Fiorina Pistone prende qui spunto dalle affermazioni di Argentino Quintavalle
sul
natale, chiedendogli così di interloquire con lui. Nel primo
contributo, sebbene i due testi siano successivi, alle affermazioni di Fiorina,
facciamo seguire passo per passo direttamente le risposte di Argentino. Come si
vedrà, il tema del «natale» sta ancora sullo sfondo. C’è anche qualche nota
redazionale (N.d.R.).
Come si vedrà, sebbene gli autori intendano affrontare il
tema del rapporto fra cristiani giudei e gentili, esso si trasforma anche in un
dibattito fra cristiani cattolici ed evangelici. A ciò si aggiunga che si pone
nuovamente la discussione intorno alla «libertà evangelica» (►
L’etica della libertà e della responsabilità).
Ritengo che lo sforzo dei partecipanti di dialogare da posizioni alquanto
diverse e distanti fra loro sia la dimostrazione di un segno di maturità e di
civiltà.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster
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I contributi sul tema
▲ (I contributi
rispecchiano le opinioni personali degli autori. I contributi attivi
hanno uno
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Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante
1. {Pistone
- Quintavalle} ▲
Qui Argentino (A) risponde passo dopo passo alla lettera di Fiorina (F). Sono
contenute anche alcune note del redattore.
Fiorina (F): Caro Argentino, sono contenta di riprendere a
colloquiare con te, mio «vecchio compagno» di dibattiti. |
Argentino (A): Grazie Fiorina, contraccambio con piacere.
Ma se posso entrare in confidenza, quand’è che ti decidi a mettere una pietra
sopra il Cattolicesimo? Forza, metti mano all’aratro e non guardare più
indietro! |
F: La tua passione per le discussioni bibliche mi suscita
interesse e simpatia e seguo sempre tutto quello che scrivi su «Fede
controcorrente», spesso con grande ammirazione per la tua competenza, ma
riguardo a quanto hai detto sul tema della liceità o meno di festeggiare il
Natale devo fare alcune osservazioni. |
A: Contraccambio anche i complimenti. Raramente si trovano
persone preparate come te tra i Cattolici. |
F: Tu dici: «I cristiani si sono inorgogliti, credendo
d’avere la chiave dell’interpretazione della verità biblica». |
A: Parlo dei cristiani «gentili». Questo purtroppo è un
dato di fatto. Già l’apostolo Paolo aveva messo in guardia contro questo
pericolo: «essi sono stati tagliati a causa dell’infedeltà… non montare
dunque in superbia, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano
rami naturali, tanto meno risparmierà te» (Rm 11,20s). |
F: I cristiani hanno veramente la chiave
dell’interpretazione della verità biblica, perché in questo consiste la loro
fede. |
A: Chi è che ha la chiave dell’interpretazione? I
Cattolici? Gli Ortodossi? Gli Anglicani? I Copti? Gli Armeni? I Luterani? I
Calvinisti? Gli Evangelici? Nel corso della storia ci sono state delle guerre,
ed è stato sparso sangue, per definire chi aveva la chiave dell’interpretazione. |
F: La fede dei cristiani, infatti, è fede in Gesù e Gesù è
la verità: lo ha detto lui stesso (cfr. Giovanni 14,7: «Io sono la via e la
verità e la vita. Nessuno va al Padre se non attraverso di me»). |
A: Hai ragione. Ma questo il Papa lo sa? Ogni tanto sento
parlare che per andare al Padre c’è bisogno di Maria e di qualche altro santo… |
F: Ha scritto Enrico Masseroni su Famiglia Cristiana n.
24, pp. 18-19, anno 1995: «La verità non è una nozione astratta da affermare o
da negare, ma indica il piano salvifico che Dio Padre ha affidato a Gesù. È un
progetto concreto, non solo da conoscere, ma anche da accogliere e da
realizzare. Per questo Gesù dice: “Io sono la verità”, cioè: io sono colui nel
quale il disegno di salvezza si compie».
Per questo la verità è «da fare» e «chi
opera la verità viene alla luce» (Giovanni 3, 21), e la luce è Gesù
(Giovanni 8,12: «Io sono la luce del mondo»). |
A: Non posso non essere d’accordo. |
F: Quando Gesù dice: «Viene un’ora, ed è adesso, in cui
i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità» (Giovanni 4,24),
intende dire che proprio lui (non più Gerusalemme) è il luogo del nuovo culto al
Padre, perché Gesù stesso è il nuovo tempio in cui bisogna adorare il Padre. |
A: Sono d’accordo. Grazie a Dio non abbiamo bisogno di
andare a Gerusalemme per adorare il Signore. Ma ti faccio comunque presente, che
quando Gesù disse queste parole aveva appena lasciato Gerusalemme dove era stato
ad adorare in spirito e verità. Ti dico ancora che Gerusalemme è una città molto
cara a Dio. Zaccaria profetizza: «Gerusalemme sarà di nuovo prescelta»
(Zac 2,16 CEI). Forse saprai che Gerusalemme era molto cara anche al precedente
Papa, dato che aveva proposto di farla capitale religiosa delle tre religioni
monoteiste. Come mai, dato che è ininfluente dove adorare? |
F: Narra Giovanni 2,18-21: «Allora i Giudei presero la
parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” Rispose loro
Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero
allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in
tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo».
