Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Oltre alle parti introduttive (Bibbia, AT) e al Giochimpara finale, il libro contiene due parti distinte dell’AT: l’Epoca nazionale e l’Epoca Assira.

 

◘ Ecco le parti principali dell’Epoca nazionale («Libri storici e profetici I»: dalla conquista all’esilio):
■ I Libri Storici in generale
■ L’epoca Premonarchica
■ Giosuè
■ Giudici
■ Rut
■ L’epoca Monarchica
■ Samuele
■ Re
■ Cronache
■ I Libri Profetici in generale.

 

◘ Ecco le parti principali dell’Epoca assira («Libri storici e profetici II»):
■ L’epoca assira in generale
■ Abdia
■ Gioele
■ Giona
■ Osea
■ Amos
■ Isaia
■ Michea
■ Nahum.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CRISTIANI GIUDEI E GENTILI: UNITÀ E DIVERSITÀ

 

 a cura di Nicola Martella

 

Fiorina Pistone prende qui spunto dalle affermazioni di Argentino Quintavalle sul natale, chiedendogli così di interloquire con lui. Nel primo contributo, sebbene i due testi siano successivi, alle affermazioni di Fiorina, facciamo seguire passo per passo direttamente le risposte di Argentino. Come si vedrà, il tema del «natale» sta ancora sullo sfondo. C’è anche qualche nota redazionale (N.d.R.).

    Come si vedrà, sebbene gli autori intendano affrontare il tema del rapporto fra cristiani giudei e gentili, esso si trasforma anche in un dibattito fra cristiani cattolici ed evangelici. A ciò si aggiunga che si pone nuovamente la discussione intorno alla «libertà evangelica» (► L’etica della libertà e della responsabilità).

    Ritengo che lo sforzo dei partecipanti di dialogare da posizioni alquanto diverse e distanti fra loro sia la dimostrazione di un segno di maturità e di civiltà.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Pistone - Quintavalle

2. Fiorina Pistone

3. A. Quintavalle

4. Nicola Martella

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12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Pistone - Quintavalle} ▲

 

Qui Argentino (A) risponde passo dopo passo alla lettera di Fiorina (F). Sono contenute anche alcune note del redattore.

 

Fiorina (F): Caro Argentino, sono contenta di riprendere a colloquiare con te, mio «vecchio compagno» di dibattiti.

Argentino (A): Grazie Fiorina, contraccambio con piacere. Ma se posso entrare in confidenza, quand’è che ti decidi a mettere una pietra sopra il Cattolicesimo? Forza, metti mano all’aratro e non guardare più indietro!

 

F: La tua passione per le discussioni bibliche mi suscita interesse e simpatia e seguo sempre tutto quello che scrivi su «Fede controcorrente», spesso con grande ammirazione per la tua competenza, ma riguardo a quanto hai detto sul tema della liceità o meno di festeggiare il Natale devo fare alcune osservazioni.

A: Contraccambio anche i complimenti. Raramente si trovano persone preparate come te tra i Cattolici.

 

F: Tu dici: «I cristiani si sono inorgogliti, credendo d’avere la chiave dell’interpretazione della verità biblica».

A: Parlo dei cristiani «gentili». Questo purtroppo è un dato di fatto. Già l’apostolo Paolo aveva messo in guardia contro questo pericolo: «essi sono stati tagliati a causa dell’infedeltà… non montare dunque in superbia, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te» (Rm 11,20s).

 

F: I cristiani hanno veramente la chiave dell’interpretazione della verità biblica, perché in questo consiste la loro fede.

A: Chi è che ha la chiave dell’interpretazione? I Cattolici? Gli Ortodossi? Gli Anglicani? I Copti? Gli Armeni? I Luterani? I Calvinisti? Gli Evangelici? Nel corso della storia ci sono state delle guerre, ed è stato sparso sangue, per definire chi aveva la chiave dell’interpretazione.

 

F: La fede dei cristiani, infatti, è fede in Gesù e Gesù è la verità: lo ha detto lui stesso (cfr. Giovanni 14,7: «Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno va al Padre se non attraverso di me»).

A: Hai ragione. Ma questo il Papa lo sa? Ogni tanto sento parlare che per andare al Padre c’è bisogno di Maria e di qualche altro santo…

 

F: Ha scritto Enrico Masseroni su Famiglia Cristiana n. 24, pp. 18-19, anno 1995: «La verità non è una nozione astratta da affermare o da negare, ma indica il piano salvifico che Dio Padre ha affidato a Gesù. È un progetto concreto, non solo da conoscere, ma anche da accogliere e da realizzare. Per questo Gesù dice: “Io sono la verità”, cioè: io sono colui nel quale il disegno di salvezza si compie».

