Dalla brace
nell’acqua bollente?
Era passato già relativamente molto tempo da quando mia moglie era morta per
un tumore al colon. Nel frattempo era successa una cosa importantissima
nella mia vita, forse la più importante che possa accadere a una persona: era
l’estate del 1999 e a un campo a Isola del Gran Sasso, prima i miei due figli e
poi io, riconoscemmo Gesù Cristo come personale Salvatore. Poi mi risposai con
Carmela, anche lei credente. Un giorno mi disse: «Sai, Stefano, oggi Davide ha
fatto una cosa strana…». Quante volte mi sono tornate in mente queste poche
parole. La trasformazione della propria vita passa a volte per delle frasi
apparentemente innocenti, semplici. Da lì sembrò che cominciasse un mio secondo
calvario…
Il Signore, attraverso il profeta Isaia ha detto: «Ecco, io ti ho voluto
affinare… ti ho provato nel crogiuolo dell’afflizione» (Isaia 48,10); e
posso dire d’aver provato sulla mia pelle il significato di questo verso.
Racconterò questo capitolo della mia vita dal punto di vista d’un padre, al
cui figlio diagnosticarono un tumore al cervello, ma che in questo ha potuto
veramente
vedere come il Signore fa realizzare quanto detto da Paolo in Romani 8,28: «Or
sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali
sono chiamati secondo il suo disegno».
Un po’ di
retrospettiva
Voglio raccontare brevemente come andò perché ritengo che sia parte integrante
di tutta la storia; e ciò proprio per evidenziare la «fantasia» che il Signore a
volte adopera per far svolgere il suo piano. Tutto ebbe inizio quando la maestra
d’asilo di Davide, che era una credente della chiesa Berea di Roma, in via
Britannia, mi chiese se poteva portarsi i due ragazzi, Pietro e Davide, a un
campeggio estivo. Nella situazione di vedovo, in cui stavo, ero consapevole che
non potevo offrire granché ai ragazzi come vacanze estive; quindi accettai,
sebbene un pochino riluttante.
Dopo due settimane m’arriva una telefonata tutta eccitata dei ragazzi che mi
dicevano: «Sai papà abbiamo pregato (!) e abbiamo accettato Gesù nel cuore».
Il venerdì pomeriggio successivo arrivai al campo come un bufalo imbizzarrito,
meditando denunce per plagio di minori e chissà quant’altro. Chiesi di parlare
subito con il direttore (a quel tempo era Stefano Standridge) che, dopo aver
ascoltato tutto quello che avevo da dire e con tutta la veemenza che avevo, con
uno sguardo sornione mi disse: «Guarda Stefano, fermati come nostro ospite
questo fine settimana, anzi visto che hai iniziato le ferie, fermati anche tutta
la settimana. Se pensi che sia un plagio quello che abbiamo fatto, saprai
sicuramente proteggere i tuoi figli, tanto dormiranno con te in camera e potrai
averli così sempre sotto il tuo sguardo». La cosa mi turbò non poco. Provenivo
da una realtà esoterica molto radicalizzata in me, e solo lo stare in certi
ambienti mi metteva disagio, ma mi sono detto, sprezzante: «Cosa potranno mai
fare a uno come me?».
In tale periodo, vedevo la pace che i miei due figli avevano (ricordo che
avevano perso la loro madre da non molto tempo) e mi resi conto invece della
rabbia che io continuavo ad avere dentro; capivo che qualcosa «non quadrava».
Dopo quindici giorni di permanenza a Isola come collaboratore, accettai il
Signore anch’io come personale Salvatore! La potenza di Dio s’era chiaramente
manifestata attraverso gli occhi dei miei figli. Se loro avevano trovato pace,
capii che anch’io avrei potuto trovarla! Tuttavia non fu facile, poiché venivo
da un mondo in cui Satana era padrone. È scritto: «Sappiamo che il nostro
avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa
divorare» (1 Pietro 5,8). Il Signore mi fece uscire dalle sue grinfie, ma
questa è un’altra storia, di cui vorrei dimenticare tante cose e di cui il
gestore del sito «Fede controcorrente» è perfettamente a conoscenza. Chissà se
un giorno il Signore di darà la forza per testimoniare completamente tutto ciò
che avvenne.
