sono presenti e pregnanti anche nel corpus
Giovannneo e in molte lettere di Paolo.
A mio parere è importante rilevare che in gran parte del 1° capitolo
dell’epistola petrina, egli ci parla di tutte le benedizioni che abbiamo in Gesù
Cristo come figli di Dio, adesso e subito; e in tale prospettiva,
infatti, si fa garante della piena ortodossia cristiana, come apostolo testimone
oculare della maestà di Gesù (quest’epistola petrina è la Scrittura biblica,
dove viene descritta con maggior risalto la potenza di Cristo), che viene
accertata e trasmessa a ogni figlio del Signore.
Nei capitoli successivi, invece, l’accento di Pietro è posto maggiormente
sugli avvenimenti futuri, quindi su un piano più dichiaratamente
escatologico. Infatti, tornando un attimo alla prima tesi, l’apostolo usa una
terminologia greca che indica nel nostro contesto la «natura divina» (theias),
la quale viene usata solo tre volte nel N.T. e che specifica una correlazione
attuale e concreta nella divinità.
Per chi volesse approfondire una più esaustiva conoscenza del testo in
greco, si possono consultare le opere di Gangel, di Michael Green; o
direttamente le traduzioni interlineari greco-inglese di Nestle-Aland o quella
greco-italiana di Corsani; o ancora «Escatologia 1 e 2» di Nicola Martella e
dall’«Avvento alla Parusia» sempre di Nicola Martella. È mia convinzione
pertanto, che lungi dall’essere stato esaustivo o infallibile e con grande
rispetto e amore fraterno per i carissimi Tonino Mele e Franceso Grassi, la
natura divina, cui si riferisce l’apostolo Pietro debba o possa riferirsi a
tutte le benedizioni che il Padre santo ci ha largito,
sin dalla nuova nascita o rigenerazione in Cristo Gesù, nostro Signore,
unto Re in eterno. Dio vi benedica nel santo nome di Gesù, il Cristo benedetto
in eterno. Amen. {27-03-2010}
3. {Francesco Grassi}
▲
Il «predicatore»
scrive: «Il ferro forbisce il ferro; così un uomo ne forbisce un altro»
(Pr 27,17). Ho letto l’articolo di Tonino ed è davvero un ottimo articolo. Ti
ringrazio perché oltre alla possibilità che ci viene data d’esprimere le nostre
opinioni,
cresciamo attraverso le opinioni altrui. Cosa che spesso viene negata in
seno alla chiesa locale. Non si smette d’imparare, e io personalmente non voglio
smettere di farlo. Questo confronto con Tonino Mele è una sfida e allo stesso
tempo un motivo per affinare i miei «attrezzi da lavoro». Credo però che, anche
se si tratta di «cibo solido» (come lo hai definito tu), questo confronto dia la
possibilità a tutti i lettori, non solo di chiarirsi le idee in merito a un
brano specifico, ma anche d’osservare, valutare e sviluppare un «senso
critico» che va oltre un giudizio superficiale e aprioristico. In sostanza,
credo che sia il lettore colui che più di tutti può trarre beneficio da questo
tipo di confronti.
Quanto allo scritto di Tonino Mele, è sicuramente una
possibile interpretazione, anche se per certi versi trovo le premesse un
non sequitur. Il fatto, per esempio, che un
contesto sia storico (ma io preferisco «etico»), non significa che
ogni termine in esso debba essere appiattito e interpretato «storicamente» (nei
soli tre versi di 1 Pietro 1,3-5 si ritrova un aspetto passato, uno presente e
uno futuro). Seguire poi la linea del numero delle promesse / promessa
per confermare che si tratti di concetti diversi, mi sembra rischioso: anche
corruzione / corruzioni (1,4; 2,20) dovrebbero esserlo solo perché si trovano in
«contesti diversi»? Sembra proprio di no, perché la «fraseologia» è la stessa.
Quanto al contesto poi, non ho mai negato che il capitolo 1 sia
prevalentemente «etico», ho solo negato che «partecipe della natura divina» sia
tale, considerando tale risultato una «simbiosi» fra grammatica, sfondo del
termine, contesto letterario e base per l’esortazione del verso 5. Mi sembra
infatti che nei versi 3-4, l’opera passata e la promesse future di Dio facciano
da base e incentivo per l’esortazione dei versi 5-11. Anche il contesto «etico»
è stretto in un’inclusione formata dal verso 4 (futuro) e 11 (futuro).