     Per questo la verità è «da fare» e «chi opera la verità viene alla luce» (Giovanni 3, 21), e la luce è Gesù (Giovanni 8,12: «Io sono la luce del mondo»).

A: Non posso non essere d’accordo.

 

F: Quando Gesù dice: «Viene un’ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità» (Giovanni 4,24), intende dire che proprio lui (non più Gerusalemme) è il luogo del nuovo culto al Padre, perché Gesù stesso è il nuovo tempio in cui bisogna adorare il Padre.

A: Sono d’accordo. Grazie a Dio non abbiamo bisogno di andare a Gerusalemme per adorare il Signore. Ma ti faccio comunque presente, che quando Gesù disse queste parole aveva appena lasciato Gerusalemme dove era stato ad adorare in spirito e verità. Ti dico ancora che Gerusalemme è una città molto cara a Dio. Zaccaria profetizza: «Gerusalemme sarà di nuovo prescelta» (Zac 2,16 CEI). Forse saprai che Gerusalemme era molto cara anche al precedente Papa, dato che aveva proposto di farla capitale religiosa delle tre religioni monoteiste. Come mai, dato che è ininfluente dove adorare?

 

F: Narra Giovanni 2,18-21: «Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo».

   Se vogliamo poi riferirci in modo più particolare alla chiave dell’interpretazione dell’Antico Testamento, essa l’ha fornita Gesù stesso ai discepoli durante il viaggio verso Emmaus, quando, come dice Luca 24,27: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui».

A: È vero anche questo, ma dove si parla nelle Scritture (Vecchio Testamento) che si deve festeggiare il natale?

 

F: Non capisco poi, caro Argentino, perché rivendichi la libertà di mangiare solo cibi puri.

A: È la stessa libertà dell’apostolo Paolo quando diceva: «Colui che mangia non disprezzi chi non mangia; chi non mangia, non giudichi male chi mangia, perché Dio lo ha accolto» (Rm 14,3).

 

F: Non c’è affatto bisogno di rivendicare questa libertà, perché l’evangelista Marco racconta che Gesù ha dichiarato puri tutti i cibi. Dice infatti Marco 7,17-23: «Quando poi fu entrato in casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogarono intorno a tale parabola. Ed egli disse loro: “Anche voi siete ancora privi d’intelligenza? Non capite che tutto ciò che d’esterno entra nell’uomo non può contaminarlo, giacché non entra nel suo cuore, bensì nel ventre, per finire poi nella fogna?” Dichiarava così puri tutti gli alimenti. Quindi soggiunse: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì, contamina l’uomo. Dall’interno, cioè dal cuore degli uomini, infatti, procedono i cattivi pensieri, le fornicazioni, i furti, le uccisioni, gli adulteri, le cupidigie, le malvagità, l’inganno, la lascivia, l’invidia, la bestemmia, la superbia e la stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e contaminano l’uomo”».

A: Ci sono due maniere per interpretare la Bibbia: con la mentalità di Atene e di Roma, oppure con quella di Gerusalemme (sto parlando in maniera metaforica). Nell’interpretazione dei versi di Marco tu hai usato la prima. Se usavi la seconda avresti interpretato in maniera diversa. Innanzitutto ti saresti chiesta: da cosa è stato causato questo discorso di Gesù sul cibo? Nella versione parallela di Matteo è scritto: «In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo» (Mt 15,1s). Gesù ha risposto ai capi religiosi con una domanda, «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?» (v. 3). I capi religiosi davano più importanza alle loro tradizioni che alla Parola di Dio, e per questo Gesù disse, «avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione» (v. 6). La conversazione era tutta sui discepoli di Gesù in conformità con la tradizione. Non era su quello che mangiavano, ma piuttosto sulle abluzioni rituali che avevano luogo prima di mangiare. Gesù ha dichiarato tutti i cibi ritualmente puri, anche se i partecipanti al pasto non si lavavano le mani. Gesù non ha, come molti suppongono, abrogato le leggi di kashrut (purità) e dichiarato il maiale puro (sarebbe stato lapidato sull’istante!). Sin dall’inizio del capitolo, il soggetto era stata la purità rituale come era insegnata dalla Tradizione in relazione alle abluzioni rituali e non al kashrut! Perciò quando Gesù dichiarò puri tutti gli alimenti egli non stava dichiarando puri i cibi impuri, ma stava dicendo che il cibo puro non è reso ritualmente impuro se lo toccano mani che non sono state lavate secondo le norme rituali. Sebbene oggi sia difficile per chiunque non sia un Ebreo ortodosso avere un concetto e una reale coscienza di cosa sia l’impurità rituale, la sua importanza al tempo di Gesù può essere anche solo lontanamente intuita considerando che una delle sei maggiori suddivisioni del Talmud è quasi interamente dedicata a questo argomento.