Tornando a
Davide e al suo problema
Carmela è una splendida credente, che il Signore mi fece conoscere proprio a
Isola (!). Ella ha avuto l’amore, la forza e il coraggio di sposare un uomo con
due bambini, che si trovavano in una età molto difficile, con la consapevolezza
che mai e poi mai l’avrebbero considerata come «madre», ma anzi, forse come
un’intrusa. Avevo ricordato quello che un giorno lei mi disse: «Sai, Stefano,
oggi Davide ha fatto una cosa strana…». «Cosa!?», le chiesi. «Mentre parlavo con
lui», mi disse lei, «a un certo punto s’era come «bloccato» per circa 10
secondi; niente di straordinario, ma sai, non l’aveva mai fatto…». «Sarà
stanchezza», dissi io. Tuttavia il campanello era oramai suonato. Un genitore
sa, in qualche modo, cosa non va in suo figlio e intuisce se i sintomi, che ha,
sono stupidaggini oppure no. Inoltre, avendo un background mistico-esoterico,
certe cose le «sentivo» appena si sviluppavano.
A quel tempo frequentava la stessa comunità una neurologa credente in Cristo,
Egle. Sono certo che era stata mandata dal Signore tra noi anche perché fosse
utile in questa storia! In effetti veniva da tutt’altra zona di Roma; e dopo
poco la soluzione della storia è arrivata da un’altra città… Parlai con Egle
delle sensazioni che avevamo, e lei disse subito: «Facciamogli un EEG»
(elettroencefalogramma, un esame che permette di vedere, tra le altre cose, i
sintomi di problemi neurologici). In quel tempo lavorava al policlinico di Tor
Vergata. Lei si prodigò perché potessimo ottenere l’esame in tempi brevi.
Fatto l’esame, mi dissero: «Il risultato non è niente di particolare, si vedono
solo delle onde “uncinate” che possono essere compatibili con l’età». Tuttavia
quel sentimento, che ha ogni genitore, non m’abbandonava. Inoltre quel
«pizzicore» particolare che m’attanagliava in passato e che con l’aiuto di Dio
ero riuscito a scaraventare dentro una fossa, tornava prepotentemente a galla.
Il Signore
inizia l’opera
Passarono alcuni giorni, Carmela stava sempre con gli occhi aperti per fare
attenzione a quelle «assenze» che si facevano sempre più frequenti. Una sera,
poiché Davide aveva qualche linea di febbre, chiamammo il nostro medico di
famiglia. Tranquillizzati per l’episodio febbrile, gli sottoposi l’esame
dell’EEG di Davide, così per farmi dare un suo parere. Come si può spiegare
quella morsa che ti prende allo stomaco, quando capisci che qualcuno «ha visto»
qualcosa che non doveva esserci? Come si può spiegare quel senso di nausea che
ti prende, quel leggero giramento di testa, quella pressione intorno alle narici
e il volto che sembra scoppiarti, quando un dottore, di cui ti fidi, ti dice:
«Signor Frascaro, io non perderei un minuto a far vedere Davide da uno
specialista». Mi consigliò di portarlo al centro per la cura dell’epilessia del
policlinico Umberto I.
Ora noi tutti leggiamo purtroppo quotidianamente lo sfascio della sanità
pubblica italiana. Ma vi posso assicurare che non è tutta così. Presi un
appuntamento con la dottoressa Giallonardo. Inutile dire come il Signore mise la
sua mano anche qui: telefonicamente il primo appuntamento disponibile era per
circa due mesi dopo ma, guarda caso, dopo tre giorni si librò un posto…
La dottoressa Giallonardo prese subito a cuore Davide. Si commosse udendo come
Davide aveva cominciato la sua lotta con la vita già da dentro l’utero. Si
commosse pure di fronte alla sua testimonianza su Gesù. Si commosse infine
quando, cercando di farsi dire da Davide i sintomi che aveva quando aveva quelle
«assenze», lui gli diceva: «Sento come una mano sullo stomaco che mi preme e
una voce che mi dice: “Sei cattivo, sei cattivo”. Poi vedo sempre delle persone
intorno a me, ma io so che non esistono e non ci faccio più caso…». La
dottoressa fisso in tempi celerissimi una risonanza magnetica nucleare. La sua
paura era che il cervello, al momento della nascita, avesse sofferto per
mancanza d’ossigeno. Lei mi disse: «Signor Frascaro, Davide probabilmente soffre
d’epilessia, esistono farmaci che permettono di condurre una vita quasi
normale, aspettiamo l’esame e poi vediamo che fare».