Quindi, la regola che il «contesto regna» non può significare che il «contesto
tiranneggia»: alcuni termini e frasi ritengono il loro significato
denotativo che non può essere obliterato dal contesto nel quale si trovano
anche quando vengono contestualizzati. Possono infatti essere rettificati
o «cristianizzati», come per l’appunto fa Pietro, ma non possono essere
«neutralizzati».
Certo poi, se seguiamo le suddivisioni attuali di capitoli, paragrafi e
versetti, tutto è in contesto e tutto è fuori contesto. Seguire un’analisi
semantico / discorsiva è senza dubbio più fruttuoso, e ci permette di capire
come le singole parti «collaborino» alla medesima costruzione (tutte le epistole
sono spinte da un’occasione e hanno uno scopo preciso).
Visti gli ultimi interventi di questo tema di discussione, forse sarebbe utile
precisare che lo gnosticismo nasce (se come reazione o come pensiero
indipendente, se ne si può discutere) in epoca «post-apostolica». È un errore
anacronistico vedere nella letteratura neo-testamentaria lo gnosticismo del
secondo secolo. In 2 Pietro poi, il problema era costituito da scetticismo
e
libertinismo, non il docetismo o lo gnosticismo. Che poi Pietro combatta
l’immoralità, caratteristica anche dello gnosticismo, non significa che anche le
altre idee gnostiche debbano essere viste nella lettera e nel termine «gnosi»
(ecco l’errore etimologico, e anche anacronistico in questo caso): in quale
periodo della storia l’uomo non è immorale? È in 1 Giovanni che troviamo
una qualche forma di docetismo (o più probabilmente le idee di Cerinto, per cui
il Gesù divino sarebbe sceso sul Gesù umano al momento del battesimo e lo
avrebbe lasciato prima della crocifissione), e in
Colossesi una qualche forma di «ascetismo» proto-gnostico. Quanto a 1
Corinzi, i problemi sono più legati all’immoralità locale dovuta al
paganesimo che non allo gnosticismo in senso tecnico. Questo è un errore che si
ritrova anche in molti commentari che seguono una certa «parallelomania». Ad
oggi comunque, il fatto che non siano stati rinvenuti documenti gnostici
contemporanei agli scritti neo-testamentari, deve farci desistere dal proiettare
idee postume al cristianesimo apostolico, negli scritti del NT.
Che Pietro quindi usi termini quali «gnosi» o «epignosi» (con le
argomentazioni che ne possono derivare, come nell’articolo di Tonino Mele), non
significa che egli ne faccia uso in tono polemico o come strumento apologetico.
I falsi profeti non pretendevano avere una conoscenza o una fede nascosta e
privilegiata (così in Tonino Mele), ma negavano l’adempimento delle
promesse / profezie, e negavano che vi fosse affatto una «conoscenza» della
divinità; questi credevano che il cristianesimo stesso fosse un «mito» (1,16).
Con la frase «noi l’abbiamo sentita quella voce...» (1,18), Pietro non
vuole combattere il docetismo (il linguaggio è molto più forte in 1 Gv 1,1-4), o
lo gnosticismo, ma garantire che l’insegnamento apostolico ha valenza
quanto la «parola profetica più salda». Questo è confermato dal fatto che
al capitolo 3,1-3, Pietro, esortando i suoi lettori, pone sullo stesso piano «le
parole già dette dai santi profeti e il comandamento del Signore e Salvatore
trasmessovi dai vostri apostoli». Ma non solo. L’episodio, cui fanno
riferimento le parole di Pietro, è la trasfigurazione, episodio che nel
resoconto dei Evangeli sembra rappresentare un assaggio del regno di Dio (in
tutti e tre gli evangelisti, dopo le parole «vi sono alcuni che non
gusteranno la morte prima d’aver visto il regno di Dio venire con potenza»,
segue subito dopo il commento, rispettivamente di Matteo e Marco «sei giorni
dopo Gesù prese...» e Luca «circa otto giorni dopo»). Pietro vuole
quindi dimostrare che la promessa riguardo alla parusia è vera, tanto
vera da essere stata anticipata (ecco ancora la nostra tensione) alla
trasfigurazione di Gesù. Di questo Pietro e gli apostoli erano stati testimoni,
e questo volevano confermare; non che avevano toccato e udito il Gesù «storico»
in opposizione al Gesù «mistico» degli gnostici.