Se vogliamo poi riferirci in modo più particolare
alla chiave dell’interpretazione dell’Antico Testamento, essa l’ha fornita Gesù
stesso ai discepoli durante il viaggio verso Emmaus, quando, come dice Luca
24,27: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le
Scritture ciò che si riferiva a lui». |
A: È vero anche questo, ma dove si parla nelle Scritture
(Vecchio Testamento) che si deve festeggiare il natale? |
F: Non capisco poi, caro Argentino, perché rivendichi la
libertà di mangiare solo cibi puri. |
A: È la stessa libertà dell’apostolo Paolo quando diceva:
«Colui che mangia non disprezzi chi non mangia; chi non mangia, non giudichi
male chi mangia, perché Dio lo ha accolto» (Rm 14,3). |
F: Non c’è affatto bisogno di rivendicare questa libertà,
perché l’evangelista Marco racconta che Gesù ha dichiarato puri tutti i cibi.
Dice infatti Marco 7,17-23: «Quando poi fu entrato in casa, lontano dalla folla,
i suoi discepoli lo interrogarono intorno a tale parabola. Ed egli disse loro:
“Anche voi siete ancora privi d’intelligenza? Non capite che tutto ciò che
d’esterno entra nell’uomo non può contaminarlo, giacché non entra nel suo cuore,
bensì nel ventre, per finire poi nella fogna?” Dichiarava così puri tutti gli
alimenti. Quindi soggiunse: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì, contamina
l’uomo. Dall’interno, cioè dal cuore degli uomini, infatti, procedono i cattivi
pensieri, le fornicazioni, i furti, le uccisioni, gli adulteri, le cupidigie, le
malvagità, l’inganno, la lascivia, l’invidia, la bestemmia, la superbia e la
stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e contaminano
l’uomo”». |
A: Ci sono due maniere per interpretare la Bibbia: con la
mentalità di Atene e di Roma, oppure con quella di Gerusalemme (sto parlando in
maniera metaforica). Nell’interpretazione dei versi di Marco tu hai usato la
prima. Se usavi la seconda avresti interpretato in maniera diversa. Innanzitutto
ti saresti chiesta: da cosa è stato causato questo discorso di Gesù sul cibo?
Nella versione parallela di Matteo è scritto: «In quel tempo vennero a Gesù
da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: Perché i tuoi
discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le
mani quando prendono cibo» (Mt 15,1s). Gesù ha risposto ai capi religiosi
con una domanda, «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della
vostra tradizione?» (v. 3). I capi religiosi davano più importanza alle loro
tradizioni che alla Parola di Dio, e per questo Gesù disse, «avete annullato
la parola di Dio in nome della vostra tradizione» (v. 6). La conversazione
era tutta sui discepoli di Gesù in conformità con la tradizione. Non era su
quello che mangiavano, ma piuttosto sulle abluzioni rituali che avevano luogo
prima di mangiare. Gesù ha dichiarato tutti i cibi ritualmente puri, anche se i
partecipanti al pasto non si lavavano le mani. Gesù non ha, come molti
suppongono, abrogato le leggi di kashrut (purità) e dichiarato il maiale
puro (sarebbe stato lapidato sull’istante!). Sin dall’inizio del capitolo, il
soggetto era stata la purità rituale come era insegnata dalla Tradizione in
relazione alle abluzioni rituali e non al kashrut! Perciò quando Gesù
dichiarò puri tutti gli alimenti egli non stava dichiarando puri i cibi impuri,
ma stava dicendo che il cibo puro non è reso ritualmente impuro se lo toccano
mani che non sono state lavate secondo le norme rituali. Sebbene oggi sia
difficile per chiunque non sia un Ebreo ortodosso avere un concetto e una reale
coscienza di cosa sia l’impurità rituale, la sua importanza al tempo di Gesù può
essere anche solo lontanamente intuita considerando che una delle sei maggiori
suddivisioni del Talmud è quasi interamente dedicata a questo argomento.
