Non è mia intenzione entrare in una discussione fra fratelli all’interno di una
realtà ecclesiale locale, né prendere partito per qualcuno. D’altro canto, è
stata richiesta la mia opinione da un lettore e uno dei servizi offerto dal sito
«Fede controcorrente» è di rispondere ai quesiti posti. Confido nella maturità
dei fratelli che quanto qui detto non verrà usato in modo strumentale per
questioni e situazioni che non conosco. Le mie riflessioni vogliono
rappresentare solo un approfondimento biblico, su cui riflettere. |
Senza il
perdono la giustizia schiaccia in modo implacabile, senza dare una
possibilità di redimersi, dopo aver scontato la giusta pena dei propri atti.
Il perdono senza giustizia crea caratteri deboli, furbi e menzogneri,
interessati solo al proprio vantaggio, al piacere personale e a minimizzare
le eventuali conseguenze di una sanzione, magari impietosendo il prossimo,
generalizzando la colpa o trasferendola su altri. Il perdono presume la
pratica della giustizia. Ad ambedue bisogna educare, e cioè specialmente in
famiglia.
La questione della lettrice
▲
Ciao
Nicola, come sai sono una tua affezionata lettrice. Ho cercato nel tuo sito
se ci fosse un tema dedicato esclusivamente al perdono, ma non mi sembra
d’averlo trovato. Qualora ci fosse, ti prego d’indicarmelo. Altrimenti,
vorrei da te una risposta, se possibile, in relazione al perdono.
Secondo la tua interpretazione della Bibbia, bisogna perdonare sempre, anche
se chi ci ha fatto del male non si pente, e neanche smette con il suo
comportamento, o si deve perdonare solo nel caso l’altro chieda scusa e sia
pentito?
Nella Bibbia ci sono alcuni passi in cui il perdono è messo in relazione con
la richiesta di scuse o il pentimento, e altri no. Perciò sono confusa.
{Giuseppina Gatta; 08-12-2007}
La risposta ▲
1. ENTRIAMO IN TEMA: Effettivamente sul sito c’è ancora
poco sul «perdono». Ho trovato solo questi due riferimenti: ▪ 1) In un
articolo sul «Padre
nostro»; ▪ 2) ▪ In un articolo nel «Dizionario
biblico». Per l’approfondimento rimando alla seguente
letteratura:
■
Trattazione teologica: Nicola Martella, «Perdono»,
Manuale teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma
2002),
p. 270; cfr. qui «Perdonare», pp. 269s.
■
Trattazione pastorale: Nicola Martella,
Entrare nella breccia
(Punto°A°Croce, Roma 1996). Qui ci sono riferimenti pastorali al problema
del perdonare, del non volerlo fare o del non riuscire a farlo. Uno dei casi
pastorali è creato proprio dall’incapacità di perdonare o
dall’indisponibilità a farlo (pp. 35.37), mentre la capacità di farlo è un
segno del rinnovamento divino avvenuto nel credente (pp. 149s). Viene
altresì mostrata l’importanza dell’esercizio del perdono e come il
consulente possa aiutare al riguardo (pp. 85s.238). Un aspetto pastorale
importante è arrivare alla confessione del peccato al Signore e la conferma
del perdono da parte del consulente (pp. 243-247).
2. ALCUNI ASPETTI DEL PERDONO: Il tema del perdono è
molto vasto. Qui sintetizzo alcuni aspetti nell’intento di stimolare la
riflessione e il dibattito.
■ La soglia di tolleranza: Il termine «longanimità» designa il
«respiro lungo» che si dovrebbe avere, prima di mettere una soglia di
sbarramento e dire: «Fin qui e non oltre». Ci sono aspetti del carattere,
abitudini, modi di fare, reazioni tipiche e altro, verso cui all’interno di
una connessione esistenziale (coppia, famiglia, gruppo) si cerca di usare
benevolenza, sapendo che ognuno ha le sue «ombre».
La longanimità da sola o accanto all’amore, oltre a essere un tratto del
carattere divino (Is 63,9; Gr 15,15; Rm 2,4; 9,22; 1 Tm 1,16), è una
caratteristica del cristiano fedele (2 Cor 6,6; Gal 5,22; Ef 4,2; Col 3,12).
