Entriamo in tema
A me che ho insegnato per più di due decenni esegesi della Genesi, il termine
toledot è comprensibile, essendo una delle parole chiave di questo
libro. Trovarlo come titolo di una rubrica nel mensile «Oltre» mi è sembrato un
po’ singolare. Infatti il termine toledot
significa etimologicamente «produzioni» e cioè nel senso di «riproduzioni,
filiazioni, procreazioni, proliferazioni». A caldo mi sono chiesto che cosa
avesse a che fare una tale rubrica con la genetica o, in senso lato, con le
genealogie. Anche a freddo rimane un’incognita. Forse l’autrice intende
suggerire la «giudaicità» del pensiero cristiano nel senso che il cristianesimo
sia pur sempre una filiazione del giudaismo!?
L’articolo che vorrei commentare è «Il tempo dello Shabbat», apparso nel numero
di luglio 2007 di «Oltre», p. 29. Devo ammettere che dopo essere arrivato alla
fine di tale apologia dello šabbāt, avrei volentieri girato il foglio per
vedere le implicazioni che esso ha nel nuovo patto, ma la firma in calce di
Deborah D’Auria mi rendeva chiaro che tutto finiva lì. Devo ammettere che sono
rimasto perplesso, sì deluso.
Sintesi dell’argomentazione
L’autrice parte dalla problematica del tempo nel mondo moderno con i suoi ritmi.
Poi passa a parlare della «scansione della vita liturgica» e del «ritmo interno
della esistenza ebraica». Al riguardo scomoda continuamente A.J. Heschel, che
lei definisce «uno dei massimi pensatori ebrei del Novecento».
Poi l’autrice passa a spiegare l’etimologia e la genesi del termine shabbat
(cessare; Gn 2,2s); la semplice enumerazione dei «giorni di sabbia» che scorrono
verso lo šabbāt, unico giorno con un nome; i confini di ogni giorno (dal un
tramonto all’altro). Poi passa a descrivere il cerimoniale sabbatico domestico
dei Giudei: le due candele accese dalla donna, le quali dovrebbero ricordare la
doppia ingiunzione sabbatica (Es 20,8; Dt 5,12); la recita del qiddush da
parte dell’uomo con vino e due pani (a ricordo della doppia razione della manna
nella vigilia). Poi ricorda la norma del sabato nel Decalogo che si riferisce a
tutte le categorie e mostra il Dio della liberazione. Evidenzia che riposo non è
ozio, ma studio della Torà e preghiera.
La prima cosa singolare è che — mentre in Es 20,8 è scritto «ricordati del
giorno dello šabbāt», ossia poni mente a esso e non lo toglierlo dal tuo uso
(zakar è sempre il ricordare fatti successi oppure persone passate o
presenti) — l’autrice scomoda Rabbi Nachaman di Breslavia per asserire
«il ricordo del mondo futuro» (?). Nella Bibbia il futuro non viene «ricordato»,
ma «atteso». Ad esempio, Gesù comandò di fare la nuova pasqua in sua memoria (o
ricordo; 1 Cor 11,24). Paolo aggiunse che ciò significa annunziare la «morte
del Signore, finché egli venga» (v. 26). Come si vede il ricordo mira a
fatti passati, l’attesa a quelli futuri.
Poi l’autrice si spinge a teorizzare che lo Shabbat, ossia il suo
festeggiamento, sia «anticipazione dei tempi messianici» (appellandosi al
Talmud, ritiene pure che questi ultimi siano un «Sabato eterno»); quindi
osservando il sabato giudaico, si attua «il tentativo di anticipare l’armonia
tra uomo e uomo, tra uomo e natura». Certo viene da chiedere: è qual è
l’implicazione per il cristianesimo oggi?
La seconda cosa singolare è che l’autrice conclude il suo articolo, scomodando
nuovamente Heschel, per dire: «Il mondo senza Sabato sarebbe un mondo che ha
conosciuto solo se stesso; sarebbe scambiare Dio per una cosa, sarebbe l’abisso
che lo separa dall’universo; un mondo senza una finestra che dall’eternità si
apra sul tempo». Mi viene da chiedere: le cose stanno veramente così? Ma di che
cosa stiamo parlando come cristiani, gente del nuovo patto?
Osservazioni e obiezioni
Oltre a quanto già accennato sopra, valga quanto segue. L’interessante articolo
di Deborah D’Auria finisce improvvisamente con una frase a effetto di Eschel che
lascia molti inquietanti e irrisolti interrogativi. Mancando l’altra parte
della medaglia, ossia le implicazioni per il nuovo patto, tale articolo
potrebbe essere stampato su una rivista tipo la sabbatista «Avvento» o la
giudaica «Menorah» e non farebbe lì una grinza. Su una rivista cristiana, così
come sta, è teologicamente inconcludente e rappresenta una molteplice trappola,
sebbene inconsapevole all’autrice e al direttore della rivista «Oltre».