Non pretendo di averti convinto, ma ti ho voluto
mostrare che non c’è un’unica interpretazione del passo del Vangelo che hai
citato. Ora ne conosci anche un’altra. Quale scegli? Quella di Atene e di Roma o
quella di Gerusalemme? |
F: Tu Argentino, poi, dici che noi Gentili siamo soltanto
rami d’olivastro innestati sull’ulivo d’Israele. Certo era necessario che Paolo
ci ricordasse che noi dobbiamo molto al popolo ebraico, il quale ci ha trasmesso
l’Antico Testamento. |
A: Ci ha trasmesso anche il Nuovo. Gli autori del NT sono
tutti Ebrei. |
F: L’Antico Testamento è la radice che ci porta (Romani
11,17), la linfa che scorre in noi, rami d’olivastro innestati sul tronco di
quel meraviglioso ulivo. Purtroppo l’ammonimento di Paolo non è stato accolto a
sufficienza, e questo spiega, almeno in parte, l’orrenda tragedia dello
sterminio che ha macchiato l’onore della cristianità nel ventesimo secolo. |
A: Qui purtroppo è vero. Tutta la cristianità si è
macchiata l’onore. Sai qual è l’unica nazione europea che è uscita a testa alta
da questa brutta storia? La Bulgaria! |
F: Il vanto, poi, non è mai propizio alla crescita
spirituale, perché chiude il cuore alla grazia di Dio: solo chi s’umilia sarà
esaltato (Luca 14,11). |
A: Bene, allora non vantiamoci e ricordiamoci che siamo
dei rami innestati. |
N.d.R.: Dov’e scritto che la radice su cui i Gentili sono
stati innestati sia Israele? Gli Israeliti sono i rami naturali dell’olivo, ma
non la stessa radice. Come si fa a essere l’uno e l’altro allo stesso tempo, chi
porta e chi è portato? Si afferma che gli stessi Israeliti un giorno verranno
nuovamente innestati, quando crederanno in Gesù quale Messia. Nessuno può essere
innestato su se stesso. |
A: Ah sì? Come può allora il Messia essere nello stesso
tempo la radice d’Isai (Is 11,10) e il discendente di Davide (At
2,30)? Credevo che almeno le radici giudaiche fossero fuori discussione. Gesù è
Israelita, gli apostoli sono Israeliti, la chiesa è edificata sul fondamento
degli apostoli e dei profeti (Israeliti), le porte della Nuova Gerusalemme sono
Israelite, le fondamenta della Nuova Gerusalemme sono Israelite, le Sacre
Scritture sono Israelite. In Rm 11 Paolo parla chiaramente della nazione
d’Israele le cui radici sono sante e solo alcuni rami sono stati troncati
(vv. 16s). |
N.d.R.: Essere «radice di qualcuno» (qui di Isai),
significa essere la radice che sbuca dal tronco di un albero (p.es. abbattuto) e
che lo rigenera, portando avanti la discendenza. L’idea è quella del «rampollo»
che procede dal tronco reciso e forma una nuova pianta e, in definitiva,
riproduce la prima. Per questo il Messia è chiamato il «Germoglio», ossia di
Davide, sinonimo di «rampollo» e «radice». Perciò è scritto: «Egli è venuto
su dinanzi a lui come un
rampollo, come una
radice che esce da un arido suolo» (Is 53,2). Per questo il Messia
può essere «radice» e «discendente», poiché i due termini si equivalgono. Perciò
Gesù poté dire di se stesso: «Io sono la radice e la progenie di Davide»
(Ap 22,16).
A ciò si aggiunga riguardo a Romani 11
che il contesto non parla della nazione d'Israele, ma solo di un resto, un
«residuo eletto» (Rm 11,5.7). A ciò si aggiunga che la «primizia» è contrapposta
alla «massa» e la «radice» è contrapposta ai «rami» (v. 16): non possono essere
quindi la stessa cosa. A ciò si aggiunga che l'espressione retorica «alcuni
dei rami sono stati troncati» (v. 17) non sminuisce la «loro caduta» (v. 12)
e la «loro reiezione» (v. 15), che parla di un evento di massa (v. 7 «Israele»
contrapposto al «residuo eletto»). L'«indurimento parziale» (v. 25) non intende
che erano (e sono pochi), ma che non erano (e sono) tutti. |
F: Però noi dobbiamo anche ricordare che «il culmine
della legge è Cristo perché sia data la giustificazione a chiunque crede»
(Romani 10,4)» e che quelli che hanno creduto sono i cristiani. Tra coloro che
hanno aderito a Cristo ci sono stati Giudei e Gentili, più Gentili che Giudei, e
Dio non fa distinzione tra di loro, infatti Paolo dice: «Chiunque crede in
lui non sarà deluso. Infatti non c’è distinzione tra Giudeo e Greco, dato che
lui stesso (Cristo) è il Signore di tutti, ricco verso tutti coloro che lo
invocano» (Romani 10,11-12). |
A: Sono d’accordo, non ho mai detto il contrario. Ma cosa
centra il natale con questo?
