Ciao fratello Nicola, stavo rileggendo un tuo articolo dal titolo «Cambiare comunità», dove c’è un lungo elenco di motivi, giustificabili o meno,
per i quali un credente può lasciare la comune adunanza.
Il mio dubbio non riguarda però questa lunga lista di motivi, perché se qualcuno
non dovesse trovarsi bene all’interno di una comunità, secondo il mio
personalissimo parere, può cambiare
testimonianza. Il problema sorge se chi va via, quando si vuole screditare
il buon nome di quella testimonianza, per «uscirne pulito», ma è un altro
argomento.
Io volevo chiederti però delucidazioni sul passo di
Ebrei 10,25 che sto già meditando e approfondendo e spesso viene utilizzato
per impedire ai credenti di cambiare assemblea, ma da quello che ho potuto
notare si rivolge a quei credenti che abbandonano la fede in Cristo,
piuttosto che l’assemblea.
Tu che ne pensi? Mi è sorto questo dubbio, dopo che ho letto una tua risposta a
una sorella. Lei scriveva «Non è possibile
cambiare comunità. La Bibbia dice di non abbandonare la comune adunanza! (Ebrei
[10,25, N.d.R.]). Ciò può avvenire, solo se una persona ha un dono come
missionario. Comunque siamo un unico Corpo in Cristo!». Tu rispondevi: «Qui
discutere Ebrei 10,25 ci porterebbe troppo fuori tema. In ogni modo, esiste il
caso normale e le sue eccezioni…». [►
Cambiare comunità? Parliamone 2, risposta a Giuseppina Fierro nel punto 11.]
Visto che in quel contesto si andava fuori tema, perché non affrontarne un altro
con al centro questo inflazionato versetto? Grazie e che Dio ti benedica.
{Alessio Guida; 19-09-2014} |
1.
ENTRIAMO IN TEMA: Qui di seguito andiamo nel dettaglio esegetico;
quindi, non è uno scritto indirizzato a tutti, ma solo a coloro che hanno
abbastanza discernimento, maturità e competenza specifica. Ho tratto questa
esegesi da un mio commentario esegetico, non ancora pubblicato, sulla lettera
agli Ebrei; adatto il testo all’esigenza del caso.
Partiamo da una traduzione letterale di Ebrei 10,24s, poiché il v. 25 è
una proposizione secondaria del v. 24:
«E teniamo in considerazione gli uni gli altri per
l’incitamento d’amore e di buone opere, [25] non abbandonando
la propria assemblea, com’è abitudine per
alcuni, ma esortando; e tanto più quanto vedete che si avvicina il giorno».
Come si vede, Ebrei 10,25 è un inciso del
verso precedente e, come tale, mostra la premessa o la circostanza per
realizzare l’asserzione principale (v. 24).
L’autore esortò
gli altri Giudei a
non trascurare il comune raduno cristiano.
2.
ANALISI TERMINOLOGICA:
Qui analizziamo solo il v. 25 nei suoi termini
principali. Si tenga presente che, qui di seguito, i brani senza alcun altro
riferimento si riferiscono alla lettera agli Ebrei.
■ Enkataleípō
intende «lasciare dentro, da parte, nelle mani di, abbandonare,
dimenticare» (cfr. 13,5; cfr. kataleípō in 4,1; 11,27); il pt. pres. att.
denota un’abitudine continua di alcuni.
■ Episynagōghḗ
intende «riunione, raduno, adunanza, assemblea; somma, ricapitolazione;
venuta collettiva, prospetto, addizione» (ricorre
solo qui in Eb; solo ancora in
2 Ts 2,1). Nell’apocrifo 2 Macc 2,7 si trova la
seguente locuzione: héōs àn
synághē ho Theòs
episynagōghḕn
tũ laũ «finché Dio riunisca l’assemblea del popolo». Tale espressione non è
diversa da pãsa hē
synagōghḕ
tũ laũ «tutta l’assemblea del popolo» in LXX Gr 33,17 (= TM 26,17 kol-qehal
hā`ām). Tale espressione non si differenzia da
synérchomai en ekklesía «riunirsi in
assemblea» (2 Cor 11,18). Episynagōghḗ
non si differenzia da ekklesía
«assemblea» (cfr. 2,12 a. cultuale; 12,23 «a. dei primogeniti»; cfr. At 7,38 «a.
del deserto»); è solo una delle tante nuance care all’autore. Gli
incontri comuni furono considerati dall’autore l’occasione, durante le quali
prestare la cura reciproca, incitarsi al bene ed esortarsi a vicenda in vista
del «giorno», ossia del secondo avvento di Cristo, quello glorioso (cfr.
v. 37; cfr. 1 Ts 5,1ss; 2 Ts 2,1ss).
■ Éthos
significa «uso (At 6,14), abitudine (Lc
22,39), consuetudine (Lc 1,9; At 25,16),
costume (At 15,1; 16,21; 21,21; 28,17), usanza
(Lc 2,42; Gv 19,40; At 26,3)»
(ricorre solo qui in Eb).