Riusciresti a guardare il volto di tuo figlio di 9 anni, dopo che hai sentito
una cosa del genere? In macchina, mentre si tornava a casa, mi tornavano in
mente le sue parole: «Sento queste voci… vedo quelle persone…». Cercando
di sdrammatizzare, chiesi a Davide se quelle persone, che gli stavano intorno,
s’erano messe le cinture di sicurezza; e poi che era fortunato perché così aveva
sempre qualcuno con cui parlare e che non sarebbe stato mai solo… Davide mi
sorrise con quel suo faccino e mi disse: «E dai, papà…».
Il cuore mi si chiuse. La rabbia salì dallo stomaco fino al cervello, l’ira
m’avvolse, dandomi quella finta certezza d’avere finalmente qualcuno su cui
sfogare tutta la mia rabbia. Chiamai Giuseppe, il conduttore della chiesa, che
frequentavo e che frequento, e per sfogarmi urlai a lui tutta la mia rabbia! Gli
urlai di dirmi il motivo, il perché di questo, e gli dissi che avevo chiesto al
Signore di non toccarmi mai i miei figli e di darmi sempre la possibilità di dar
loro da mangiare! Quanto ero giovane e immaturo nella fede! Quando ripenso a ciò
che il povero Giuseppe ha dovuto ascoltare, divento ancora rosso di vergogna. E
quanto amore metteva nelle risposte che mi dava. Io però chiedevo al Signore di
scendere a patti! Gli gridavo: «Signore, noi siamo tuoi, tu però…».
Quanto era grande la presunzione e quanto era grande l’orgoglio, ancora non
avevo capito che non dovevo più essere io a badare ai miei figli, ma che adesso
essi invece erano i suoi! Non realizzavo ancora che, se io amavo i miei figli,
Lui li amava ancor di più perché morì, duemila anni fa, anche per Davide, per
Pietro, per me… E in che modo il Signore me lo fece capire! Egli vede dentro i
nostri cuori, ci vede come un artista vede un blocco di marmo grezzo, ma Lui sa
già cosa c’è dentro quel blocco. Sa solo che dovrà togliere tutto l’involucro
che lo occlude per far uscire fuori l’uomo che è al suo interno, quell’uomo che
Egli ha creato a sua immagine, ma di cui è consapevole degli sbagli che l’essere
umano può commettere. Tuttavia è doloroso far cadere dal blocco della mia vita
le parti inutile. Togliermi da addosso tutte le mie convinzioni è costato
dolore. Il Signore ci vuole sopraffini come l’oro, ma per arrivare a questa
purezza, ci fa passare per un crogiuolo ardente.
Quanto ho gridato al Signore! Leggevo e rileggevo il Salmo 6, gridavo al Signore
tutto il mio dolore. Solo dopo mi sono accorto che ero semplicemente io che
avevo chiuse le mie orecchie, che stavo aspettando risposte che il Signore non
poteva darmi, semplicemente perché Lui già sapeva tutto. «Caro fratello», mi
dicevano, «sappi che “tutto coopera al bene di quelli che amano Dio”»;
oppure: «Dio trasforma il male in bene». Quante parole mi venivano dette, che
avevo cominciato a leggere e a cui dovevo cominciare a credere. E quante
volte sentii dire: «Stiamo pregando per te».
Non giudicatemi male. Mi ero convertito da circa sei mesi, avevo già affrontato
prove e mi trovavo di fronte al momento di decidere se affidare mio figlio a Dio
o agli uomini. Avevo fatto lo sbaglio di pensare che ora, essendo del Signore,
tutto sarebbe andato bene. Poi mi accorsi però che mai e poi mai Gesù mi ha
fatto questa promessa. Egli mi ha detto anzi che ognuno deve portare la propria
croce, ma che Lui ci aiuterà a sollevarla e che lenirà le ferite della nostra
schiena, quando essa sarà piagata e dolorante.