L’articolo è teologicamente inconcludente (e deludente) poiché passa
sopra a millenni di storia e di teologia, come se non ci fosse stato uno
sviluppo, non ci fossero stati l’avvento del Messia-Re e l’istituzione del nuovo
patto, non ci fossero stati Pentecoste e l’inizio dell’assemblea messianica, non
ci fossero stati dibattiti in seno alle chiese del primo secolo riguardo al
sabato e nemmeno decisioni in merito. Riprenderemo sotto questi aspetti.
L’articolo rappresenta una molteplice trappola ideologica (probabilmente
inconsapevole, almeno si spera) perché fa semplicemente l’apologia sabbatista
senza alcuna differenziazione e senza mostrare le implicazioni per la gente del
nuovo patto, ad esempio per i cristiani gentili. La trappola ideologica di tale
articolo ha i seguenti contorni.
■ L’articolo rafforzerà gli Avventisti
militanti nella loro convinzione che l’osservanza giudaica del sabato sia cosa
giusta anche nel nuovo patto per i credenti delle nazioni. Nel giudaismo si dà
all’osservanza dello šabbāt quasi contorni salvifici; si veda la citazione di
Heschel. Gli Avventisti, almeno quelli militanti, — ringraziando l’autrice — si
sentiranno vieppiù incoraggiati nella loro missione di sabbatizzare il
cristianesimo.
■ L’articolo rafforzerà nelle loro convinzioni anche i cosiddetti «cristiani
messianici» e i loro simpatizzanti militanti (i sionisti cristianizzati) che
la loro osservanza sabbatica sia quella originale del cristianesimo e che
bisogna quindi diffonderla nel resto del cristianesimo.
■ L’articolo confonderà le idee a tanti cristiani che ora non sapranno
che cosa fare, se devono anch’essi chiedere alla moglie di accendere due candele
il prossimo sabato e informarsi come recitare correttamente il qidduš. Ho
conosciuto alcuni cristiani con tale «insalata mista» in testa fatta di Bibbia e
Talmud. Uno dei risultati di ciò è che poi siffatti cristiani nutrono in sé del
continuo un senso di colpa o una coscienza sporca riguardo al fatto presunto di
non stare facendo ciò che Dio chiede ai cristiani, ossia l’osservanza giudaica
delle norme sabbatiche e di altre simili.
■ L’articolo proietterà in tanti altri cristiani la malsana idea che tutto ciò
si possa tradurre in un «sabato cristianizzato», ossia nella domenica.
Essi si illuderanno così che Dio abbia veramente
comandato in modo chiaro ed esplicito tale «sabato domenicale» alla
chiesa. Il risultato è la sabbatizzazione di un altro giorno, ossia la
ritualizzazione della domenica. Che i cristiani decidano di dedicare al Signore
un giorno, qualunque esso sia, può essere nobile; ma non si cerchi al riguardo
una chiara ingiunzione biblica nel nuovo patto, perché semplicemente non
c’è.
Trovo nobile e appropriato quanto Elpidio Pezzella affermi nell’editoriale dello
stesso numero di «Oltre» (p. 3) a proposito del «giorno di risposo»,
differenziando opportunamente; ma anch’egli prende per scontato tale logica del
«“giorno dedicato” al Signore», senza differenziare tra ciò che il NT afferma al
riguardo (Rm 14) e l’uso corrente delle chiese (domenica quale «giorno del
Signore»). Infatti anch’egli non si è accorto della possibile trappola
ideologica che sta alla base dell’articolo in esame, quando lo presenta in modo
indifferenziato con queste parole: «Nella rubrica Toledot di questo numero, la
dott.ssa D’Auria ci propone il significato dello Shabbat, lo spirito e
l’atteggiamento con cui gli ebrei vivono il “giorno del riposo”, un giorno
dedicato a Dio». Egli continua semplicemente cristianizzando le parole
dell’autrice e applicando tutto ai cristiani, parlando della «festa da
santificare, il giorno da dedicare al Signore», ossia il sabato domenicale. A
sua difesa aggiungo che poi egli si sofferma sul «giorno», ribadendo: «Grazie a
Dio, migliaia di persone non dedicano solo “un” giorno al Signore, ma l’intera
settimana».