Che il Signore ti benedica… Argentino |
N.d.R.: «Del rimanente, fratelli, tutte le cose vere,
tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose
amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche
lode, siano oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). |
2.
{Fiorina Pistone}
▲
Caro Argentino, io mi metto ogni giorno nelle mani di Dio e non voglio porre
ipoteche sul mio futuro, neppure per quanto riguarda la mia appartenenza
religiosa, ma non penso che cambierò chiesa: non mi sento su questa strada. Fondamentalmente, a parte qualche atteggiamento critico
verso certe tue dottrine e prassi, io credo nella mia chiesa, e non desidero
sostituirla con una chiesa evangelica o di altra denominazione.
Detto questo, ammetto che mi trovo molto bene sul sito
«Fede Controcorrente», e che ricevo molto dai miei amici evangelici, da cui
imparo molte cose, pur riconoscendone le diversità dottrinali nei confronti
della mia chiesa. I dibattiti, inoltre, mi sono di grande stimolo, e ravvivano
il mio interesse per le Scritture, cosa per me molto importante, perché esse
sono il fondamento principale della mia fede. Ad attirarmi verso questo sito è anche la curiosità
verso ciò che è diverso, la stessa che spinge a fare viaggi per conoscere cose
che non si trovano al proprio paese. Questa attrazione presenta quindi anche un
elemento di minor valore, paragonata al fondamentale interesse per la ricerca
della verità nelle cose che riguardano Dio; ma io vedo che i frutti, per ciò che
si riferisce al mio cammino di fede, sono buoni, e sono grata a Nicola che mi
accoglie nel sito e a chiunque interloquisce con me, oppure discute con gli
altri accettando pure la mia presenza. Come io ricevo dagli altri, spero di
riuscire anch’io a dare agli altri qualcosa di positivo.
Tralascio di rispondere ad alcune domande un po’
provocatorie che mi hai rivolte nel precedente intervento e ad un’altra (Chi ha
la chiave dell’interpretazione della verità biblica?) a cui mi pare che nel
frattempo sia stata data sufficiente risposta nel sito e mi soffermo su alcuni
altri punti.
■ 1) Gerusalemme: È una città molto cara a Dio,
dici tu. Sarà, ma io penso che sia soprattutto cara a noi, come tutta la
Palestina.
Noi cristiani ci andiamo volentieri in pellegrinaggio e
ci andremmo anche di più, se non fosse per le sue attuali turbolenze. La
profezia di Zaccaria, secondo me, si riferiva soltanto al ritorno dall’esilio.
Il nostro papa polacco voleva fare di Gerusalemme la
capitale delle tre religioni monoteiste? Non mi ricordo di questo fatto,
comunque penso che l’obiettivo del papa fosse di farne un centro di dialogo e di
pace tra le religioni, anziché un terreno di contesa com’è adesso, ma questo è
difficile da ottenere, se ebrei e musulmani non si convertono prima a Gesù. Dio ha permesso che il tempio di Gerusalemme fosse
distrutto e, fino ad ora, non più ricostruito: la cosa è molto difficile da
farsi, ora, perché sul terreno ove sorgeva il tempio troneggia la moschea di
Omar, con la sua cupola d’oro.
Gesù aveva previsto la distruzione del tempio (e di
Gerusalemme) e l’aveva presentata come una punizione divina per il rifiuto del
suo messaggio di salvezza («Gerusalemme, Gerusalemme,che uccidi i profeti e
lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi
figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete
voluto! Ecco, la vostra casa vi sarà lasciata deserta! Vi dico infatti che non
mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del
Signore!» - Matteo 23,37-39; «Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne
andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli, per fargli osservare le
costruzioni del tempio. Gesù disse loro: “Vedete tutte queste cose? In verità vi
dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata”» - Matteo
24,1-2).
Con la distruzione del tempio, Dio ha voluto aiutare
gli ebrei (e noi) a capire che era un altro, ormai, il vero tempio in cui
adorare.
■ 2) Cibi puri e impuri: Secondo Marco 7, 7-23,
quando Gesù ha dichiarato puri tutti i cibi era in casa, in mezzo ai suoi
discepoli, cioè in mezzo a persone che lo amavano e credevano in lui e, quindi,
non avrebbero dovuto lapidarlo. A parte questo, io penso che essi abbiano capito
tutta la portata del discorso di Gesù soltanto più avanti, dopo la sua morte e
resurrezione, con l’aiuto dello Spirito Santo. Gesù, infatti, durante l’ultima
cena, aveva detto: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non
siete ancora capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità,
egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà
tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà,
perché prenderà del mio e ve lo annunzierà» (Giovanni 16,12-14). Dice la
nota di Giuseppe Segalla al versetto 13, nel volumetto «Giovanni» della
Nuovissima Versione della Bibbia: «Il verbo usato “annuncerà” proviene dalla
tradizione apocalittica (cfr. Daniele 2,2.4.7.9), dove indica l’interpretazione
delle visioni o la rivelazione dei misteri. In questo senso, lo Spirito non
rivelerebbe qualcosa di nuovo, ma interpreterebbe la rivelazione storica di Gesù
in relazione al futuro escatologico».