Per amore del Signore, della sua opera, del bene comune, della speranza di
un cambiamento e di obiettivi più grandi si può cercare di coprire molte
cose col manto dell’amore. «Chi copre le trasgressioni si procura amore,
ma chi sempre vi torna su, disunisce gli amici migliori» (Pr 17,9). «Soprattutto,
abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre
moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8)
Ognuno deve valutare se stesso, prima di fare delle rimostranze all’altro. A
volte può succedere che alcuni, che si sentono offesi per qualcosa e lo
dicono alla persona interessata, si sentono rispondere tra altre cose: «Il
fatto che io non abbia detto niente di questo o di quello, non significa che
non c’è stato alcun problema, ma ho ritenuto esercitare la longanimità per
quieto vivere e per amore verso il Signore!». Può succedere quindi che le
cose sopportate dall’altro siano molto più gravi di quelle oggetto del
rimprovero dell’uno.
■ Saggezza richiesta: Questo non vuol dire che non bisogna affrontare
alcuni di questi aspetti, al momento opportuno. Bisogna però valutare se
vale sempre la pena, visto che si può rischiare di tappare un buco facendone
un altro più grande; per rendere l’idea della questione o per difendersi, il
tutto può finire poi nel fare in lunghe liste di tic, di cattive abitudini,
di lati oscuri del carattere dell’altro. Gli animi potrebbero finire per
inacerbirsi di più. Si fa bene a cercare al riguardo il momento opportuno, a
trattare caso per caso, evitando di presentare all’altro un cumulo di
«ombre», e a non usare al riguardo generalizzazioni (sempre, tutto, mai,
ogni volta).
All’interno di una famiglia cristiana si riesce a volte meglio mettendo
delle regole generali e verificando la loro attuazione (diritti e doveri,
sanzioni). Lo stesso vale per una comunità, mirando a preservare l’ordine e
il decoro (1 Cor 14,40) mediante alcune regole generali suggerite dalla
conduzione e discusse insieme (ad esempio nel caso in cui alcuni pregano in
un incontro molte volte, non lasciando spazio agli altri; che cosa fare
quando…). Al riguardo fanno bene le predicazioni pastorali di edificazione,
esortazione (quindi anche ammonizione) e consolazione (quindi anche
incoraggiamento; cfr. 1 Cor 14,3).
■ Il recupero: Questo è un aspetto importante. La devozione mal
capita può portare qualcuno a separarsi dagli altri, qualora essi non
giungano al livello che il primo ha stabilito. Questo è il caso dei Farisei,
termine che significa i «separati». Così succede che coloro che si sentono
dei «giusti», frequentino solo altri «giusti». Per fare ciò si sottopongono
con sacrificio a pesanti regole dettate dalla tradizione particolare. Perciò
disprezzano coloro che non sono come loro. Sono medici che curano solo se
stessi. Perciò Gesù disse a scribi e Farisei: «Ora andate e imparate che
cosa significhi: “Voglio misericordia, e non sacrificio”. Infatti io non
sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» (Mt 9,13). Poco più
in là Gesù citò lo stesso verso dell’AT, aggiungendo che se essi sapessero
che cosa significasse ciò, non avrebbero «condannato gli innocenti» (Mt
12,7).
Gesù stesso fu un esempio di un credente dedito al recupero degli
emarginati e dei falliti. Tale intento verso il prossimo si può spiegare con
queste sue parole rivolte all’adultera: «Neppure io ti condanno; va’ e
non peccare più» (Gv 8,11).
Giacomo concluse la sua epistola con una raccomandazione di recuperare
chi si è sviato (Gcm 5,19s). Similmente fece Giovanni (1 Gv 5,16ss).
■ Perdono e sanzione: Un errore della religiosità e della morale
correnti è quello di pensare che quando si accorda il perdono, decada la
sanzione. Questo è un grave danno per la morale stessa, per il carattere
delle persone, per la pedagogia, per la giustizia, eccetera. Ciò crea
persone deboli e una concezione del perdono che è frutto dell’umanesimo e
non del pensiero biblico: ▪ 1) Senza sanzione, le persone che trasgrediscono
ricadranno presto nella stessa cosa, ma sfrutteranno la bontà altrui o un
«senso cristiano» falsamente inteso; ▪ 2) Senza sanzione, nella parte lesa
si alimentano risentimenti e sensi di colpa; infatti la mancanza di
giustizia e la reiterazione degli stessi atti da parte dell’altro creano
dapprima amarezza nella parte lesa (per l’ingiustizia subita) e poi sensi di
colpa (per i sentimenti covati).
Anche per Dio l’accordo del perdono e la punizione del colpevole e della sua
iniquità non sono contraddizioni (Nu 14,18). Guardando al periodo nel
deserto, dopo l’uscita dall’Egitto, il salmista disse in preghiera a Dio: «Tu
fosti per loro un Dio perdonatore, benché tu punissi le loro male azioni»
(Sal 99,8).