   Non pretendo di averti convinto, ma ti ho voluto mostrare che non c’è un’unica interpretazione del passo del Vangelo che hai citato. Ora ne conosci anche un’altra. Quale scegli? Quella di Atene e di Roma o quella di Gerusalemme?

 

F: Tu Argentino, poi, dici che noi Gentili siamo soltanto rami d’olivastro innestati sull’ulivo d’Israele. Certo era necessario che Paolo ci ricordasse che noi dobbiamo molto al popolo ebraico, il quale ci ha trasmesso l’Antico Testamento.

A: Ci ha trasmesso anche il Nuovo. Gli autori del NT sono tutti Ebrei.

 

F: L’Antico Testamento è la radice che ci porta (Romani 11,17), la linfa che scorre in noi, rami d’olivastro innestati sul tronco di quel meraviglioso ulivo. Purtroppo l’ammonimento di Paolo non è stato accolto a sufficienza, e questo spiega, almeno in parte, l’orrenda tragedia dello sterminio che ha macchiato l’onore della cristianità nel ventesimo secolo.

A: Qui purtroppo è vero. Tutta la cristianità si è macchiata l’onore. Sai qual è l’unica nazione europea che è uscita a testa alta da questa brutta storia? La Bulgaria!

 

F: Il vanto, poi, non è mai propizio alla crescita spirituale, perché chiude il cuore alla grazia di Dio: solo chi s’umilia sarà esaltato (Luca 14,11).

A: Bene, allora non vantiamoci e ricordiamoci che siamo dei rami innestati.

 

N.d.R.: Dov’e scritto che la radice su cui i Gentili sono stati innestati sia Israele? Gli Israeliti sono i rami naturali dell’olivo, ma non la stessa radice. Come si fa a essere l’uno e l’altro allo stesso tempo, chi porta e chi è portato? Si afferma che gli stessi Israeliti un giorno verranno nuovamente innestati, quando crederanno in Gesù quale Messia. Nessuno può essere innestato su se stesso.

A: Ah sì? Come può allora il Messia essere nello stesso tempo la radice d’Isai (Is 11,10) e il discendente di Davide (At 2,30)? Credevo che almeno le radici giudaiche fossero fuori discussione. Gesù è Israelita, gli apostoli sono Israeliti, la chiesa è edificata sul fondamento degli apostoli e dei profeti (Israeliti), le porte della Nuova Gerusalemme sono Israelite, le fondamenta della Nuova Gerusalemme sono Israelite, le Sacre Scritture sono Israelite. In Rm 11 Paolo parla chiaramente della nazione d’Israele le cui radici sono sante e solo alcuni rami sono stati troncati (vv. 16s).

N.d.R.: Essere «radice di qualcuno» (qui di Isai), significa essere la radice che sbuca dal tronco di un albero (p.es. abbattuto) e che lo rigenera, portando avanti la discendenza. L’idea è quella del «rampollo» che procede dal tronco reciso e forma una nuova pianta e, in definitiva, riproduce la prima. Per questo il Messia è chiamato il «Germoglio», ossia di Davide, sinonimo di «rampollo» e «radice». Perciò è scritto: «Egli è venuto su dinanzi a lui come un rampollo, come una radice che esce da un arido suolo» (Is 53,2). Per questo il Messia può essere «radice» e «discendente», poiché i due termini si equivalgono. Perciò Gesù poté dire di se stesso: «Io sono la radice e la progenie di Davide» (Ap 22,16).

   A ciò si aggiunga riguardo a Romani 11 che il contesto non parla della nazione d'Israele, ma solo di un resto, un «residuo eletto» (Rm 11,5.7). A ciò si aggiunga che la «primizia» è contrapposta alla «massa» e la «radice» è contrapposta ai «rami» (v. 16): non possono essere quindi la stessa cosa. A ciò si aggiunga che l'espressione retorica «alcuni dei rami sono stati troncati» (v. 17) non sminuisce la «loro caduta» (v. 12) e la «loro reiezione» (v. 15), che parla di un evento di massa (v. 7 «Israele» contrapposto al «residuo eletto»). L'«indurimento parziale» (v. 25) non intende che erano (e sono pochi), ma che non erano (e sono) tutti.