■ 3) Il Natale: Io mi sento in dovere di
festeggiarlo, potendolo, per obbedire a un precetto della mia chiesa,
partecipando con tutti i miei fratelli cattolici alle preghiere di
ringraziamento per il dono che ci è stato fatto in Gesù. È una cosa molto
importante, perché Gesù ha detto: «Dove sono due o più riuniti nel mio nome,
io sono in mezzo a loro». E voi Evangelici? Voi non avete questo precetto. Io
penso che tu saprai vedere, nella tua libertà di figlio di Dio, riscattato da
Gesù dalla schiavitù nei confronti della legge dell’Antico Testamento («Ma
quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato
sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché
ricevessimo l’adozione a figli»; Galati 4,4) e guidato da quella interiore
dello Spirito, l’opportunità o meno di festeggiare il Natale, secondo i luoghi e
i momenti, seguendo l’esempio di Paolo che si faceva Greco con i Greci ed Ebreo
con gli Ebrei, mettendosi al servizio di tutti mediante la carità (Galati 5,13)
3.
{Argentino Quintavalle} ▲
■ 1) Gerusalemme: Il primo problema è subito
palesato. Per «noi» come dice Fiorina, Gerusalemme è una meta di turismo
religioso, si sta lì qualche giorno e poi si ritorna a casa. Ma per Dio non è
così. Gerusalemme è la città di Davide, figura del Messia, e
appartiene in maniera particolare al Signore. Amare Gerusalemme, per Dio,
significa amare Israele. Zc 1,14 dice: «Io provo una gran gelosia per
Gerusalemme». Il Signore ama d’un amore eterno, e l’amore di Dio per
Gerusalemme è espresso proprio da queste parole (letteralmente: «Io sono
geloso di gran gelosia»), che indicano l’affetto coniugale di Dio verso il
suo popolo. La parola «gelosia» nell’ebraico, deriva dall’idea di «diventare
rosso», in modo che il viso diventi rosso per la profonda emozione. Questa
gelosia di Dio è il sentimento di Dio che vuole conservare con cura attenta e
scrupolosa il suo popolo e la sua città. Non possiamo paragonare il nostro
affetto verso Gerusalemme («penso che sia soprattutto cara a noi») con quello di
Dio.
Zc 2,4 dice: «Gerusalemme sarà abitata come una città senza mura, tanta sarà
la quantità di gente e di bestiame che si troverà in mezzo a essa». Questo
particolare sta a indicare che sarà una città che s’espanderà al di là delle sue
mura a motivo della gente e del bestiame che v’abiterà come risultato della
benedizione divina. Non ci sarà bisogno né di fortificazioni, né di protezioni
grazie alla presenza di Dio. Non c’è mai stato un tempo dove Gerusalemme è stata
abitata come se non avesse mura (a parte quando è stata distrutta). La mancanza
di mura è sinonimo di pace; quindi questa predizione deve ancora adempiersi e
s’adempierà letteralmente e sulla terra, durante il regno millenario. Che cosa
deve accadere prima che ciò avvenga? Israele deve ritornare a Dio con pentimento
e ricevere il Messia che aveva rifiutato; e i nemici d’Israele devono essere
castigati. Queste cose accadranno alla fine dei tempi, quindi qui si sta
parlando del millennio che viene e non del ritorno dall’esilio.
Oggigiorno Gerusalemme è un terreno di contesa perché è calpestata dai Gentili e
lo sarà fino a quando i tempi dei Gentili non sono compiuti (Lc 21,24). A questo
proposito il profeta Zaccaria è molto esplicito: «E in quel giorno avverrà
che io farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli; tutti quelli
che se la caricheranno addosso ne saranno malamente feriti, e tutte le nazioni
della terra s’aduneranno contro di lei» (Zc 14,3). Ogni volta che Zaccaria
usa l’espressione «in quel giorno» si riferisce sempre al tempo della fine, e
non al periodo del dopo esilio. Quando poi parla che «tutte le nazioni della terra
s’aduneranno contro di lei», anche
la Città del Vaticano vi potrebbe essere compresa, dato che anch’essa è una
nazione.