■ Giustizia e perdono: Essi formano un binomio inscindibile. I
rapporti umani senza regole e senza conseguenze concrete per gli atti
d’ingiustizia, sono destinati a fallire. L’abuso perpetuato per lungo tempo
da uno e sopportato altresì dall’altro, può portare a un punto critico di
rottura irreversibile. Si fa quindi bene a non accumulare le cose, ma a
risolverle punto per punto.
Per ottenere il perdono, bisogna richiederlo confessando il peccato (Sal
32,5). Ciò presume che sia avvenuto al riguardo un ravvedimento e che il
pentimento sia accompagnato dal proposito di non reiterare il dolo. Solo
sulla base della giustizia è possibile una vera riconciliazione che
purifichi i rapporti e li rinnovi.
Gesù insegnò: «Badate a voi stessi! Se il tuo fratello pecca, riprendilo;
e se si pente, perdonagli» (Lc 17,3). Si noti sia la riprensione sia il
pentimento. Gesù stesso mostrò che, nonostante i propositi sinceri, si possa
cadere nella stessa cosa più volte (v. 4); ma anche qui viene evidenziato il
pentimento.
Come detto, l’elargizione del perdono può essere connessa a una sanzione e
alla richiesta di riparazione del danno materiale o morale (Lv 5,16). Senza
una tale base, il reo sarà portato a reiterare il dolo (debolezza personale,
sistema indulgente) e il danneggiato continuerà a covare risentimenti e
sensi di colpa.
■ La via della giustizia: Dopo aver valutato se l’impresa valga la
candela, fra credenti si
deve cercare di risolvere prima personalmente le cose. Se ciò non
sarà possibile a causa dell’indisponibilità dell’altro, la parte lesa fa
bene a coinvolgere altri, ossia una o due persone di fiducia con
caratteristiche di saggezza ed equilibrio. Se anche questa via non va in
porto, si coinvolgerà la chiesa nelle persone dei conduttori. In caso
di irremovibilità da parte del reo, la chiesa può arrivare a delle sanzioni
confacenti al caso (ammonizione privata, riprensione pubblica, privazione di
ministeri, fuori comunione).
Gesù insegnò ai suoi seguaci: «Se poi il tuo fratello ha peccato contro
di te, va’ e riprendilo fra te e lui solo. Se t’ascolta, avrai guadagnato il
tuo fratello;
16ma, se non t’ascolta, prendi con te ancora una o due persone,
affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni.
17E se rifiuta d’ascoltarli, dillo all’assemblea; e se rifiuta di
ascoltare anche l’assemblea, sia egli per te come il pagano e il pubblicano»
(Mt 18,15ss).
Nei casi in cui la persona coinvolta sia
non-credente, bisognerà procedere in modo simile. Specialmente se
sono parenti, è importante la funzione di terze persone sagge,
neutrali e affidabili. La tendenza ad approfittarsi dei parenti è maggiore
per persone deboli all’interno di un sistema indulgente.
■ Genitori e figli: La famiglia è il campo in cui si educa alla
giustizia o all’ingiustizia, al perdono o al conflitto. Qui affronto questo
caso particolare che è fonte di tante amarezze, delusioni e sconfitte a
causa di una giustizia o di un perdono erroneamente compresi.
In genere sono certi figli ad approfittarsi dei genitori per i propri
interessi. Può succedere che tale comportamento ingiusto della persona cara,
porti a una diversa valutazione delle cose da parte dei due coniugi, ad
esempio due genitori nei confronti di un figlio. Se non si pratica qui una
via di giustizia, si rischia di minare anche il rapporto coniugale. Nel caso
di un chiaro dolo (p.es. un figlio adulto ruba in casa; usa continuamente
bugie), può succedere che un coniuge voglia perdonare sempre, mentre l’altro
solo in caso di un vero e sincero ravvedimento. In tali casi, si rischia di
creare non solo risentimenti (e conseguenti sensi di colpa) verso il figlio
reo, ma anche verso il coniuge indulgente. I danni che tale atteggiamento
può portare a lunga scadenza, sono immaginabili.
Tali
genitori potranno intervenire in modo efficace, solo se compariranno
dinanzi a tale figlio come un’unità (i figli sono esperti nell’usare tali
disparità); perciò fanno bene a trovare una linea comune, anche se ciò
significherà un onorevole compromesso. Quando un figlio si approfitta dei
genitori per i propri interessi e questi ultimi fanno finta di nulla o
minimizzano, trovando continue attenuanti, essi non fanno veramente bene al
figlio. In tal modo si alleano con la debolezza del figlio e la sua tendenza
all’ingiustizia, invece che con i suoi punti di forza e con il suo senso di
giustizia. In certi casi, tale connivenza travolgerà anche i genitori, sia
per un danno materiale di grande entità, sia per le conseguenze personali ed
esistenziali, in cui sprofonderanno a causa di tale figlio.