 

F: Però noi dobbiamo anche ricordare che «il culmine della legge è Cristo perché sia data la giustificazione a chiunque crede» (Romani 10,4)» e che quelli che hanno creduto sono i cristiani. Tra coloro che hanno aderito a Cristo ci sono stati Giudei e Gentili, più Gentili che Giudei, e Dio non fa distinzione tra di loro, infatti Paolo dice: «Chiunque crede in lui non sarà deluso. Infatti non c’è distinzione tra Giudeo e Greco, dato che lui stesso (Cristo) è il Signore di tutti, ricco verso tutti coloro che lo invocano» (Romani 10,11-12).

A: Sono d’accordo, non ho mai detto il contrario. Ma cosa centra il natale con questo?

   Che il Signore ti benedica… Argentino

 

 

N.d.R.: «Del rimanente, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8).

 

 

2. {Fiorina Pistone}

 

Caro Argentino, io mi metto ogni giorno nelle mani di Dio e non voglio porre ipoteche sul mio futuro, neppure per quanto riguarda la mia appartenenza religiosa, ma non penso che cambierò chiesa: non mi sento su questa strada.

     Fondamentalmente, a parte qualche atteggiamento critico verso certe tue dottrine e prassi, io credo nella mia chiesa, e non desidero sostituirla con una chiesa evangelica o di altra denominazione.

     Detto questo, ammetto che mi trovo molto bene sul sito «Fede Controcorrente», e che ricevo molto dai miei amici evangelici, da cui imparo molte cose, pur riconoscendone le diversità dottrinali nei confronti della mia chiesa. I dibattiti, inoltre, mi sono di grande stimolo, e ravvivano il mio interesse per le Scritture, cosa per me molto importante, perché esse sono il fondamento principale della mia fede.

     Ad attirarmi verso questo sito è anche la curiosità verso ciò che è diverso, la stessa che spinge a fare viaggi per conoscere cose che non si trovano al proprio paese. Questa attrazione presenta quindi anche un elemento di minor valore, paragonata al fondamentale interesse per la ricerca della verità nelle cose che riguardano Dio; ma io vedo che i frutti, per ciò che si riferisce al mio cammino di fede, sono buoni, e sono grata a Nicola che mi accoglie nel sito e a chiunque interloquisce con me, oppure discute con gli altri accettando pure la mia presenza. Come io ricevo dagli altri, spero di riuscire anch’io a dare agli altri qualcosa di positivo.

     Tralascio di rispondere ad alcune domande un po’ provocatorie che mi hai rivolte nel precedente intervento e ad un’altra (Chi ha la chiave dell’interpretazione della verità biblica?) a cui mi pare che nel frattempo sia stata data sufficiente risposta nel sito e mi soffermo su alcuni altri punti.

 

     ■ 1) Gerusalemme: È una città molto cara a Dio, dici tu. Sarà, ma io penso che sia soprattutto cara a noi, come tutta la Palestina.

     Noi cristiani ci andiamo volentieri in pellegrinaggio e ci andremmo anche di più, se non fosse per le sue attuali turbolenze. La profezia di Zaccaria, secondo me, si riferiva soltanto al ritorno dall’esilio.

     Il nostro papa polacco voleva fare di Gerusalemme la capitale delle tre religioni monoteiste? Non mi ricordo di questo fatto, comunque penso che l’obiettivo del papa fosse di farne un centro di dialogo e di pace tra le religioni, anziché un terreno di contesa com’è adesso, ma questo è difficile da ottenere, se ebrei e musulmani non si convertono prima a Gesù.

     Dio ha permesso che il tempio di Gerusalemme fosse distrutto e, fino ad ora, non più ricostruito: la cosa è molto difficile da farsi, ora, perché sul terreno ove sorgeva il tempio troneggia la moschea di Omar, con la sua cupola d’oro.

     Gesù aveva previsto la distruzione del tempio (e di Gerusalemme) e l’aveva presentata come una punizione divina per il rifiuto del suo messaggio di salvezza («Gerusalemme, Gerusalemme,che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi sarà lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» - Matteo 23,37-39; «Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli, per fargli osservare le costruzioni del tempio. Gesù disse loro: “Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata”» - Matteo 24,1-2).

     Con la distruzione del tempio, Dio ha voluto aiutare gli ebrei (e noi) a capire che era un altro, ormai, il vero tempio in cui adorare.