Sì, prediligo l’interpretazione escatologica perché il tono della lettera
è escatologico, perché lo scopo di Pietro nello scrivere è escatologico (3,1ss),
perché la terminologia è escatologica. È questo «non ancora» che vuole
influenzare il nostro «qui e ora»; è in vista di quel che sarà che dobbiamo «metterci
da parte nostra ogni impegno»; è in vista dell’adempimento delle «preziose
e grandissime promesse» che dobbiamo aspettare «in modo d’essere trovati
da lui immacolati e irreprensibili nella pace» (3,14). Ma così non la
pensavano i falsi profeti. La «vera»
dicotomia? Non credo sia apostoli-lettori; il cambio di persona dalla prima
alla seconda pl. è un cambio ad hoc, dovuto al fatto che sono i lettori
che Pietro vuole esortare; cambia quindi referente prima d’introdurre
l’esortazione dei versi 5-10 (un semplice cambio linguistico quindi). La vera
dicotomia è quindi fra i figli di Dio e il loro futuro glorioso, e i ribelli e
il loro giudizio eterno. Un saluto fraterno. {28-03-2010}
4. {Tonino Mele}
▲
Per ragioni di
brevità e per non annoiare chi legge, articolerò la mia replica in 10 punti.
■ 1. Mi fa piacere che Francesco riconosca che il contesto di 2 Pietro
1,3-5 è
storico e non escatologico e concordo con lui che questo non ci deve portare
a «appiattire e interpretare storicamente» ogni parte del testo. Tuttavia, non
basta quest’affermazione di carattere generale e in quanto tale condivisibile,
per dimostrare che la specifica frase in oggetto — «partecipi della natura
divina» — non debba essere intesa secondo una prospettiva storica.
■ 2. Aver detto che in 2 Pietro 3 s’usa il singolare «promessa»,
mentre al capitolo 1 s’usa il plurale «promesse», era solo
un’osservazione e non del tutto fuori luogo, se viste nel loro contesto. Nel
capitolo 3 s’usa il singolare, perché si sta parlando d’una promessa precisa,
quella della «venuta» futura del Signore. Nel capitolo 1 invece il
contesto non ci dà questa stessa certezza, e l’uso del plurale non fa che
accrescere questa incertezza, che mal si sposa con la sicurezza, con cui
Francesco identificava questo brano come escatologico. Il termine «corruzione»
(1,4) poi, pur essendo singolare, non può vantare d’un contesto, come per il
singolare «promessa», che gli dia un senso preciso e circostanziato. Per
cui, l’accostamento che ne fa Francesco è improprio.
■ 3. Avendo definito «storico» il contesto di 2 Pietro 1,3-5 non volevo
esaurire le peculiarità di questo testo, che ha ragione Francesco a definire
anche «etico» e direi «parenetico». Ho usato l’espressione
«storico» per marcare maggiormente il contrasto con «escatologico». Tuttavia,
non ho escluso che il nostro testo abbia anche peculiarità escatologiche ed
etiche. Ora, però, neppure il termine etico è da «preferire», in quanto c’è
altresì una buona componente «dottrinale».
■ 4. Quando Francesco parla di «significato denotativo» d’alcuni termini, io
preferisco parlare di «campo semantico». Nel campo semantico si tiene
conto di tutta la gamma di significati che un termine ha avuto nel tempo (studio
diacronico) e poi si studia quale meglio s’adatta al contesto corrente
(studio sincronico). Parlare di significato «denotativo» rischia d’essere
riduttivo. E questo può essere il caso del termine «promesse» in 2 Pietro 1,3-5.
[N.d.R.: «Sincronico» intende qui in un dato momento della storia,
«diacronico» significa l’uso e lo sviluppo di un dato termine nel tempo.]