Anche verso i figli si possono mettere sanzioni. Se un figlio adulto,
ad esempio, ruba in casa dei genitori, si possono coinvolgere persone comuni
che possono aiutare. Già il fatto che altri sappiano, può impedire che il
reato avvenga di nuovo. Si possono cambiare le chiavi di casa, impedendo che
il figlio ne abbia un paio. Si può impedire al figlio di andare e venire
come gli fa comodo. E così via. Chiaramente bisogna valutare di caso in
caso. In certi casi, quando tale figlio nega l’evidenza dei fatti, si può
metterlo alla prova con l’aiuto di persone fidate, creando un caso che lo
smascheri. Nei casi estremi, per aiutare tale figlio a ravvedersi, si può
anche arrivare a diffidarlo o a denunciarlo.
All’interno della teocrazia d’Israele per casi estremi (figlio caparbio e
ribelle, disubbidiente ai genitori, ghiotto e ubriacone) c’era la
possibilità che i genitori si rivolgessero agli anziani della sua città per
chiedere d’intervenire; in tali casi la sanzione poteva arrivare fino alla
morte per lapidazione (Dt 21,18-21). Chiaramente i genitori disperati
avranno ammonito il figlio diverse volte, facendo riferimento a tale
eventualità. La chiesa non è una teocrazia, ma tale esempio mostra in che
situazione disperata dei genitori possano trovarsi con figli dissoluti.
Oggigiorno ci sono situazioni disperate in cui i genitori sono tiranneggiati
da figli dissoluti e il tutto finisce non di rado in tragedia: un genitore
disperato che ammazza un tale figlio dopo l’ennesimo abuso, oppure un figlio
che ammazza i suoi genitori nel raptus o per mettere le mani sul patrimonio.
■ Educare alla giustizia: Prima di tutto ciò si fa bene a prevenire,
invece di dover poi curare (con risultati incerti). La prevenzione giusta è
che i figli vengano per tempo educati alla giustizia, all’ordine e al
decoro, senza delegare nulla agli altri (società, scuola, chiesa,
associazioni, clan d’amici, mass-media, ecc.). «Ogni scrittura ispirata
da Dio» non mira solo alla salvezza dell’anima degli uomini, ma è «utile
a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia» (2 Tm
3,16). Se da una parte bisogna indicare la via di salvezza, dall’altra
bisogna ammaestrare alla giustizia, formando così la coscienza etica. Questo
è un antico tema nella Parola di Dio (Pr 9,9; cfr. Tt 2,12) ed è abbinato
specialmente alla persona di Dio (Sal 25,9) e del Messia (Is 42,1).
Solo in un sistema che mira alla giustizia, sarà possibile creare una
gestione del perdono, sia richiesto da chi fallisce, sia dato da chi è stato
offeso. Perdonare significa riaccettare in comunione, riconciliare a sé.
L’elargizione del perdono premette però un vero ravvedimento, la richiesta
del perdono, l’avvenuta riparazione del danno materiale e morale e l’impegno
a non reiterare più lo stesso.
L’apostolo Paolo insegnava in un caso specifico: «Ora se qualcuno ha
causato tristezza... 6Basta a quel tale la riprensione
inflittagli dalla maggioranza; 7affinché ora, al contrario,
dovreste piuttosto perdonarlo e confortarlo, che talora non abbia a rimanere
sommerso da eccessiva tristezza.
8Perciò vi prego di confermargli l’amore vostro» (2 Cor 2,5-8;
cfr. v. 11).
In cose di un certo rilievo una richiesta solo formale di perdono senza un
vero cambiamento, porterà alla creazione di un sistema debole di giustizia e
a persone senza carattere morale. Tali persone, invece di ravvedersi,
cercheranno di compensare le proprie debolezze con la dialettica:
generalizzando (siamo tutti peccatori), facendo una lista degli errori
altrui o delle offese personalmente subite da parte di altri, indicando
l’ingiustizia del sistema (società, famiglia, chiesa, ecc.), e così via.
Per educare alla giustizia, il ferro si batte finché è caldo (Pr 22,6). E al
riguardo hanno un grande ruolo la famiglia (2 Tm 1,5) e la chiesa locale (1
Tm 3,15), specialmente i conduttori (Tt 1,9).
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► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Perdono_giustizia_EnB.htm
16-12-2007; Aggiornamento: 31-01-2008 |