Arriva il giorno
dell’esame
Mi chiedo perché non dicano quanto rumore fa la macchina della risonanza! Chiesi
d’essere accanto a Davide, mentre faceva l’esame. Quando infilarono nel dorso
della sua mano l’ago, per infondere il mezzo di contrasto, quell’ago stava
entrando anche dentro la mia carne. «Dai, Davide, che adesso entri
nell’astronave…», gli dissi mentre veniva adagiato su quel lettino che
piano, piano lo portava all’interno dell’anello dispensatore di sentenze. «Dai,
Davide, che sembra l’astronave di Star trek», dicevo a mio figlio. «Dai,
Davide, che gli facciamo vedere noi ai Klingom». Intanto pregavo dentro di
me: «Signore, tu sei qui, vero? Signore, tu stai mettendo appunto le
macchine, vero? Tu farai sì che il mezzo di contrasto non sia poi così doloroso
e che non debba ripeterla, vero? Signore, ti ricordi che Davide è tuo?».
E poi arrivò tutto assieme il frastuono che fece la macchina per la risonanza.
Era un rumore sgradevole, sembrava un’oca che starnazzava e cambiava spesso
frequenza. Era un rumore sgradevole quanto le risposte che in alcuni casi dava e
che stava per dare anche a noi. E poi era un esame lungo. Ogni volta che il
rumore ricominciava, vedevo il corpicino di Davide che sussultava per lo
spavento. «O Signore, quando finisce?». Volevo veramente però che finisse
e arrivasse il responso? E sì, perché fino a quel momento, fino alla sentenza,
potevo ancora sperare.
Ancora non affidavo a Dio le mie paure. Sono certo però che Dio mi stava capendo
in quel momento. Avevo paura per mio figlio, per la carne della mia carne. Ero
come una lupa rabbiosa intorno ai suoi cuccioli… «Signore, tu non vuoi
riprendertelo, vero?», chiedevo sommessamente, dentro di me al Signore
mentre rivestivo Davide, mentre l’infermiere gli toglievano l’ago-cannula dalla
mano, e specialmente mentre con la coda dell’occhio vedevo che troppi medici
stavano arrivando e guardando le lastre.
La sentenza
«Suo figlio purtroppo ha un Ganglioglioma. È una calcificazione della materia
grigia localizzata in un’area dell’encefalo destro. È molto vicina
all’ippocampo…», mi disse il medico. «Sì, dottore, ho capito, ma che cosa
è?!?», gli chiesi. «È un tumore, signor Frascaro».
«No, no, no, non di nuovo Signore, non nuovamente e non con Davide. Che
c’entra lui? E no, Signore, è stato proprio lui ad accettarti per primo…»,
dicevo a Dio, mentre piano, piano scivolavo giù con la schiena appoggiata al
muro, con le lacrime che uscivano, per la prima volta dopo tanti, tanti anni,
dai miei occhi. Non mi ricordavo neppure più che sapore avevano le lacrime. Per
mia moglie, non era potuta mai uscire una lacrima, mai poté rigare il lamento
dell’anima sulla guancia. E ora, finalmente, piangevo. Ora, finalmente, ero
crollato. Finalmente il Signore — adesso lo posso dire — aveva trovato il modo
di spezzare il mio orgoglio, la mia presunzione di essere il centro nel mondo
che mi circondava. Le lacrime cadevano e io le assaporavo una per una, erano
fresche come fresche erano quelle parole che, per la prima volta, mi venivano in
mente da sole: «Non temere, io sarò con te! Perché tu sei prezioso ai miei
occhi, sei stimato e io t’amo, io do degli uomini al tuo posto, e dei popoli in
cambio della tua vita….». «Che sono mai queste parole?», mi dicevo, «In che
libro e capitolo le ho lette? Mamma mia questa memoria…».