■ 5. A proposito della genesi dello gnosticismo, pur essendo esploso in
epoca post-apostolica, non si può escludere a priori che esso possa essere
maturato in epoca anteriore, come spesso succede ai movimenti delle idee e
religiosi. E sono diversi gli studiosi che parlano d’un proto-gnosticismo
già contemplato nelle lettere paoline ai Corinzi e ai Colossesi.
■ 6. Leggere il termine «gnosis» in chiave anti-gnostica è per me
solo un’ipotesi di lavoro che non è neppure rilevante per la corretta
comprensione del termine stesso. Anche ammesso che Pietro non volesse
contrapporsi alla conoscenza «privilegiata» degli gnostici, il significato che
egli dà a questo termine è chiaro e riguarda la dimensione storica del Cristo
(cfr. 1,16).
■ 7. L’affermazione di Francesco che «Pietro... vuole garantire che
l’insegnamento apostolico ha valenza quanto la parola profetica più salda»,
non mi pare il senso più immediato che traspare da questo brano. Non traspare
affatto questa contrapposizione con l’AT. Forse andrebbe meglio argomentata...
■ 8. Che la
trasfigurazione rappresenti un’anticipazione della parusia, può essere una
chiave di lettura, anche se il senso di questo straordinario e misterioso evento
è più sicuro prenderlo dal contenuto dei discorsi tra Gesù e Mosè e Elia,
discorsi che non vertevano tanto sulla «parusia», quanto sulla «dipartita»
di Gesù (Lc 9,31). Resta poi da dimostrare quale senso aveva in mente Pietro,
quando ha citato questo evento nella sua lettera.
■ 9. L’affermazione «è in vista di quel che sarà che dobbiamo “metterci
da parte nostra ogni impegno”, corrisponde più alle premesse, a cui
Francesco s’ispira che al testo in esame, il quale motiva il nostro «impegno»,
in vista di «non essere pigri né sterili nella conoscenza del Signor Gesù»
(v. 9). Qualcosa dunque che attiene al qui e ora, alla conoscenza attuale del
Cristo risorto e non a quella del Cristo escatologico.
■ 10. Infine, riguardo al «cambio di referente» presente nel contesto di
2 Pietro 1,3-5, non sarei così veloce a derubricarlo a «semplice cambio
linguistico». All’espressione «quanto la nostra» (v. 1) si contrappone
l’espressione «da parte vostra» (v. 5). Si tratta solo d’una variazione
linguistica? Inoltre, il termine chiave di questo brano, cioè «conoscenza»,
vede contrapposti la conoscenza oculare del Cristo, di cui gli apostoli sono
depositari (v. 16), con l’esortazione a crescere nella conoscenza rivolta ai
suoi lettori (v. 5). È solo una differenza linguistica?
Come s’evince,
oltre che replicare ho voluto anche chiarire meglio il mio pensiero.
Lascio al lettore trarre le sue conclusioni. Fraterni saluti.
5. {Francesco Grassi}
▲
Nota redazionale:
Qui l’autore risponde a Tonino Mele, seguendo i punti da lui impostati. Si
consiglia di leggere tali punti parallelamente, per venirne a capo.
■ 1. «Solo» questo? Mi
sembra d’aver presentato altre prove. E comunque, perché nel caso sostenuto da
Tonino, dimostrare che il contesto è storico, dovrebbe invece bastare per
dimostrare errata la mia tesi se, come egli afferma qui, non è giusto
«appiattire» ogni termine?
■ 2. Sono un po’ inquieto,
poi, per l’ostinazione riguardo alla connessione «dopo essere fuggiti alla
corruzione, che è nel mondo» (1,4) e «dopo essere fuggiti alle
contaminazioni del mondo» (2,20): non si tratta della stessa fraseologia? È
un parallelo improprio? Chi legge dovrebbe dedurre questo, perché lo dice Tonino
(il quale ha presentato una mezza citazione dei versi) o leggendo i due versi?
■ 3. È chi ha mai detto che
etico sia «non dottrinale»? Perché correggere ciò che uno non ha detto?
■ 4. Il campo semantico non
si determina a questo modo. Vedi qualche testo di linguistica. Quello di cui
parla Tonino, senza saperlo, è la storia del termine. Il senso «denotativo» poi
non esclude quello «semantico», ma si trova all’interno del suo campo.
