1. LE QUESTIONI: Caro Nicola, in un
incontro fra fratelli, parlando del tema «Cena del Signore», sono rimasto un po’
deluso dall’atteggiamento di alcuni fratelli. Ho constatato che gli anziani e
altri, che predicano, prendono la locuzione «ognuno provi se stesso» come
paravento, per declinare ogni responsabilità sul controllo di chi prende la
«Cena del Signore».
La cosa più grave è che partecipano
alla cena del Signore anche neo-convertiti non battezzati, simpatizzanti
e addirittura persone, dopo una o due volte che vengono in visita. È una cosa
ormai consolidata; e una parte della chiesa la avvalla, dicendo che tanto non
possiamo conoscere i cuori degli altri e che gli anziani non sono responsabili,
ma ognuno per sé. {Innocenzo Palmita, ps.; 22/10/2020}
2. ALCUNE RISPOSTE: Ho trattato già in vari
scritti questioni del genere e ho risposto a vari punti di vista sul tema.
Affrontiamo qui di seguito anche questo aspetto particolare.
■ La locuzione «or
provi l’uomo [ántrōpos] se stesso»
(1 Cor 11,28) si riferiva ai credenti della chiesa di Corinto, non ad
altri (simpatizzanti, ecc.). Infatti, solo il rigenerato può
correttamente esaminare se stesso, per non essere giudicato (v. 31); oppure, in
caso di mancanza, questi può essere corretto dal Signore e ravvedersi, per non
essere condannato col mondo (v. 32). A ciò si
aggiunga che solo chi era stato già ammaestrato, era consapevole che
nelle agapi mangiava e beveva un giudizio su se
stesso, non discernendo il «corpo del Signore» (v. 29), ossia l’assemblea, a cui
apparteneva e il cui capo era Cristo. Infatti, in Corinto i benestanti
arrivavano già sazi (e brilli) alle agapi, disinteressandosi di contribuire per
gli altri meno abbienti; oppure, arrivando a digiuno e in anticipo, pensavano
solo a rifocillare se stessi, attirandosi un giudizio divino (v. 34). Al
contrario, i meno facoltosi e coloro, che erano sotto servitù, andavano a
vuoto, specialmente se arrivavano un po’ in ritardo a causa del loro lavoro o
del loro servaggio, da cui dovevano prima divincolarsi. Perciò Paolo dovette
esortarli che, quando si adunavano per mangiare, si aspettassero gli uni gli
altri (v. 34).
Si noti
che il problema era il disordine nelle agapi. Paolo prese a modello
l’ultima cena pasquale di Gesù con i suoi discepoli (vv. 23ss), che divenne la
prima cena del nuovo patto a causa delle disposizioni del Signore stesso, che
ordinava ai suoi discepoli di celebrare la nuova cena pasquale, finché Egli
ritornerà nuovamente in terra (v. 25). Paolo interpretò la celebrazione della
cena pasquale del nuovo patto come annuncio della morte del Signore
nell’attesa del suo ritorno (v. 26). E l’apostolo diede anche un severo
avvertimento: si può mangiare e bere indegnamente della cena pasquale del
nuovo patto, rendendosi «colpevole verso il corpo e il sangue
del Signore» (v. 27). Come abbiamo già visto in parte, ciò avviene in due
modi.
● 1. Ne mangia e né beve chi non appartiene al corpo di Cristo,
l’assemblea del Messia, di cui è il Capo, ossia chi non è stato ancora lavato
dal sangue del Signore. Ciò significherebbe
calpestare il Figlio di Dio e considerare «profano il sangue del
patto, con il quale è stato santificato» (Eb
10,29 santificato ≠ da salvato [cfr. 1 Cor 7,14]).