 

     ■ 2) Cibi puri e impuri: Secondo Marco 7, 7-23, quando Gesù ha dichiarato puri tutti i cibi era in casa, in mezzo ai suoi discepoli, cioè in mezzo a persone che lo amavano e credevano in lui e, quindi, non avrebbero dovuto lapidarlo. A parte questo, io penso che essi abbiano capito tutta la portata del discorso di Gesù soltanto più avanti, dopo la sua morte e resurrezione, con l’aiuto dello Spirito Santo. Gesù, infatti, durante l’ultima cena, aveva detto: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete ancora capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà» (Giovanni 16,12-14). Dice la nota di Giuseppe Segalla al versetto 13, nel volumetto «Giovanni» della Nuovissima Versione della Bibbia: «Il verbo usato “annuncerà” proviene dalla tradizione apocalittica (cfr. Daniele 2,2.4.7.9), dove indica l’interpretazione delle visioni o la rivelazione dei misteri. In questo senso, lo Spirito non rivelerebbe qualcosa di nuovo, ma interpreterebbe la rivelazione storica di Gesù in relazione al futuro escatologico».

 

     ■ 3) Il Natale: Io mi sento in dovere di festeggiarlo, potendolo, per obbedire a un precetto della mia chiesa, partecipando con tutti i miei fratelli cattolici alle preghiere di ringraziamento per il dono che ci è stato fatto in Gesù. È una cosa molto importante, perché Gesù ha detto: «Dove sono due o più riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

     E voi Evangelici? Voi non avete questo precetto. Io penso che tu saprai vedere, nella tua libertà di figlio di Dio, riscattato da Gesù dalla schiavitù nei confronti della legge dell’Antico Testamento («Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli»; Galati 4,4) e guidato da quella interiore dello Spirito, l’opportunità o meno di festeggiare il Natale, secondo i luoghi e i momenti, seguendo l’esempio di Paolo che si faceva Greco con i Greci ed Ebreo con gli Ebrei, mettendosi al servizio di tutti mediante la carità (Galati 5,13)

 

 

3. {Argentino Quintavalle} 

 

     ■ 1) Gerusalemme: Il primo problema è subito palesato. Per «noi» come dice Fiorina, Gerusalemme è una meta di turismo religioso, si sta lì qualche giorno e poi si ritorna a casa. Ma per Dio non è così. Gerusalemme è la città di Davide, figura del Messia, e appartiene in maniera particolare al Signore. Amare Gerusalemme, per Dio, significa amare Israele. Zc 1,14 dice: «Io provo una gran gelosia per Gerusalemme». Il Signore ama d’un amore eterno, e l’amore di Dio per Gerusalemme è espresso proprio da queste parole (letteralmente: «Io sono geloso di gran gelosia»), che indicano l’affetto coniugale di Dio verso il suo popolo. La parola «gelosia» nell’ebraico, deriva dall’idea di «diventare rosso», in modo che il viso diventi rosso per la profonda emozione. Questa gelosia di Dio è il sentimento di Dio che vuole conservare con cura attenta e scrupolosa il suo popolo e la sua città. Non possiamo paragonare il nostro affetto verso Gerusalemme («penso che sia soprattutto cara a noi») con quello di Dio.

    Zc 2,4 dice: «Gerusalemme sarà abitata come una città senza mura, tanta sarà la quantità di gente e di bestiame che si troverà in mezzo a essa». Questo particolare sta a indicare che sarà una città che s’espanderà al di là delle sue mura a motivo della gente e del bestiame che v’abiterà come risultato della benedizione divina. Non ci sarà bisogno né di fortificazioni, né di protezioni grazie alla presenza di Dio. Non c’è mai stato un tempo dove Gerusalemme è stata abitata come se non avesse mura (a parte quando è stata distrutta). La mancanza di mura è sinonimo di pace; quindi questa predizione deve ancora adempiersi e s’adempierà letteralmente e sulla terra, durante il regno millenario. Che cosa deve accadere prima che ciò avvenga? Israele deve ritornare a Dio con pentimento e ricevere il Messia che aveva rifiutato; e i nemici d’Israele devono essere castigati. Queste cose accadranno alla fine dei tempi, quindi qui si sta parlando del millennio che viene e non del ritorno dall’esilio.

    Oggigiorno Gerusalemme è un terreno di contesa perché è calpestata dai Gentili e lo sarà fino a quando i tempi dei Gentili non sono compiuti (Lc 21,24). A questo proposito il profeta Zaccaria è molto esplicito: «E in quel giorno avverrà che io farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli; tutti quelli che se la caricheranno addosso ne saranno malamente feriti, e tutte le nazioni della terra s’aduneranno contro di lei» (Zc 14,3). Ogni volta che Zaccaria usa l’espressione «in quel giorno» si riferisce sempre al tempo della fine, e non al periodo del dopo esilio. Quando poi parla che «tutte le nazioni della terra s’aduneranno contro di lei», anche la Città del Vaticano vi potrebbe essere compresa, dato che anch’essa è una nazione.

