Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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TOGLIERE LA VITA NEL NOME DELLA GIUSTIZIA?

 

 di Roberto Vacca

 

Roberto Vacca è caporedattore di «Radio Voce della Speranza» di Firenze, gestita da Avventisti. Egli, avendo ricevuto l’invito alla lettura dell’articolo «Pena di morte e Bibbia» di Fernando De Angelis, ha pensato bene di mandarmi il suo articolo che ha preparato per il «Messaggero Avventista».

     L’autore è partito dall’approvazione da parte dell’ONU della moratoria sulla pena di morte e si è chiesto se sia giusto togliere la vita in nome della giustizia. La sua tesi di fondo è che l’eliminazione fisica del male non lo estirpa. È un articolo fra attualità e approfondimento biblico.

 

«Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia: che ve ne pare?”. E tutti lo giudicarono reo di morte» (Mc 14,63-64).

 

È in questo modo che Marco descrive il sommario processo di Gesù che si conclude con la sentenza di morte più famosa della storia.

 

Il presente e la storia

     La cosa tragica e ironica è che uno dei paesi con la maggiore adesione popolare alla fede cristiana, gli Stati Uniti d’America, è anche quello che sostiene con maggiore convinzione la legalità della pena di morte. Ma in questo è in buona compagnia. Si stima che in Cina la pena capitale sia applicata almeno 10.000 volte all’anno (riferito da Chen Zhonglin delegato del Congresso Nazionale del Popolo nel marzo 2004, dati wikipedia). Anche paesi come il Giappone la prevedono nel loro ordinamento, per non parlare di quelli di tradizione islamica (famosa è la condanna di Saddam Hussein mostrata via internet al mondo intero, meno nota quella più recente di un giovane omosessuale in Iran).

     Come è noto l’Italia si è fatta promotrice della proposta della «moratoria» della pena di morte, cioè la richiesta che tutti gli Stati per un certo periodo di tempo interrompano le esecuzioni capitali. Non è chiaro quali siano le prospettive di questa proposta europea approvata dall’Onu, per ora come semplice raccomandazione. Molto dipenderà dalla convinzione con cui i paesi promotori continueranno la loro battaglia all’Onu e a livello di rapporti bilaterali con i paesi favorevoli alla pena di morte; sarà importante anche la pressione dell’opinione pubblica internazionale a favore della moratoria.

     Per far cessare qualunque appoggio dei cristiani alla pena capitale basterebbe ricordare che il Figlio di Dio è stato ucciso sulla base del diritto romano che prevedeva il diritto dello Stato di togliere la vita. Ma le cose non sono così semplici. In primo luogo perché la pena di morte è prevista nelle leggi dell’Antico Testamento e non è contestata apertamente nel Nuovo, in secondo luogo perché certi delitti ripugnanti sembrano richiedere lo spegnimento della vita del colpevole come atto elementare di giustizia, in terzo luogo perché la certezza della pena in certi paesi (tra cui l’Italia) è a volte incerta (la morte no, quella una volta applicata non conosce ripensamenti).

     Confesso che non è semplice parlare di questo argomento, perché sospetto che dietro le ragioni a favore della pena di morte ci sia l’orrore e l’impotenza di fronte al crimine, insieme a ferite personali, frustrazioni, paure inconsce e bisogno di vendetta sociale. Sono cose che hanno una loro ragion d’essere, comprensibili, ma che non si combattono esclusivamente con le armi della ragione, ma con quelle della rassicurazione sociale (i media invece fanno il contrario, esasperano l’isteria collettiva), con la fiducia nel futuro, con un’efficace politica di integrazione sociale che rimuova la paura del diverso e ridimensioni il senso vertiginoso del cambiamento che le nostre società stanno sperimentando.