Dio non ha distrutto il tempio di Gerusalemme per insegnarci come adorare. Gli
apostoli sapevano adorare meglio di noi, eppure andavano ad adorare nel tempio
fino a quando non è stato distrutto. Dio l’ha distrutto per punire Israele, e
questa punizione non è ancora finita, ma il tempio sarà di nuovo riedificato. Il
profeta Ezechiele dedica nove capitoli a questo nuovo tempio (Ez 40-48).
So bene che il Signore ha comprato con sangue ogni credente per essere il Suo
proprio tempio, dove l’Emmanuele, Dio con noi, ha posto la sua residenza.
Quindi, quando Fiorina parla del «vero tempio in cui adorare», sta pronunciando
parole di condanna verso il cattolicesimo, poiché il cattolicesimo ha sostituito
il tempio di Gerusalemme con una miriade di luoghi santi mète di pellegrinaggio
e ha insegnato alla gente d’andare ad adorare in tali luoghi, alcuni dei quali
sono meritori d’indulgenze! Cosa deve fare Dio per aiutare i cattolici?
Applicare l’idea di Fiorina e distruggere tutti i loro «templi» per aiutarli a
capire qual è il vero tempio in cui adorare?
■ 2) Cibi puri e impuri: Per quanto riguarda i
cibi puri e impuri, anche se Marco lascia intendere che Gesù diede la
spiegazione della sue parole solo ai discepoli, in realtà anche gli scribi e i
Farisei ne sono venuti a conoscenza. Infatti Mt 15,12 che è il brano parallelo
di Marco troviamo scritto: «Allora i suoi discepoli, accostatisi, gli
dissero: “Sai tu che i Farisei, quand’hanno udito questo discorso, ne sono
rimasti scandalizzati?”». Qui devo ripetere quanto ho già detto in
precedenza. Nel suo discorso Gesù ha dichiarato tutti i cibi ritualmente puri,
anche se i partecipanti al pasto non si lavavano le mani. Gesù non ha, come
molti suppongono, abrogato le leggi di
kashrut (purità)
e dichiarato
il maiale puro! Sin dall’inizio del capitolo, il soggetto era stata la purezza
rituale come era insegnata dalla tradizione in relazione alle
netilat-jadajim (abluzioni rituali) e non al
kashrut (purità)!
Perciò quando Gesù dichiarò puri tutti gli alimenti, egli stava dichiarando
kasher (puri) i cibi taref
(impuri), dicendo che il cibo kasher (puro) non è reso ritualmente
impuro se lo toccano mani che non sono state lavate secondo le norme rituali.
Che anche gli apostoli avevano capito così è dimostrato dal fatto che in At
10,14 Pietro ancora dice: «Io non ho mai mangiato nulla d’immondo né di
contaminato». Sebbene oggi sia difficile per chiunque non sia un Ebreo
ortodosso avere un concetto e una reale coscienza di cosa sia l’impurità
rituale, la sua importanza al tempo di Gesù può essere anche solo lontanamente
intuita considerando che una delle sei maggiori suddivisioni del Talmud (Tohorot,
«purità») è quasi interamente dedicata a quest’argomento.
Ma lasciamo ora la tradizione ebraica e parliamo di quella cattolica. Perché la
chiesa cattolica ha imposto l’astensione a determinati cibi nel periodo di
quaresima? Specialmente il venerdì? Paolo ha scritto: «Nei tempi a venire
alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine
di demoni per via dell’ipocrisia d’uomini che proferiranno menzogna, segnati
d’un marchio nella loro propria coscienza; i quali vieteranno il matrimonio
e ordineranno l’astensione dai cibi
che Dio ha creati affinché quelli che credono e hanno ben conosciuta la verità,
ne usino con rendimento di grazie» (1 Tm 4,1ss). Quale è stata la chiesa che
ha vietato il matrimonio e ha ordinato l’astensione dai cibi? La chiesa
cattolica!
■ 3) Il Natale: Sarebbe tempo di parlare della
Pasqua, ma continuiamo con il Natale. Va festeggiato per ubbidire a un precetto
della chiesa? E che rapporto c’è tra il Natale e la frase: «Dove sono due o
più riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? Quest’ultima s’applica
in qualunque situazione. Devo chiarire il concetto biblico delle feste. Lv 23,1s introduce le sette feste comandate da Dio
chiamandole «le solennità dell’Eterno… le mie solennità sono queste». La
scelta delle parole in questi versi ha qualcosa da insegnarci. Dio chiama queste
feste «le mie solennità». Voglio anche evidenziare due parole chiave di
questi versi; la prima è mô‛ad che significa «un tempo
scelto» (solennità). L’altra è miqrā’ê qōdeš, una «convocazione separata»
di gente.