    Dio non ha distrutto il tempio di Gerusalemme per insegnarci come adorare. Gli apostoli sapevano adorare meglio di noi, eppure andavano ad adorare nel tempio fino a quando non è stato distrutto. Dio l’ha distrutto per punire Israele, e questa punizione non è ancora finita, ma il tempio sarà di nuovo riedificato. Il profeta Ezechiele dedica nove capitoli a questo nuovo tempio (Ez 40-48).

    So bene che il Signore ha comprato con sangue ogni credente per essere il Suo proprio tempio, dove l’Emmanuele, Dio con noi, ha posto la sua residenza. Quindi, quando Fiorina parla del «vero tempio in cui adorare», sta pronunciando parole di condanna verso il cattolicesimo, poiché il cattolicesimo ha sostituito il tempio di Gerusalemme con una miriade di luoghi santi mète di pellegrinaggio e ha insegnato alla gente d’andare ad adorare in tali luoghi, alcuni dei quali sono meritori d’indulgenze! Cosa deve fare Dio per aiutare i cattolici? Applicare l’idea di Fiorina e distruggere tutti i loro «templi» per aiutarli a capire qual è il vero tempio in cui adorare?

 

     ■ 2) Cibi puri e impuri: Per quanto riguarda i cibi puri e impuri, anche se Marco lascia intendere che Gesù diede la spiegazione della sue parole solo ai discepoli, in realtà anche gli scribi e i Farisei ne sono venuti a conoscenza. Infatti Mt 15,12 che è il brano parallelo di Marco troviamo scritto: «Allora i suoi discepoli, accostatisi, gli dissero: “Sai tu che i Farisei, quand’hanno udito questo discorso, ne sono rimasti scandalizzati?”». Qui devo ripetere quanto ho già detto in precedenza. Nel suo discorso Gesù ha dichiarato tutti i cibi ritualmente puri, anche se i partecipanti al pasto non si lavavano le mani. Gesù non ha, come molti suppongono, abrogato le leggi di kashrut (purità) e dichiarato il maiale puro! Sin dall’inizio del capitolo, il soggetto era stata la purezza rituale come era insegnata dalla tradizione in relazione alle netilat-jadajim (abluzioni rituali) e non al kashrut (purità)! Perciò quando Gesù dichiarò puri tutti gli alimenti, egli stava dichiarando kasher (puri) i cibi taref (impuri), dicendo che il cibo kasher (puro) non è reso ritualmente impuro se lo toccano mani che non sono state lavate secondo le norme rituali. Che anche gli apostoli avevano capito così è dimostrato dal fatto che in At 10,14 Pietro ancora dice: «Io non ho mai mangiato nulla d’immondo né di contaminato». Sebbene oggi sia difficile per chiunque non sia un Ebreo ortodosso avere un concetto e una reale coscienza di cosa sia l’impurità rituale, la sua importanza al tempo di Gesù può essere anche solo lontanamente intuita considerando che una delle sei maggiori suddivisioni del Talmud (Tohorot, «purità») è quasi interamente dedicata a quest’argomento.

    Ma lasciamo ora la tradizione ebraica e parliamo di quella cattolica. Perché la chiesa cattolica ha imposto l’astensione a determinati cibi nel periodo di quaresima? Specialmente il venerdì? Paolo ha scritto: «Nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine di demoni per via dell’ipocrisia d’uomini che proferiranno menzogna, segnati d’un marchio nella loro propria coscienza; i quali vieteranno il matrimonio e ordineranno l’astensione dai cibi che Dio ha creati affinché quelli che credono e hanno ben conosciuta la verità, ne usino con rendimento di grazie» (1 Tm 4,1ss). Quale è stata la chiesa che ha vietato il matrimonio e ha ordinato l’astensione dai cibi? La chiesa cattolica!

 

     ■ 3) Il Natale: Sarebbe tempo di parlare della Pasqua, ma continuiamo con il Natale. Va festeggiato per ubbidire a un precetto della chiesa? E che rapporto c’è tra il Natale e la frase: «Dove sono due o più riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? Quest’ultima s’applica in qualunque situazione. Devo chiarire il concetto biblico delle feste.

     Lv 23,1s introduce le sette feste comandate da Dio chiamandole «le solennità dell’Eterno… le mie solennità sono queste». La scelta delle parole in questi versi ha qualcosa da insegnarci. Dio chiama queste feste «le mie solennità». Voglio anche evidenziare due parole chiave di questi versi; la prima è mô‛ad che significa «un tempo scelto» (solennità). L’altra è miqrā’ê qōdeš, una «convocazione separata» di gente.