Mi sono tirato su, m’asciugai gli occhi e m’accorsi che i medici non riuscivano
a guardarmi in viso (era noto a tutti il percorso medico di Davide). Un’altra
volta quel sentimento di pietà che ti circonda, pensai. M’accorsi però che tutto
questo stava girando a un «ritmo» diverso.
Uscii fuori e vidi mia moglie. Da uno sguardo lei capì tutto. Come fanno però le
persone che t’amano a leggerti così dentro? Come fanno, con uno sguardo, ad
avere già capito tutto e a sapere già anche ciò che devono dirti? So solo che mi
disse l’unica cosa, che poteva dirmi, e so che lo Spirito Santo la guidò in ogni
sua parola: «Stefano, ti ricordi ciò che abbiamo scritto sulle nostre
partecipazioni di nozze…?». «No», risposi io. E mi citò Geremia 29,11: «“Infatti
io so i pensieri che medito per voi”, dice il Signore: “pensieri di pace e non
di male, per darvi un avvenire e una speranza».
Che avrei potuto dire di fronte a queste parole, che mi ricordavano tutto
l’amore che il Signore ha per noi? Che strana calma che avevo. E che differenza
tra come affrontavo la paura prima dell’esame, quando chiamai il caro fratello
Giuseppe, e come avevo affrontato lo scoramento dopo la risposta. Si, lo
scoramento c’era stato, ma fu subito sopraffatto da questa «calma» interna.
Lentamente mi stavo rendendo conto che non ero più io che dovevo portare, per
amore, il peso della malattia di Davide, ma che c’era qualcuno che lo portava al
posto mio, c’era qualcuno che amava Davide ancor di più di quanto lo amassi io.
Sentivo la serenità dentro al mio cuore. Non credete che sia un esaltato. Chi
non prova questa sensazione di pace e di serenità, non può capirla. Sapevo che
non ero solo a combattere, sapevo che non dovevo usare le mie di forze, perché
erano assolutamente insufficienti, ma Qualcuno era accanto a me. Dio era
soprattutto accanto a Davide.
Per un periodo il ragazzo prese dei farmaci, anche perché oramai le crisi erano
troppo frequenti, dieci, dodici al giorno. Gli davamo il Tegredol, e poi il
Depakim. Poverino, la mattina era completamente stordito. Avete presente un
ubriaco che balbetta, che farfuglia le cose? Così era lui. A scuola
s’addormentava, non era reattivo, era sveglio ma assente. «Così non può andare»,
dissi a Carmela.
La potenza della
preghiera
La chiesa intanto pregava. Per la prima volta avevo richiesto delle preghiere.
Che cosa strana, e quanto mi costò chiederle. Che significa mai, mi chiedevo
dentro di me, chiedere preghiere?! Quando però fui invitato a esporre
all’assemblea della chiesa il problema, e di poter pregare per Davide, tutto mi
fu chiaro. Sentire persone che conoscevo da così poco, o che non conoscevo
neppure, elevare preghiere a Dio per la salute di Davide, oppure per la mia e
nostra forza; ciò mi colpì. Pregavano anche che il Signore mi desse la forza per
affrontare questa prova!
Perché mi sentii immediatamente bene? Perché potei guardare in faccia ai
fratelli e non vedere sguardi di commiserazione, ma finalmente di speranza, di
certezza nella vittoria in Gesù? Che differenza dalla storia con mia moglie e
come mi gustavo quei momenti, ero arrivato alla consapevolezza che in quella
battaglia non ero solo. La chiesa locale, la chiesa universale pregava per mio
figlio, per me, per la mia famiglia. Di cosa potevo temere? Mi s’aprì il cuore,
mi scesero quelle scaglie che ancora avevo davanti ai miei occhi e non mi
permettevano di vedere veramente la luce che c’era intorno ai miei fratelli, che
non mi permetteva di vedere lo splendore riflesso della gloria di Gesù che era
in ognuno di loro, e di conseguenza capii che di quella luce risplendevo pure
io. Mi resi conto, solo allora, che finora non avevo visto tutto ciò per via del
fango del peccato, che avevo ancora addosso e che mi copriva pure gli occhi, mi
resi conto che il sangue di Gesù aveva lavato quel fango, finalmente, anche dal
mio volto e mi permetteva di vedere, per la prima volta, con gli occhi d’un
credente.