Infatti, i simpatizzanti, che entrano nelle assemblee, sono «calamitati» per un
po’ dai benefici spirituali e gustano un po’ gli effluvi dei privilegi della
nuova vita, che dai credenti tracimano su di loro; ma se non si convertono, si
allontanano e spesso «è impossibile rinnovarli da capo a ravvedimento»,
poiché espongono a infamia il Figlio di Dio, crocifiggendolo nuovamente per
conto loro (Eb 6,4ss).
● 2. Ne mangia e né beve chi è credente, ma nell’assemblea non ha
nessun riguardo per gli altri rigenerati, non avendo discernimento né rispetto
per il «corpo del Signore», ossia dell’assemblea, di
cui Egli è capo. Difatti è scritto letteralmente: «Infatti, un solo pane, un
solo corpo siamo noi, i molti, poiché tutti partecipiamo dell’unico pane» (1
Cor 10,17).
■ Sulla premessa del battesimo
ai privilegi del discepolo nella chiesa locale ne abbiamo già parlato
sufficientemente altrove. Ricordo solo in breve la premessa della circoncisione,
per poter entrare nel patto e poter quindi avere il privilegio di partecipare
alla cena della Pasqua del popolo di Dio (Es 12,43ss.48). Nulla è cambiato in
merito nel nuovo patto, solo che la circoncisione è spirituale (Fil 3,3; Col
2,11), come è stata anticipata già nell’AT (Dt 30,6; Rm 2,29; cfr. anche Dt
10,16; Gr 4,4). Perciò, la circoncisione materiale dell’antico patto vene a
perdere di significato nel nuovo patto (Gal 5,2.6; Col 3,11) e fu sostituita
dall’atto materiale dell’immersione nell’acqua, che esprimeva al meglio la
partecipazione alla morte, al seppellimento e alla risurrezione del Signore (Rm
6,3ss; 1 Cor 12,13).
■ La teoria, secondo cui «gli
anziani non sono responsabili, ma ognuno per sé», è semplicemente sbagliata.
Essi vengono chiamati epískopoi «sorveglianti, sovrintendenti». Il
termine epískopos è un’intensificazione del termine skopós «sentinella,
guardia» (cfr. nella Settanta: Ez 3,17; 33,2.6s; Mi 7,4). Il verbo
corrispondente skopéō «guardare attentamente» viene tradotto nelle
nostre Bibbie con «tener d’occhio» (Rm 16,17) e «fissare lo sguardo [su
qualcosa]» (2 Cor 4,18), «badar bene» (Gal 6,1 a se stesso; Fil 2,4 anche
alle cose altrui), «guardare attentamente» (Fil
3,17 per imitare). Se le sentinelle (gr. skopói) vengono meno nel
loro compito, la città verrà espugnata. I genitori, che non fanno il loro
dovere di supervisori dei loro figlioli, vengono sanzionati dalla legge e, per
casi gravi, viene tolta loro la patria potestà. Così per i conduttori,
che mal conducono, decade il permesso di guida.
Paolo ricordò agli epískopoi
che essi avevano l’obbligo di fare attenzione
(proséchō) a se stessi e a tutto
il gregge, poiché ciò significava «pascere l’assemblea di Dio»
(At 20,28). Inoltre l’epískopos dev’essere irreprensibile
(1 Tm 3,2; Tt 1,7), ossia di là da ogni riprensione; ciò significa che deve
avere tutte le premesse prescritte per il ministero e deve fare il suo dovere di
sorvegliante e supervisore. In pratica, essi devono imitare il
Pastore e Sorvegliante delle anime (1 Pt 2,25).
Perché ciò dovrebbe valere per tutto, tranne per un atto così centrale e
solenne come la «Cena del Signore»?
Conduttori, che non hanno la
supervisione corretta sulla Cena del Signore (e delle agapi), sono
responsabili per chi «mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non
discerne il corpo del Signore»; e se questo è il caso, essi si rendono
colpevoli che «molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono»
(1 Cor 11,29s).
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Cena_conduttori_UnV.htm
26/10/2020; Aggiornamento: |