Come dicevo all’inizio, alla fine dell’interessante articolo dell’autrice, ogni
conoscitore della Bibbia, studioso o teologo rimane perplesso e deluso. Infatti,
cercando il proseguo dell’articolo con le implicazioni del nuovo patto, non lo
trova. Tutto finisce come apologia dello šabbāt giudaico!
L’autrice non accenna neppure alle faticose diatribe di Gesù con scribi e
farisei sullo šabbāt, a cui rivolse pesanti accuse a causa della loro
ristrettezza mentale e della loro lunga casistica arbitraria su ciò che in tale
giorno si potesse fare o meno! Non si accenna a questa presa di posizione del
Messia-Re: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato;
perciò il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato» (Mc 2,27s).
L’autrice non accenna neppure alle faticose diatribe intercorse nelle chiese
del primo secolo fra i giudaizzanti e i non-giudaizzanti a proposito dello
šabbāt e della loro imposizione anche ai cristiani gentili. Non accenna alla
decisione storica presa nel concilio interecclesiale di Gerusalemme (At 15), in
cui si decise in comune accordo e convinti dallo Spirito Santo di non dover
imporre in alcun modo la Legge mosaica ai cristiani delle nazioni, ma di
prescrivere solo quattro precetti (vv. 19s) per non scandalizzare gli Ebrei
presenti in tutto l’impero romano con le loro sinagoghe (v. 21). Tra tali
precetti non figura assolutamente lo šabbāt!
L’autrice non accenna neppure alla faticosa impresa di
Paolo di conciliare fra di loro i gruppi cristiani di estradizione
giudaica e quelli di estradizione gentile, presenti in Roma (Rm 14). I cristiani
giudaici osservavano il «giorno», ossia tutte le ricorrenze giudaiche, chiamate
šabbāt (sabato settimanale, noviluni, feste comandate dalla Torà e altre nate
durante la storia). Per i cristiani gentili, invece, tutti i giorni erano uguali
(v. 5), ossia non avevano nessun giorno speciale da osservare, per loro non
c’era un «sabato cristiano» (la «domenica» fu introdotta molto tempo dopo!).
L’apostolo dichiara legittime ambedue le posizioni; ciò era possibile perché
c’era stata la decisione storica di At 15! I cristiani giudaici potevano
continuare a osservare lo šabbāt, se volevano; i cristiani gentili potevano
continuare a ritenere tutti i giorni uguali (cfr. Rm 14,6.22). Diverse epistole
sono piene d’invettive contro coloro che volevano costringere ai credenti
gentili lo šabbāt e le altre prescrizioni (cfr. Gal 4,10s; Col 2,16).
Alcune conclusioni
Ritengo che Deborah D’Auria abbia agito in buona fede, non rendendosi conto
delle implicazioni e delle conseguenze per aver lasciato monco il suo articolo.
Anche il non dire e il non spiegare sufficientemente può però diventare,
volenti o nolenti, un atteggiamento ideologico e rappresentare una
«trappola» per altri. Probabilmente neppure il direttore della rivista, Elpidio
Pezzella, se n’è reso conto, conoscendolo come uomo accorto.
Le mie osservazioni hanno voluto dare un segnale d’avvertimento e costituire
l’altra parte della medaglia, che purtroppo manca nell’articolo. Esse vogliono
essere altresì un monito a esercitare maggiore discernimento nella rubrica
«Toledot». Si possono dire cose giuste oppure più o meno condivisibili su un
certo piano e, nonostante ciò, lanciare messaggi sbagliati e costruire degli
skandalon, assicelle che se mosse fanno scattare la trappola sugli ignari.
Termino parafrasando secondo lo spirito del nuovo patto quanto asserito da
Heschel: «Il mondo senza Gesù quale Messia-Re è un mondo che ha conosciuto solo
se stesso e non il Dio della salvezza; sarebbe scambiare Dio per una cosa
lontana e indistinta, sarebbe l’abisso che lo separa dalla salvezza; sarebbe un
mondo senza il Mediatore che dall’eternità garantisce la salvezza nel tempo». È
così che devono parlare i cristiani, gente del nuovo patto! Tutto il resto può
diventare idolatria, compreso lo šabbāt, sia esso quello giudaico o il «sabato
domenicale».
Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella,
Šabbât (Punto°A°Croce, Roma 1999). Si vedano qui specialmente i seguenti
articoli: «Il sabato nel Nuovo Testamento», pp. 36ss; «Questioni intorno al
sabato ebraico», pp. 46ss; «La questione della domenica», pp. 57ss. |
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Il tempo dello šabbāt? Parliamone
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Tempo_shabbat_Sh.htm
11-08-2007; Aggiornamento: 02-07-2010
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