Riunendo insieme questi concetti, sappiamo che ogni festa è un tempo scelto nel
quale Dio riunisce il suo popolo per incontrarlo. È Dio che sceglie i tempi, non
la chiesa. Se è vero come scrive
Fiorina che «lo Spirito non rivelerebbe qualcosa di nuovo», la festa del Natale
non è una rivelazione dello Spirito ma rientra in quelle «prescrizioni e
insegnamenti d’uomini» (Col 2,22) tanto criticate dall’apostolo Paolo che
pur facendosi Greco con i Greci non festeggiava il Natale.
4.
{Nicola Martella} ▲
Qui di seguito non
voglio entrare in tutti gli aspetti della discussione, ma solo portare qualche
«pillola» per l’ulteriore riflessione.
■ 1) Gerusalemme: È vero che Gerusalemme aveva un grande significato nel
cuore di Dio in alcuni momenti della storia e l’avrà alla fine dei tempi. È vero
che Gerusalemme fu definita già nell’AT con gli epiteti più pesanti dai profeti
e da Dio (p.es. Sodoma e Gomorra, Is 1,9s). Anche nel NT gli autori non andarono
per il sottile, mettendogli addosso pesanti ipoteche. È vero che nel cuore di
Dio essa dovrebbe essere la «santa città» (Ap 11,2), ma fino al tempo della gran
tribolazione la «gran città» «spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove
anche il Signor loro è stato crocifisso» (v. 8). Solo quando il Messia
tornerà in Gerusalemme e la purificherà, tornerà a essere la «santa città».
È vero che il cristianesimo giudaico della Palestina e specialmente di
Gerusalemme era ancora legato al tempio. È anche vero che il cristianesimo
gentile non ha mai avuto un legame particolare col tempio di Gerusalemme (per i
Giudei sarebbe stato un sacrilegio che un Gentile entrasse nel tempio; At
21,28s); i non Giudei erano confinati nel «cortile dei Gentili».
Non si può neppure trascurare il fatto che Dio stesso ha fatto distruggere il
tempio di Gerusalemme. Coloro che lo resero impuro portando in esso
«l’abominazione della desolazione», furono proprio gli Zeloti (Farisei
rivoluzionari), quando fecero del tempio la loro base operativa contro i Romani.
Quando i Giudei avevano fatto del tempio una «spelonca di ladroni» (Gr 7,6), pur
dando a esso un carattere «sacramentale» (vv. 4.10), Dio ricordò loro la
distruzione del santuario di Šilo (vv. 12ss), affermando di fare per il tempio
di Gerusalemme la stessa cosa (vv. 14s). Una dinamica simile si riprodusse al
tempo di Gesù e della prima chiesa. Il destino del primo e del secondo tempio fu
la stessa.
■ 2) Cibi puri e impuri: Non entro in merito dei cibi puri e impuri. Sta
di fatto che tale norma, pur concessa ai Giudei cristiani, non fu prevista per i
Giudei gentili in tutti i suoi aspetti rituali, ma fu raccomandato il rispetto
di alcune norme minime nei casi in cui si aveva a che fare con i Giudei (At
15,20s). Ad ambedue i gruppi fu riconosciuto il loro diritto riguardo a giorni
da osservare o meno e a cibi da mangiare o meno (Rm 14). Nella Galazia Paolo non
rimproverò Pietro perché seguisse le norme rituali relative ai cibi, ma perché —
trovandosi in mezzo ai credenti gentili e non avendo fin lì fatto alcuna
distinzione — si mise improvvisamente a giudaizzare (a seguire i costumi
giudaici sulla purità rituale), quando arrivarono emissari della chiesa di
Gerusalemme, creando nei cristiani giudei un comportamento ritenuto anomalo da
Paolo e un grande imbarazzo nei credenti locali (Gal 2,1ss). Sono sintomatici
qui i verbi «ritirarsi, separarsi, simulare» e le espressione «egli mangiava con
i Gentili» (prima) e «timore di quelli della circoncisione» (poi). Paolo,
giudicando che Pietro fosse da condannare pubblicamente (v. 11) perché egli e
gli altri non «procedevano con dirittura rispetto alla verità dell’Evangelo»
(v. 14a), evidenziò che normalmente egli viveva «alla gentile e non alla
giudaica», ma col suo improvviso comportamento abnorme costringeva «i
Gentili a giudaizzare» (v. 14b).
■ 3) Il Natale: Come ho mostrato altrove, io non ho una grande
inclinazione verso ogni tipo di festività. Protendo verso colui che «stima
tutti i giorni uguali» (Rm 14,5). Questo però non mi impedisce di
riconoscere il diritto altrui e di constatare che «chi ha riguardo al giorno,
lo fa per il Signore» (v. 6).