L’alternativa
«Così non può andare avanti», dissi a Carmela dopo aver visto Davide appoggiare
la testa sul tavolo e addormentarsi. Ritornammo dalla dottoressa Giallonardo
chiedendole un’alternativa. E lei ce la diede. Ma che alternativa, caspita.
«Possiamo provare a operarlo», ci disse: «Gli eliminiamo la calcificazione.
Certo, è vicino all’ippocampo… potrebbe avere dei problemi di dislocazione delle
cose nello spazio e nel tempo. Potrebbe avere problemi con la memoria a breve
termine». «Dottoressa, ho capito, mi spieghi bene adesso!», le risposi. E lei mi
spiegò: «Dovremo rompere la scatola cranica, dovremo arrivare alla parete
occipitale destra, dovremo arrivare alla base dell’ippocampo, dove risiede
questo tumore, e asportarlo. Il rischio è che la massa tumorale non si distingue
benissimo dalla materia sana, quindi c’è il rischio di togliere troppo o troppo
poco. E poi potrebbe rimanere un vegetale, potrebbe non avere più memoria a
breve termine, potrebbe non avere più il senso dell’equilibrio, potrebbe….
potrebbe… potrebbe… C’è però un centro che è all’avanguardia in Europa, a
Pozzilli, vicino a Isernia, la Neuromed, se volete mi posso informare per vedere
i tempi dell’operazione».
La ringraziammo, dicendole che l’avremmo richiamata a breve. Per tutto il
percorso ognuno di noi, io e mia moglie, rimase avvolto nei propri pensieri. Non
le ho mai chiesto cosa pensasse in quei momenti, ma conoscendo l’amore per il
Signore, che lei già aveva, so che avrà pregato per Davide, per Pietro e per me.
Ed io forse per la prima volta mi rivolsi al Padre dicendogli: «Signore, sia
fatta la tua volontà!».
Ci prendemmo un tempo di preghiera, eravamo indecisi, ma per l’ennesima volta la
«fantasia» del Signore intervenne per darci la risposta. Dovemmo sottoporre
Davide a una serie di test per vedere il grado di deficit che aveva. Come
visionai il risultato d’uno d’essi, ovvero disegnare una immagine molto semplice
che aveva visto per cinque minuti, mi diede la risposta che aspettavo. Davide
soffriva per come stava, e il Signore m’aveva fatto vedere come vedeva la sua
sofferenza.
L’operazione
Arrivammo a Pozzilli una mattina d’inverno. M’ero fatto prestare la macchina da
un mio amico. Nel frattempo avevo perso il lavoro e quello, che avevo trovato,
andava male. Quando ci ripensavo, ridevo alla pretesa del patto che avevo
imposto a Dio, ovvero di non toccarmi i figli e dargli sempre la possibilità di
mangiare. Il Signore sa quali macigni deve togliere prima dal blocco di pietra,
affinché poi possa lavorare con uno scalpellino…
La Neuromed è una struttura meravigliosa, una di quelle che vedi solo nei
telefilm americani, pareti tirate a lucido, personale gentilissimo, attrezzatura
d’avanguardia… ma c’era un piccolo neo: non aveva il reparto pediatria! Il
Signore però ci circonda d’angeli, che possono manifestarsi anche attraverso
suor Mary, una suora che dopo la storia di Davide fu allontanata dal vescovo
perché cominciava ad aver dubbi sul suo essere suora e perché vedeva invece
l’amore di Dio che si manifestava attraverso le persone che ci gravitavano
intorno. Oppure attraverso il personale tutto del reparto, che con amore
accolsero Davide come un figlio d’ognuna e ognuno di loro.