     C’è poi un altro problema per i cristiani. Nel giorno del giudizio, così come è comunemente concepito, Dio eserciterà una sentenza di morte collettiva di proporzioni mai viste. Una cosa del genere sarebbe già avvenuta in occasione del diluvio. Perché mai un credente dovrebbe essere intimamente misericordioso se Dio in ultima istanza non lo è stato e non lo sarà? Naturalmente ci si affretta a dire che i criteri di giudizio di cui Dio dispone non sono quelli umani, ma appunto, si fa una differenza nella capacità analitica del giudice, non nella sentenza in sé. Ed ecco che i nostri fratelli americani sembrano meno «marziani» di quanto appaiono a prima vista. A ciò si aggiunga uno stato permanente di allarme sociale e allora non è difficile capire perché la pena di morte sia così popolare negli Stati Uniti, anche se non è affatto dimostrato che abbassi i livelli della criminalità.

     In realtà la pena di morte non serve a spegnere il crimine, ma a soddisfare un bisogno di rassicurazione che passa attraverso la vendetta sociale. È noto che uno degli stati peggio amministrati dell’Italia del XIX secolo, lo Stato del Vaticano, faceva ampio uso della pena di morte, a cui assisteva un pubblico entusiasta di uomini, donne e bambini. Ciò che il potere cercava (e cerca) attraverso l’uso della pena capitale è principalmente trasmettere l’idea che la società ha il controllo ultimo della situazione, proiettando l’idea di uno Stato forte. Che poi questa immagine fosse contraddetta dalla realtà — i briganti continuavano a piagare le campagne e le città del Lazio, a causa dell’arretratezza economica e culturale dello Stato della Chiesa — tutto questo era ed è un dato secondario, perché il mondo è come noi lo percepiamo soggettivamente, non come esso si mostra davvero! Ancora nel Catechismo universale della Chiesa cattolica del 1992 si trovano dei paragrafi molto ambigui sulla pena di morte.[1] Potrebbe essere un relitto culturale ereditato dallo Stato ottocentesco della Chiesa (in Toscana era già stata abolita nel ‘700), o forse il prezzo pagato dalla Chiesa per dei rapporti ambigui che la Santa Sede ha intrattenuto con governi che hanno fatto ampio uso della pena di morte (il franchismo, per citarne solo uno). Comunque sia, alla luce di queste ambiguità ecclesiastiche, ancora una volta non sorprende che tanti cristiani siano disorientati.

 

Il dato biblico

     Parlare della pena di morte in rapporto al cristianesimo apre questioni gravi e di difficile trattazione. In primo luogo bisognerebbe considerare il modo in cui i cristiani si pongono di fronte alle pagine dell’Antico Testamento: in genere si è tutti d’accordo che la rivelazione sia progressiva (pensiamo alla poligamia, per citare solo un esempio), ma è più difficile individuare questa progressività lì dove l’insegnamento del Cristo è chiaro ma indiretto. Per fare un esempio, oggi tutti sono d’accordo che la schiavitù permessa (entro certi limiti) nell’Antico Testamento e largamente praticata nell’impero romano, fosse una prevaricazione sociale, anche se essa non fu mai dichiarata esplicitamente immorale da Gesù e dagli apostoli. Mi sembra di poter dire che la pena di morte è anch’essa al confine tra la liceità vetero-testamentaria e la condanna del sermone sul monte, che non tratta questo tema, ma ne scardina la «razionalità divina» quando raccomanda la misericordia perché «Dio è benigno verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35).