È evidente che ai giorni di Paolo non ci fosse il Natale. Se ci fosse stato, lo
avrebbe festeggiato? È difficile dirlo con certezza. Nelle sue epistole diverse
volte concede qualcosa ai suoi interlocutori. Vedendo suo spirito di piacere a
tutti in ogni cosa (1 Cor 9,19ss), ritengo che non lo avrebbe proibito. Avrebbe
probabilmente dato dei consigli per rimanere in ambito biblico.
Porto un esempio, su cui voglio far riflettere. A quei tempi c’erano le «chiese
in casa» (cfr. Rm 16), ma queste all’occasione si radunavano insieme per delle
«agapi», magari nella tenuta di un fratello possidente (Rm 16,23). Tali «agapi»
(o «incontri come assemblea» [1 Cor 11,18], ossia di tutte le «chiese in casa»
di un certo luogo) potevano avere una cadenza periodica abbastanza regolare. È
verosimile che in 1 Cor 11-14 l’espressione «[radunarsi] in assemblea»
significasse proprio tali incontri speciali, durante i quali Paolo ritenne di
ingiungere un modo di procedere diverso rispetto ai comuni incontri di «chiese
in casa». Tali ricorrenze nella chiesa di Corinto potevano essere la base per
l’istituzione di una solennità periodica. Mi
sembra di capire che Argentino riconosca solo i giorni comandati espressamente
dalla Legge mosaica e che non riconosca alcuna autorità che imponga altre feste.
Se le cose stanno così, allora Ester e Mardocheo sono stati persone che hanno
disubbidito alla Torà, avendo istituito e comandato la festa dei Purim (Est
9,29-32). Non si parla qui di una rivelazione divina né dell’intervento di un
profeta. I Giudei, dalla deportazione a Babilonia in poi (606ss a.C.), di feste
ne hanno introdotte diverse, ad esempio, il giorno della distruzione del tempio
(cfr. Lam), il giorno della purificazione del tempio al tempo dei Maccabei o
«festa delle luci» (o Channukà). Tali feste furono festeggiate da Gesù e dagli
apostoli, facendo parte del patrimonio culturale del giudaismo; essi non presero
posizione contro di esse. Anche tali feste erano in fondo «prescrizioni e
insegnamenti d’uomini» (Col 2,22), eppure nel NT nessuno né fa una crociata
particolare. Semmai sembra che l’unica «battaglia» riconoscibile era (proprio in
Colossesi 2!) contro tutte le festività giudaiche, nessuna esclusa: «Nessuno
dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a
feste, o a noviluni o a sabati, che
sono l’ombra di cose che dovevano
avvenire; ma il corpo è di Cristo» (Col 2,16). Ci
vuole quindi coerenza. Anche uomini in Israele hanno creato delle feste e dei
giorni solenni, non comandati dalla Legge, e queste non furono condannate da Dio
fintantoché rispettavano il Decalogo e le leggi derivate. Nel NT tutte le feste
giudaiche furono considerate «ombra» che annunziavano l’avvento della luce e non
furono ritenute ingiuntive (almeno) per i cristiani gentili.
Sebbene io abbia una certa disaffezione verso le festività, devo chiedere per
coerenza: Quello che era permesso ai Giudei, istituendo feste non comandate
dalla Legge, perché dovrebbe essere proibito ai cristiani, magari a livello
locale? Anche qui il criterio è il rispetto dell’insegnamento biblico. Anche qui
una chiesa locale, un movimento o un gruppo di chiese possono avere la libertà
di istituire per sé una festività (p.es. festa della raccolta, festa
della Riforma, anniversario della fondazione della propria comunità, ecc.).
Questo è un elemento della «libertà evangelica» e rispecchia il principio della
«
una festività (p.es. festa della raccolta,
festa della Riforma, anniversario della fondazione della propria comunità,
ecc.). Questo è un elemento della «libertà evangelica» e rispecchia il principio
della «etica
della libertà e della responsabilità», di cui parlo altrove. Uno di questi
aspetti rispecchia la seguente raccomandazione di Paolo ai Filippesi: «Del
rimanente, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose
giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama,
quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri»
(Fil 4,8). Poi nel merito si può avere convinzioni diverse (Rm 14,5s).
L’importante è riconoscere al riguardo il diritto dell’altro, il fatto che egli
lo stia facendo «per il Signore» e che si può concedere in queste cose la
libertà al «fratello», senza pre-giudizio e senza porre inciampi (v. 13),
sapendo che egli e noi renderemo conto dinanzi a Dio (v. 10).
Nota della redazione: A meno che non ci siano elementi veramente nuovi,
ritengo che dovremmo considerare chiuso questo argomento, per non ripeterci e
muoverci in tondo sempre sulle stesse cose.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Giudei_gentili_cristiani_R34.htm
25-04-2007; Aggiornamento: 06-07-2010
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