Poiché non c’era un’accoglienza per i genitori, ci diedero una suite, con
salotto, bagno, ecc. Sorrisi pensando al fatto che non avevo neppure chiesto al
Signore a provvedere alla nostra permanenza in ospedale, e Lui invece aveva già
predisposto tutte le cose. Sì, Carmela avrebbe potuto dormire su una sdraio; ma
il recupero, ci dissero, poteva essere molto lungo. Così il Signore ci rese la
permanenza molto più… comoda! Solo la prima sera, quella dell’operazione, poiché
Davide doveva rimanere in rianimazione, potevamo avere dei problemi, ma
ottenemmo da suor Mary il permesso di dormire in un appartamento tenuto dal suo
ordine monastico.
Arrivò il giorno dell’operazione. Non sto a riportare tutti gli esami che gli
fecero, tutto quello che dovette fare, la prima permanenza di qualche giorno per
gli accertamenti, ecc.
Quanto pregammo, e quanti stavano pregando! Sapevamo che s’era attivato un tam
tam di preghiere. Posso dire che tutte le preghiere arrivarono a destinazione!
Che pace che avevamo. Sapevamo che il Maestro era all’opera e che stava guidando
ogni cosa. Le mani dei medici venivano mosse dal Signore. Mi chiesi come avrei
potuto reagire, se qualcosa fosse andato male, ma questo dubbio, chissà perché,
mi sparì subito. Ero certo che il nome del Signore sarebbe stato glorificato ad
alta voce proprio a causa di quest’operazione!
Stava dentro la camera operatoria da circa un’ora. Quando sentii del trambusto
uscire dalla sala operatoria. Sentii addirittura il rumore d’una sega elettrica!
«Stranamente» non mi preoccupai. Fermai un infermiere che in quel momento usciva
tutto trafelato e gli chiesi cosa stava succedendo; candidamente mi rispose che
non aveva le stecche in legno necessarie a bloccare il braccio di Davide per
inserire le flebo, e che quindi avevano preso un pezzo di battiscopa, l’avevano
modellato, bendato con garza sterile e adattato al braccino suo! In quel momento
ebbi la certezza che c’erano angeli intorno a mio figlio, e che lo stavano
proteggendo da ogni cosa. L’operazione durò undici ore. Furono undici ore di
preghiere serene e di letture edificanti.
Mentre stavo sdraiato sulle panchine fuori della sala operatoria, alle 21,15
venne suor Mary che con un sorriso mi disse: «Ma lo volete vedere Davide…?». In
un attimo ci alzammo. Ci fecero entrare in sala rianimazione uno per volta.
Entrai per primo e lo vidi, lì vidi piccolissimo in un letto enorme… con una
fasciatura intorno alla testa, che era l’unico segno visibile della lotta che i
medici avevano affrontato contro il tumore, lo vidi bianco e freddissimo perché
avevano dovuto abbassare la temperatura corporea per limitare il flusso
sanguigno al cervello. Lo immaginai avvolto dai teli chirurgici, mentre gli
venivano poste delle domande durante l’operazione, perché dovevano vedere cosa
toccavano, aiutati da una risonanza di centramento e da una proiezione
tridimensionale del cervello che li aiutava ad andare non oltre il tumore. Ma
bastò che aprì gli occhi per un momento per farmi provare la gioia più grande!
Dio mio e mio Dio grazie! Era lì, era freddo, era ferito, ma era vivo. Ora
toccava solo verificare i danni causati dall’operazione.
La convalescenza
La prassi era che doveva stare una settimana in rianimazione. Dopo un giorno,
Davide disse agli infermieri: «Ma guardate che se non fate entrare i miei
genitori, io chiamo i carabinieri»; ed essi verificarono che non c’era
motivo della sua permanenza presso la rianimazione. Nessuno dei medici si spiegò
come un bambino così piccolo poté uscire così presto dalla sala rianimazione,
dopo una operazione così importante. Noi dicevamo loro: «Si, vedete, voi gli
date le medicine, ma Davide il Medico per eccellenza ce l’ha nel cuore, ed è
quel Gesù che lui ha accettato dentro di se!». S’allontanavo, scuotendo la
testa, ma ancora dubbiosi sulle straordinarie capacità di ripresa di Davide.