■ Parakaléō significa «chiamare a sé, chiamare, mandare a chiamare, far
venire, chiamare in aiuto; invocare, pregare, supplicare; invitare, citare (in
tribunale, come testimone); domandare, chiedere, esortare, eccitare,
stimolare, incoraggiare; consolare, confortare; pass. commuoversi a compassione,
placare, pentirsi» (cfr. Eb 3,13
heautoús «gli uni gli altri»; 13,19.22);
qui ricorre il pres. pt. att. per esprimere la
continuità o l’attualità. L’autore parlò qui
della necessità di esortarsi (o incoraggiarsi) reciprocamente in vista del
«giorno»; in Eb 3,13 l’esortazione reciproca
era similmente quella a salvezza in Cristo, che contrastava il «malvagio cuore
d’incredulità», che poteva portare i Giudei a ritrarsi dal Dio vivente.
■ Tosũtos
significa
«siffatto, cosiffatto, così o tanto grande (importante, ecc.), così
tanto, tale, quale, tanto, altrettanto» (cfr.
Eb 1,4; 4,7; 7,22; 12,1).
■ L’autore usò gli avverbi
mãllon «più (forte, gagliardo, veemente), di più, molto più,
sempre più, piuttosto» (cfr. Eb 9,14; 11,25; 12,9.13.25)
e hósos «quanto (grande, numeroso,
forte), tanto grande come», che alcuni traduttori trascurano o semplificano.
Tosũtos e hósos
formano insieme la sequenza «tanto… quanto» (cfr. 1,4).
■ Blépō significa «vedere, guardare, mirare,
contemplare; vedere attentamente, osservare,
esaminare, discernere, ecc.».
■ Enghízō
intende «avvicinare, accostare, congiungere» (cfr. 7,19). Il pt. pres.
att. si accorda qui con hēméra.
■ Hēméra
significa «giorno»; qui intende un giorno
specifico: il «giorno del Signore», che implica il suo ritorno.
3.
EXCURSUS SU
EPISYNAGŌGHÉ:
I Giudei si adunavano nelle sinagoghe (synagōghḗ).
Secondo alcuni qui l’autore intendeva probabilmente suggerire loro un raduno
supplementare, ossia quello cristiano, a quello usuale giudaico (epi- in
episynagōghḗ).
Tuttavia, come abbiamo visto, tale temine è solo una nuance dell’autore,
che ama usare varianti particolari dei termini. L’unica cosa, che questo termine
greco ci mostra, è il contesto giudaico. L’autore esortava semplicemente a non
abbandonare l’assemblea messianica e basta.
Tale termine ricorre anche in 2 Tessalonicesi 2,1, in cui «il
nostro incontro con lui» si riferiva alla
venuta del Signore e al «rapimento» nel momento della risurrezione. Quindi,
l’uso del termine nel NT è duplice e dipende dal contesto.
■ 1.
La prima possibilità
in Ebrei 10,25 era questa: Alcuni Giudei non si erano decisi ad abbandonare per
sempre la sinagoga e ad accettare Cristo quale unico Salvatore; a queste persone
fu poi rivolta l’esortazione ricorrente nei versi 26-31. È probabile che allora
c’erano i primi segni di una nuova
persecuzione contro i cristiani, e alcuni Giudei cristiani o
cristianizzati preferivano ritrarsi indietro riguardo alla fede in Gesù quale
Messia; infatti il giudaismo era una religione lecita, mentre il cristianesimo
non lo era.
■ 2. La seconda
possibilità era questa: Secondo alcuni, qui non si tratterebbe delle
riunioni di chiesa, ma del «radunamento» escatologico nel «giorno», ossia del
cosiddetto «rapimento» nel «giorno del Signore», allora atteso come
imminente.
Alcuni Giudei avrebbero trascurato nella pratica il
loro prossimo raduno col Signore; sebbene il gran giorno si avvicinava, s’erano
impantanati nelle faccende del mondo e vivevano in modo mondano. Aspetti
escatologici sono contenuti anche nel v. 27. Si può pensare anche a certuni in
Corinto (probabilmente i «sommi apostoli» di 2 Cor 11, Giudei di stampo
esoterico) che insegnavano che la
risurrezione fosse già avvenuta (1 Cor 15,12ss), stravolgendo tutta la
concezione teologica degli apostoli. Una tale concezione aveva chiaramente
risvolti nell’etica, se già quel secolo fosse stato già il regno messianico e
non bisognava aspettarne un altro.
Sebbene ambedue le tesi possano essere legittime, ciò
che segue nei versi 26-31 mi fa privilegiare la prima possibilità,
trattandosi di gente, che non era né carne né pesce, che aveva assaggiata la
grazia, senza mai abbracciarla. Ciò si accorda col carattere apologetico
dell’opera e con l’intento dell’autore di spingere i Giudei a una chiara
decisione, rimanendo essi indecisi fra l’antico e il nuovo patto. L’uso di un
termine in un altro contesto (2 Ts 2,1) non deve portarci a «drogare» il
significato in questo brano. ● In merito si veda l’uso di
episynágō «raccogliere, riunire, raggruppare» (compito storico
messianico Mt 23,37; momento escatologico Mt 24,31; assembramento Mc 1,33; 9,25;
Lc 12,1). Non bisogna attribuire, quindi, a tale termine un significato
particolare.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Ebrei10_25_UnV.htm
01-10-2014; Aggiornamento: |