     Riunendo insieme questi concetti, sappiamo che ogni festa è un tempo scelto nel quale Dio riunisce il suo popolo per incontrarlo. È Dio che sceglie i tempi, non la chiesa. Se è vero come scrive Fiorina che «lo Spirito non rivelerebbe qualcosa di nuovo», la festa del Natale non è una rivelazione dello Spirito ma rientra in quelle «prescrizioni e insegnamenti d’uomini» (Col 2,22) tanto criticate dall’apostolo Paolo che pur facendosi Greco con i Greci non festeggiava il Natale.

 

 

4. {Nicola Martella} 

 

Qui di seguito non voglio entrare in tutti gli aspetti della discussione, ma solo portare qualche «pillola» per l’ulteriore riflessione.

 

     ■ 1) Gerusalemme: È vero che Gerusalemme aveva un grande significato nel cuore di Dio in alcuni momenti della storia e l’avrà alla fine dei tempi. È vero che Gerusalemme fu definita già nell’AT con gli epiteti più pesanti dai profeti e da Dio (p.es. Sodoma e Gomorra, Is 1,9s). Anche nel NT gli autori non andarono per il sottile, mettendogli addosso pesanti ipoteche. È vero che nel cuore di Dio essa dovrebbe essere la «santa città» (Ap 11,2), ma fino al tempo della gran tribolazione la «gran città» «spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso» (v. 8). Solo quando il Messia tornerà in Gerusalemme e la purificherà, tornerà a essere la «santa città».

     È vero che il cristianesimo giudaico della Palestina e specialmente di Gerusalemme era ancora legato al tempio. È anche vero che il cristianesimo gentile non ha mai avuto un legame particolare col tempio di Gerusalemme (per i Giudei sarebbe stato un sacrilegio che un Gentile entrasse nel tempio; At 21,28s); i non Giudei erano confinati nel «cortile dei Gentili».

     Non si può neppure trascurare il fatto che Dio stesso ha fatto distruggere il tempio di Gerusalemme. Coloro che lo resero impuro portando in esso «l’abominazione della desolazione», furono proprio gli Zeloti (Farisei rivoluzionari), quando fecero del tempio la loro base operativa contro i Romani. Quando i Giudei avevano fatto del tempio una «spelonca di ladroni» (Gr 7,6), pur dando a esso un carattere «sacramentale» (vv. 4.10), Dio ricordò loro la distruzione del santuario di Šilo (vv. 12ss), affermando di fare per il tempio di Gerusalemme la stessa cosa (vv. 14s). Una dinamica simile si riprodusse al tempo di Gesù e della prima chiesa. Il destino del primo e del secondo tempio fu la stessa.

 

     ■ 2) Cibi puri e impuri: Non entro in merito dei cibi puri e impuri. Sta di fatto che tale norma, pur concessa ai Giudei cristiani, non fu prevista per i Giudei gentili in tutti i suoi aspetti rituali, ma fu raccomandato il rispetto di alcune norme minime nei casi in cui si aveva a che fare con i Giudei (At 15,20s). Ad ambedue i gruppi fu riconosciuto il loro diritto riguardo a giorni da osservare o meno e a cibi da mangiare o meno (Rm 14). Nella Galazia Paolo non rimproverò Pietro perché seguisse le norme rituali relative ai cibi, ma perché — trovandosi in mezzo ai credenti gentili e non avendo fin lì fatto alcuna distinzione — si mise improvvisamente a giudaizzare (a seguire i costumi giudaici sulla purità rituale), quando arrivarono emissari della chiesa di Gerusalemme, creando nei cristiani giudei un comportamento ritenuto anomalo da Paolo e un grande imbarazzo nei credenti locali (Gal 2,1ss). Sono sintomatici qui i verbi «ritirarsi, separarsi, simulare» e le espressione «egli mangiava con i Gentili» (prima) e «timore di quelli della circoncisione» (poi). Paolo, giudicando che Pietro fosse da condannare pubblicamente (v. 11) perché egli e gli altri non «procedevano con dirittura rispetto alla verità dell’Evangelo» (v. 14a), evidenziò che normalmente egli viveva «alla gentile e non alla giudaica», ma col suo improvviso comportamento abnorme costringeva «i Gentili a giudaizzare» (v. 14b).

 

     ■ 3) Il Natale: Come ho mostrato altrove, io non ho una grande inclinazione verso ogni tipo di festività. Protendo verso colui che «stima tutti i giorni uguali» (Rm 14,5). Questo però non mi impedisce di riconoscere il diritto altrui e di constatare che «chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore» (v. 6).