Cominciarono i primi test e, a parte un pochino di mal di testa, Davide non
accusava nessun tipo di danno dovuto all’operazione! I medici entravano,
facevano i test e uscivano con dei «mah!» pieni di stupore! Cosa ci poteva
oramai stupire? Sapevo che avrei gridato gloria al nome di Gesù e così feci! Non
c’è stato nulla di «normale» nel decorso postoperatorio di Davide. Dopo due
giorni s’alzava dal letto, mangiava come un leone, era il nostro Davide di
sempre.
Il giorno che ci dissero che potevamo tornare a casa, nevicò. Quella neve
copriva con il suo manto candido tutto quello che avevamo intorno. Allo stesso
modo l’amore di Gesù, con il suo manto, ci aveva accolto tra le sue braccia. In
silenzio, come cade la neve, in silenzio, come l’amore di Gesù penetra nei
nostri cuori. Il Signore aveva operato un miracolo. Davide non ebbe più bisogno
d’alcun farmaco. Si riprese in tempi rapidissimi, aveva quasi un quarto di
materia grigia in meno, ma non aveva alcun problema. Il Signore m’aveva fatto
capire come dovevo abbandonare tutta la mia egocentricità e affidarmi del tutto
e per tutto a Lui. Mi aveva fatto capire che è in Lui che potevo trovare la
forza, una forza invincibile e infinita, come infinito è l’amore che Lui prova
per noi.
L’ultimo
insegnamento
Un ultima lezione su tutta questa storia il Signore me la diede dopo quasi un
anno. Vennero in chiesa come ospite una coppia d’anziani dalla Svizzera. Alla
fine del culto vennero vicino a me e mi chiesero: «Lei è il papà di Davide?».
«Sì», gli risposi. «E come sta adesso?». «Bene», gli dissi, «grazie, ma perché
me lo chiedete?». «Perché, quasi un anno fa», mi raccontarono, «ci arrivò una
lettera dalla sorella Hanna, che ci raccontava la storia di Davide, e ci
chiedeva preghiere per l’operazione. Ora, non abbiamo più avuto notizie e solo
oggi abbiamo capito che è in questa chiesa che sta Davide. Noi preghiamo ancora
per lui tutti i giorni, e volevamo sapere come sta!». Mi scesero delle lacrime
di gioia, d’amore, di gratitudine! Ecco la chiesa che ci ha lasciato Cristo!
Questa coppia d’anziani stava ancora pregando per Davide perché non avevano più
ricevuto sue notizie! Erano stati fedeli per tutto questo tempo come Cristo è
fedele alla sua chiesa! Chiamai Davide, lo presentai loro e grandi lodi vennero
elevate al Signore!
Davide adesso, grazie a Dio, ha quattordici anni e sta bene. Non ha riportato
alcun deficit. Va a scuola regolarmente. Come un qualsiasi ragazzo della sua età
è sbadato, si dimentica le cose e ci «prova», quando si dimentica qualcosa,
appunto come un qualsiasi ragazzo della sua età.
Epilogo
Sì, certo, dopo due anni dall’operazione si ripresentò il seguente problema: al
controllo una nuova macchia ci fece preoccupare, ma eravamo consapevoli che il
Signore era già intervenuto nella nostra e nella sua di vita. Quindi di che
preoccuparsi? Lui aveva sicuramente in mano la cosa. E infatti, il giorno prima
del nuovo intervento, mentre si faceva la risonanza di centraggio per
l’operazione, i medici videro che non c’era più nessuna macchia. Non era un
edema quello che avevano visto all’inizio, era una formazione che s’era
riaffacciata. La risonanza fatta a Roma il mese prima lo evidenziava, quella
fatta appena entrati in Neuromed lo evidenziava, quella fatta la sera prima
dell’intervento no. Era tutto finito. Ancora adesso i medici non si spiegano
come sia potuto accadere; ancora adesso mi chiedono l’autorizzazione a portare
gli esami ai convegni.
Noi però sappiamo per mano di Chi ciò è potuto succedere, vero? Infatti noi «…sappiamo
che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono
chiamati secondo il suo disegno…» (Romani 8,28).
Versione corretta, adattata e redatta da Nicola Martella per «Fede
controcorrente»
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Suo figlio ha un tumore al cervello! Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Tumore_cervello_figlio_MeG.htm
08-08-2009; Aggiornamento: 17-09-2009
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