Riduttivo? È proprio quello che si fa nello studio del «campo semantico»
d’un termine. In certi casi poi, non essendo possibile un confronto lessicale,
il campo semantico è così ristretto che il senso denotativo diventa l’unico
possibile. Inoltre, il campo semantico d’un termine non si determina da
uno studio «diacronico» ma da i vari significati / sfumature correnti che un
termine ha; solo successivamente si ricorre allo «studio diacronico» d’un
termine. Una comprensione maggiore in quest’ambito ci aiuterebbe a non prendere
«fischi per fiaschi».
■ 5. Chi ha negato questo?
Io stesso ho precisato che si può parlare di proto-gnosticismo con particolare
riferimento a Colossesi. Non capisco la motivazione di questa precisazione
(infatti abbiamo detto più o meno la stessa cosa). Questo comunque non significa
che 2 Pietro stia affrontando tale questione gnostica. Non è metodologicamente
corretto
cercare di dimostrare un’influenza gnostica in altri scritti, per poi
importarne i risultati in 2 Pietro.
Quanto ai «molti» studiosi,
sarei davvero interessato a conoscerne i nomi, e magari qualche nota a piè di
pagina aiuterebbe i lettori. I maggiori commentari alla lettera di Prima
Corinzi, (Fee, Thiselton, e Garland), le introduzioni al NT (Carson, Guthrie) e
le tante opere specifiche al riguardo parlano della tendenza di vedere un
qualche gnosticismo storico/tecnico, come un «errore rosso ormai da
abbandonare». Se questa tendenza si ritrova in vecchi commentari, è oramai
riconosciuto essere un errore da abbandonare. Le cause di termini, concetti,
problemi, peccati sono da ritrovarsi altrove.
■ 6. Nella gnosi della quale
Pietro parla si deve «crescere». La trovo cosa difficile, se egli la intende
come conoscenza storica. Come si può progredire in essa? Questa interpretazione
tradisce, oltre che forse la proiezione moderna dei dibattiti sulla «storicità
di Cristo» (cosa che nemmeno gli gnostici negavano, ma reinterpretavano), il
preconcetto che Tonino vuole usare per caricare di significato «storico» la
frase discussa, cioè «partecipi della natura divina». Anche questo è
illegittimo.
Inoltre, è regola appurata
in ermeneutica che un termine non può essere definito in base a una ricorrenza
successiva dello stesso, soprattutto quando il termine non compare
nel verso preso a conferma, cioè 1,16! Ciò di cui gli apostoli sono stati
testimoni, dice Pietro, è la sua trasfigurazione, evento precursore della gloria
alla parusia. [N.d.R.: La parusia è l’avvento del Messia in gloria alla fine dei
tempi.] Ora, non possiamo fare un’esegesi dettagliata di tutta la lettera, ma il
verso 1,16, più che parlare di «conoscenza storica» (e si ricordi che il termine
non compare!), parla di «testimonianza della trasfigurazione e della voce dal
cielo». Perché parlare di quest’evento e non del semplice essere stati con Gesù
(cfr. 1 Gv 1,1ss)? Sembra (e non sono l’unico a sostenerlo) che Pietro stia
dicendo di «aver fatto conoscere la potenza e la venuta di Gesù, del suo
ritorno futuro (il termine utilizzato è parousia), cioè proprio perché
(sono stati testimoni d’una sua anticipazione, cioè, la trasfigurazione (cfr.
Investigare le Scritture, p. 912; Bauckham, p. 215, Bigg, p. 266; BDAG
parousia; sembra che anche Michael Green conceda che sia una
possibile opzione, p. 92. vers. inglese. Ma Tonino non ne fa menzione).
In ultima analisi, il temine
gnosis è certamente chiave nel capitolo 1, ma non ha sfaccettatura storica,
bensì personale e intima. Come dovremmo intendere l’affermazione di Tonino: «Il
significato che egli dà a questo termine è chiaro e riguarda la dimensione
storica del Cristo», quando questa «chiarezza» si basa sull’ipotesi della
presunta presenza d’un termine, in un presunto versetto che parlerebbe della
«dimensione storica del Cristo»? Mi chiedo: Non dovremmo partire dai dati
«certi» e non dalle ipotesi? (Per qualche approfondimento si veda Investigare
le Scritture, pp. 912ss; Bauckham, pp. 215ss; Green, pp. 70ss).