     È evidente che ai giorni di Paolo non ci fosse il Natale. Se ci fosse stato, lo avrebbe festeggiato? È difficile dirlo con certezza. Nelle sue epistole diverse volte concede qualcosa ai suoi interlocutori. Vedendo suo spirito di piacere a tutti in ogni cosa (1 Cor 9,19ss), ritengo che non lo avrebbe proibito. Avrebbe probabilmente dato dei consigli per rimanere in ambito biblico.

     Porto un esempio, su cui voglio far riflettere. A quei tempi c’erano le «chiese in casa» (cfr. Rm 16), ma queste all’occasione si radunavano insieme per delle «agapi», magari nella tenuta di un fratello possidente (Rm 16,23). Tali «agapi» (o «incontri come assemblea» [1 Cor 11,18], ossia di tutte le «chiese in casa» di un certo luogo) potevano avere una cadenza periodica abbastanza regolare. È verosimile che in 1 Cor 11-14 l’espressione «[radunarsi] in assemblea» significasse proprio tali incontri speciali, durante i quali Paolo ritenne di ingiungere un modo di procedere diverso rispetto ai comuni incontri di «chiese in casa». Tali ricorrenze nella chiesa di Corinto potevano essere la base per l’istituzione di una solennità periodica.

    Mi sembra di capire che Argentino riconosca solo i giorni comandati espressamente dalla Legge mosaica e che non riconosca alcuna autorità che imponga altre feste. Se le cose stanno così, allora Ester e Mardocheo sono stati persone che hanno disubbidito alla Torà, avendo istituito e comandato la festa dei Purim (Est 9,29-32). Non si parla qui di una rivelazione divina né dell’intervento di un profeta. I Giudei, dalla deportazione a Babilonia in poi (606ss a.C.), di feste ne hanno introdotte diverse, ad esempio, il giorno della distruzione del tempio (cfr. Lam), il giorno della purificazione del tempio al tempo dei Maccabei o «festa delle luci» (o Channukà). Tali feste furono festeggiate da Gesù e dagli apostoli, facendo parte del patrimonio culturale del giudaismo; essi non presero posizione contro di esse. Anche tali feste erano in fondo «prescrizioni e insegnamenti d’uomini» (Col 2,22), eppure nel NT nessuno né fa una crociata particolare. Semmai sembra che l’unica «battaglia» riconoscibile era (proprio in Colossesi 2!) contro tutte le festività giudaiche, nessuna esclusa: «Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, o a noviluni o a sabati, che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire; ma il corpo è di Cristo» (Col 2,16).

    Ci vuole quindi coerenza. Anche uomini in Israele hanno creato delle feste e dei giorni solenni, non comandati dalla Legge, e queste non furono condannate da Dio fintantoché rispettavano il Decalogo e le leggi derivate. Nel NT tutte le feste giudaiche furono considerate «ombra» che annunziavano l’avvento della luce e non furono ritenute ingiuntive (almeno) per i cristiani gentili.

    Sebbene io abbia una certa disaffezione verso le festività, devo chiedere per coerenza: Quello che era permesso ai Giudei, istituendo feste non comandate dalla Legge, perché dovrebbe essere proibito ai cristiani, magari a livello locale? Anche qui il criterio è il rispetto dell’insegnamento biblico. Anche qui una chiesa locale, un movimento o un gruppo di chiese possono avere la libertà di istituire per sé una festività (p.es. festa della raccolta, festa della Riforma, anniversario della fondazione della propria comunità, ecc.). Questo è un elemento della «libertà evangelica» e rispecchia il principio della « una festività (p.es. festa della raccolta, festa della Riforma, anniversario della fondazione della propria comunità, ecc.). Questo è un elemento della «libertà evangelica» e rispecchia il principio della «etica della libertà e della responsabilità», di cui parlo altrove. Uno di questi aspetti rispecchia la seguente raccomandazione di Paolo ai Filippesi: «Del rimanente, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). Poi nel merito si può avere convinzioni diverse (Rm 14,5s). L’importante è riconoscere al riguardo il diritto dell’altro, il fatto che egli lo stia facendo «per il Signore» e che si può concedere in queste cose la libertà al «fratello», senza pre-giudizio e senza porre inciampi (v. 13), sapendo che egli e noi renderemo conto dinanzi a Dio (v. 10).

 

Nota della redazione: A meno che non ci siano elementi veramente nuovi, ritengo che dovremmo considerare chiuso questo argomento, per non ripeterci e muoverci in tondo sempre sulle stesse cose.

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Giudei_gentili_cristiani_R34.htm

25-04-2007; Aggiornamento: 06-07-2010

 

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