     Ma non è solo questione di individuare il «singolo versetto» che approva o condanna la pena di morte. Credo che la pena di morte sia insita nella struttura più intima del pensiero umano religioso, più di quanto siamo disposti ad ammettere, a partire dalla nostra concezione di Dio giudice. Ma se Dio è libero di «desacralizzare» la vita umana, esprimendo un giudizio di condanna a morte verso il malvagio (e su questo esiste un interessante dibattito teologico), non è automatico che questo giustifichi un simile atteggiamento umano. Come scrive l’apostolo Paolo, non fate le vostre vendette, perché il Signore dice «a me la vendetta, io renderò la retribuzione» (Rm 12,19). In altre parole, togliere la vita umana ricade in quel fenomeno generale di superbia che è la divinizzazione dell’uomo (e dello Stato, che ne è l’espressione politica). Inoltre concepire Dio innanzi tutto come giudice fa parte di una religiosità pre-cristiana. Le religioni del tempo d’Israele (e in particolare quelle assiro-babilonesi) vivevano la fede come propiziazione di un Dio potenzialmente ostile e il confine tra sacro e profano era segnato da tabù conosciuti e da altri persino ignoti. Non così la fede d’Israele, non così la fede in Gesù Cristo, che è morto per amore ed è risorto, che ci ha chiamati fratelli e amici, e che ci ha promesso la vita eterna. In questa visione rasserenante del rapporto fra l’uomo e Dio (la grazia) non c’è posto per un giudizio definitivo sul prossimo (Lc 6,37), e se questo è vero nel rapporto tra fratelli, ciò deve avere una ricaduta nel nostro modo di concepire la giustizia. Se il sermone sul monte condanna la staticità dei giudizi definitivi, come si può applicare la condanna più statica che esista, che non conosce nessuna logica di redenzione, come la pena di morte? Chi sei tu che neghi a Provenzano la possibilità di passare da una fede fatta di santini e di superstizione a una fede matura che gli faccia comprendere le sue responsabilità (e il suo dovere di aiutare a smantellare la mafia)?

     Detto ciò, la pena di morte è anche l’estremo tentativo di ridare sicurezza a noi stessi e ai nostri figli. Eliminando fisicamente il male, si pensa ingenuamente di estirparlo. In realtà le cose vanno diversamente, come dimostrano gli omicidi di massa negli Usa in cui dopo aver sparato all’impazzata in una scuola, il folle di turno si spara alla testa. Come dire: la deterrenza della pena di morte è scarsina. Ma è anche sacrosanto rispondere al bisogno di sicurezza e di giustizia, non con provvedimenti demagogici o peggio francamente razzisti, ma assicurando la certezza della pena, senza scappatoie legali (per i ricchi) o provvedimenti una tantum per i pezzenti (l’indulto), piuttosto cambiando quelle leggi che mandano troppo facilmente in galera così come quelle che invece ne mandano troppo pochi, e anche riformando profondamente Magistratura e Polizia, per una giustizia più veloce e un controllo del territorio più capillare. Mi spiace dirlo, ma leggendo i giornali mi piacerebbe vedere molti membri del nostro Parlamento in galera. Mi devo sentire in colpa se sento una sete di vendetta sociale che estenderei a quanti frodano il fisco? Forse sì, perché ragiono più di «pancia» che non con il cervello, ma se siamo in tanti a pensarla così, possiamo star certi che prima o dopo arriverà l’uomo forte, l’uomo della Provvidenza, che ci restituirà sicurezza e felicità portandoci «in piazza» a vedere le teste che rotolano. Dio non voglia che l’Italia si imbarbarisca ancor di più, nelle mani di gente senza scrupoli.

 

 

[1].   Catechismo della chiesa cattolica del 1992, par. 2266: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte».

 

Nota redazionale: Per l'approfondimento e per la discussione di alcune tesi presenti in questo articolo, rimandiamo ai seguenti articoli e temi di discussione:

Apologia della pena di morte? {Raffaele Minimi - Nicola Martella} (T/A)

La pena di morte {Nicola Martella} (D)

La pena di morte? Parliamone {Nicola Martella} (T)

Pena di morte e Bibbia {Fernando De Angelis}

Pena di morte e nuovo patto {Nicola Martella} (D)

Pena di morte e nuovo patto? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Togliere_vita_giustizia_Sh.htm

18-02-2008; Aggiornamento:

 

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