■ 7. Oltre a non aver letto
le motivazioni della mia conclusione, sembra che Tonino abbia ben notato le
foglie, ma non sia riuscito a vedere le querce. Comunque, accogliamo il
consiglio e argomentiamo meglio (spero serva):
●
Si noti il parallelismo nei versi 1,18-19: «…e noi l’abbiamo udita
quella voce… abbiamo inoltre la parola profetica più salda…». Abbiamo
in contrapposizione una voce dal cielo, e «inoltre» una parola più salda, se la
parola degli apostoli non dovesse bastare.
●
Dopo l’affermazione riguardo alla parola profetica, alla quale i lettori
dovevano prestare attenzione, segue il consiglio di «non ascoltare» la parola
dei falsi profeti (cap. 2). Alla fine di tale discorso (3,1ss) Pietro ripete di
«ricordare le parole dei santi profeti» (ispirati) e il «comandamento del
Signore trasmesso dagli apostoli» (cfr.
Investigare Le Scrittura, p. 928; e anche Michael Green, pp. 135,
101 versione inglese, che Tonino sembra non voler citare).
Francamente non so se si può
argomentare meglio, naturalmente, per chi vuole vedere.
■ 8. Anche in questo caso,
sembra che Tonino non m’abbia letto bene. I sinottici precisano che Gesù fu
trasfigurato «alcuni giorni dopo» che fu fatta l’affermazione riguardo a certuni
che avrebbero visto il «regno di Dio venire con potenza». Non può essere un
caso. Che i discorsi fra Gesù e gli altri due personaggi vertessero sulla
dipartita del Signore, non annulla il valore di quest’evento connesso alla frase
di Gesù solo un verso prima. Poi, non è l’evento trasfigurazione che deve
prendere senso dai discorsi, ma la croce semmai (cfr. Investigare le
Scritture, p. 921, Green, pp. 92ss.). Quindi, la trasfigurazione
anticipa la parusia e non si tratta d’una chiave di lettura.
■ 9. Perché, se
l’esortazione a metterci ogni impegno è strettamente connessa a «per questa
stessa ragione» nello stesso verso, sarebbe meno preconcetto guardare a un
riferimento più lontano? Io non lo escludo, ma vedo come contingente; forse una
lieve distinzione fra
motivazione / fine aiuterebbe: la motivazione (ragione) è quello che Dio ha
fatto o farà, mentre il fine è quello di non essere pigri.
■ 10. Ora, mettiamo che io
voglia sostenere una veduta «storica» della frase «partecipi della natura
divina»; perché «da parte vostra» dovrebbe contrapporsi ad un
riferimento più lontano, e non a un più vicino, per così dire, «da parte di
Dio», cioè il suo averci reso partecipi della sua natura, elargito le sue
promesse, salvati, ecc.? (Cfr.
Briggs, 256-57; Investigare, p. 218; Green, p. 75.)
A cosa farebbe riferimento,
nello stesso verso «per questa stessa ragione metteteci da parte vostra ogni
impegno», se non un rispondere all’opera (passata o futura che sia) di Dio?
Quanto al confronto «quando la nostra / da parte vostra», questa è solo
atomizzazione del testo: dovrebbe aver qualcosa di profondo da dire, solo perché
vi sono due pronomi, rispettivamente alla 1a
e 2a
persona plurale?
Quanto, ancora, alla contrapposizione «conoscenza
degli apostoli - conoscenza dei lettori», ribadiamo ciò che forse Tonino non ha
notato: nel verso 1,16 il termine gnosis non compare nemmeno, e ciò di
cui gli apostoli sono stati testimoni, fattore rilevante per le lettera, è la
trasfigurazione quale pregustazione del ritorno del Signore. Questo ci proietta
nuovamente in una prospettiva escatologica di tutta la lettera e dà valore a
tutti i discorsi contenuti in essa.
Non so cosa il lettore possa intuire da questo
dibattito. Non si discute più l’esegesi d’un verso soltanto, ma di tutto un
approccio all’ermeneutica, alla necessità del confronto con altri studiosi, e
forse, anche alle motivazioni delle risposte-chiarimento. Anche questo tipo di
confronto può aiutare però a esercitare un sano discernimento di più largo
raggio.
6. {Nicola Martella}
▲
Non entro nel merito delle singole cose asserite.
Ammetto che probabilmente tanti lettori (come io stesso) si perderanno in
tale ping-pong, che non riescono più a decifrare fino in fondo, essendo
risposte a osservazioni su asserzioni… di cui si è perso probabilmente il filo.
Avrei preferito che in alcuni punti si fosse usato più il congiuntivo (o
addirittura il condizionale) che l’indicativo. A certe frasi sicure e assolute
avrei preferito quelle più umili di chi fa concessioni e presenta il proprio
pensiero senza dare impulsivamente il sigillo di «illegittimità» alle
tesi del proprio interlocutore. Anche indicare come «vecchio» il pensiero
espresso dal proprio interlocutore, è come un boomerang, visto che le
convinzioni dei pensatori, a cui ci si riferisce, sono spesso cicliche. Basta, a
volte, una nuova scoperta, un nuovo documento, per ribaltare il tutto e mettere
a nuovo concezioni ritenute vecchie e sepolte.
Come vediamo, siamo arrivati
ormai al capolinea. Le tesi di ambedue sono chiare, i fronti delineati e oramai
non si affrontano più veramente alle esigenze testuali, ma si risponde all’altro
mediante osservazioni e obiezioni che tendono a sminuire gli argomenti altrui e
rafforzare i propri. È tipico di un tema sviscerato a sufficienza.
Abbiamo visto che tale
asserzione di base è unica nel NT e il contesto si può effettivamente leggere in
due modi differenti, a seconda del punto di vista che si assume e degli elementi
che si vorrà privilegiare. In genere, quando un brano è oscuro o ambiguo, si
cerca in merito un brano chiaro per illuminare il primo. Al riguardo, però, non
esiste, un tale brano chiaro e incontrovertibile, ossia che contenga tale
locuzione o una simile; e tutti i brani, che si addurranno, dipenderanno dalla
propria tesi di base: attualità o futura perfezione.
In tali casi, la cosa più
saggia è probabilmente quella di lasciare tale tensione fra tempo storico
(presente) e tempo escatologico (fine dei tempi).
■ Se ammettiamo che il brano
sia maggiormente storico, dobbiamo ricordarci che l’oggi è nella fede pur sempre
un’anticipazione
di ciò che sarà, una caparra di ciò che saremo.
■ Se ammettiamo che il brano
sia maggiormente in prospettiva escatologica, dobbiamo ricordarci che ciò che
saremo getta già la sua luce sull’oggi. Diverremo soltanto ciò che abbiamo già
oggi in Cristo, nel senso che miriamo da lontano l’albero che saremo, avendone
già oggi in noi stessi il seme germogliato.
Lasciamo quindi tale tensione nel testo
con tutta la sua dinamica fra «il già qui e non ancora». Un mio motto, tratto
dalla quintessenza di epistole come Efesini, Colossesi e altre, recita così:
«Nella dinamica della fede le cose stanno così che “in Cristo” siamo già giunti
alla meta “con Lui”, pur essendo noi esistenzialmente ancora per strada».
7. {Gianni Siena}
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L’articolo di
Tonino Mele è pregevole e pure l’altro. Molti anni fa, in fabbrica, quando
militavo per la giustizia e non per l’ideologia di sinistra, ascoltai un
detto marxista che trovo a volte valido. Esso recita appunto così: «Quando
una tesi si scontra con un’antitesi, esse si confrontano e ne nasce una
sintesi». Quando due posizioni sono a confronto e con elementi validi in
entrambe, si contestualizzano i punti di vista, affinché il loro meglio
origini un ragionamento più completo e valido... spesso funziona anche in
teologia biblica. Dato che nessuno è perfetto e che ogni ragionamento biblico è
sempre perfettibile, continuiamo a ragionare dando allo Spirito Santo la
possibilità d’insegnarci qualcosa, consolandoci con il progresso d’un altro
fratello. Siamo «umani»! Saluti e benedizioni dal Signore. {22 maggio 2010}
8. {}
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► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Natur-div_caparra_ademp_EdF.htm
27-03-2010; Aggiornamento: 24-05-2010 |