Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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È «psicoterapia biblica» in forma di umorismo.

 

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CALCIATORI E FEDE CRISTIANA? PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Calciatori e fede cristiana». È immancabile che su temi del genere ci sia una varietà di opinioni e che bisogna differenziare e usare il discernimento. Il calcio può diventare una «religione sostitutiva» e i calciatori i suoi «idoli».

     Ci saranno senz’altro calciatori che si usano della «fede» per il loro tornaconto. Ci sono pure sportivi professionisti, che hanno come priorità nella loro vita il timor di Dio, la fede nel Signore Gesù e il desiderio di essere luce e sale nell’ambiente agonistico. Sebbene non sia facile sopravvivere in certi ambienti come credenti fedeli alla Scrittura, d’altra parte questo vale anche per altri settori della società ed essere una testimonianza vivente per la fede in Cristo è una grande chance per tale particolare settore, in cui sono coinvolte tante persone e tanti interessi.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Vincenzo Russillo

2. Gianni Siena

3. Andrea Diprose

4. Nevila Gjata

5. Salvatore Paone

6. Antonio Capasso

7. Nicola Martella

8. Pietro Calenzo

9. Fortuna Fico

10. Antonietta Tardio

11. Eliseo Bassotto

12. Nicola Martella

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Vincenzo Russillo}

 

Il calcio è lo sport più seguito al mondo

 

Il calcio è lo sport più seguito al mondo, sicuramente dietro ci sono molte speculazioni e molti giri d’affari. Mi vien da pensare per esempio alle cifre astronomiche che vengono pagate ai giocatori. Senz’altro anche nella pratica del gioco del calcio vi sono tante scorrettezze: a partire dal doping per finire alle bestemmie in campo. Per non parlare degli scontri tra frange violente di tifosi.

     Certo a voler trovare gli aspetti negativi dello sport più bello del mondo si può stilare un elenco. Ma di certo ogni cristiano, ovvero ogni persona rigenerata in Cristo, può essere luce anche giocando a calcio. Mi vengono in mente tanti esempi dall’ormai celeberrimo Kakà, al nostrano Nicola Le Grottaglie oppure all’ex-calciatore Ze Maria, che porta avanti l’evangelizzazione tra i giovani mediante il calcio. I mass-media danno grande risalto a questi personaggi, non di rado si sente parlare Le Grottaglie riguardo alla sua testimonianza, e viene molto spesso incalzato dai giornalisti con domande sulla sessualità. Di certo appena sentono la parola castità, lo guardano come un «marziano». Ben vengano queste iniziative; anche la maglietta con la scritta: «Io appartengo a Gesù» o all’inglese «I Belong to Jesus» sono piccoli segnali, che però almeno alimentano il parlare intorno a nostro Signore Gesù. Bisogna sottolineare che purtroppo tali magliette sono state bandite, per non creare disturbo alle altre fedi religiose.

     Sorvoliamo su questo punto e torniamo al tema centrale. Un giocatore cristiano può essere luce anche nelle azioni pratiche di gioco. Ad esempio se la palla è uscita fuori o c’era fallo, userà fair-play, utilizzando la correttezza. Oppure le bestemmie che tanto vanno di «moda» in questo ambiente, ma sono ampiamente combattute da questi sportivi credenti.

     Posso portare brevemente la mia esperienza in merito, quando giocavo a livello agonistico, mi è capitato più volte di fare delle scorrettezze. Adesso continuo a giocare, giusto per divertimento, con dei non credenti e purtroppo noto le tante volgarità e un gioco violento solo per vincere. Più volte mi sono sentito dire: «Tu non dici parolacce e se la palla è uscita fuori sei pronto ad ammetterlo». Sebbene siano dei piccoli gesti, essi possono toccare il cuore d’altri giovani. Il calcio può diventare esso stesso un veicolo d’evangelizzazione, bisogna giocare non per vincere ma per la gloria di Dio.

     Tornando ai calciatori blasonati, io credo che molti giovani ne facciano degli idoli e tutto ciò è un grave danno (Levitico 17,7). Non bisogna pendere dalle labbra dei vari sportivi cristiani, bisogna provare biblicamente anche ciò che loro dicono. Ogni vero discepolo di Cristo baderà a essere luce in qualunque ambiente lavorativo e prendendo le distanze dalle pratiche del mondo, come c’esorta Paolo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà» (Romani 12,1-2). {15-06-2010}

 

 

2. {Gianni Siena}

 

Sport e fede: un binomio «impossibile»?

 

Non ho molte parole per rispondere ma, pare, che si esageri a indicare questa attività come «illecita» a un cristiano.

     Mi viene in mente quel conduttore che, quasi, «impose» a un credente di lasciare la sua attività in una sala cinematografica. Il poveretto provò a cambiare mestiere (dato che s’era lasciato convincere sulla «poca» moralità del suo lavoro), esercitando fiducia nella Provvidenza di Dio. Ma egli, non trovando lavoro alternativo, ritornò alla sua mansione in sala di proiezione: se dovessimo allontanarci dal mondo, la scelta sarebbe una grotta nel deserto...

     Così è per lo sport: anche lo stadio è un luogo, dove testimoniare con una vita irreprensibile della fede nel Signore di tutti. Ovviamente, c’è una «chiamata» e chi scrive non è un frequentatore di stadi o d’altre realtà connesse: fa sport solo per necessità salutista e nient’altro. {15-06-2010}

 

 

3. {Andrea Diprose}

 

A proposito del’articolo «Calciatori e fede cristiana», debbo dire che il miglior esempio (sinora) di testimonianza chiara e coerente fra il grande pubblico della nostra Italia viene data proprio dal fratello Nicola Le Grottaglie, che abbiamo potuto conoscere personalmente qui a IBEI. La questione importante non è tanto l’essere calciatore oppure no, ma la gestione che uno fa della visibilità data dalla propria posizione di calciatore di serie A. Negli scritti recenti di Nicola Le Grottaglie, in un libro pubblicato da Piemme, è evidente il fatto che sua madre è una vera figlia di Dio e che lui ha preso sul serio gli insegnamenti biblici.

     Altri calciatori, soprattutto provenienti da altre nazioni, che si dicevano evangelici, spesso sono stati molto più nebulosi e meno chiari nella proclamazione pubblica del Vangelo di quanto lo è stato sinora Nicola Le Grottaglie. {15-06-2010}

 

Osservazioni (Nicola Martella): Il libro in questione è «Cento volte tanto» (Edizioni Piemme, Milano 2010); per la presentazione, si veda qui. Si veda anche il sito di questo calciatore.  

 

 

4. {Nevila Gjata}

 

Condivido pienamente quello che ho letto. Per me è bello e anche molto utile che ci sia una testimonianza, una luce, un po’ di sale divino in ogni mestiere onesto. Se l’atteggiamento è giusto davanti a Dio, ogni mestiere (tra quelli onesti ovviamente) è giusto. Io personalmente adoro vedere quelle magliette con la scritta «I Belong to Jesus», mentre guardiamo una partita in famiglia o con gli amici. Mi sento cosi fiera d’avere dei fratelli che, davanti a milioni di persone, hanno il coraggio di dire che appartengono a Cristo e gli voglio subito bene come se li conoscessi. Non possiamo giudicare nessuno per il mestiere che fa, se non sappiamo come lo fa! {15-06-2010}

 

 

5. {Salvatore Paone}

 

1. È molto difficile fare delle considerazioni riguardo a «calciatori professionisti credenti» Il «mondo calcistico» è decisamente il più affascinante degli sport, non a caso è lo sport più seguito. Parlo da calciatore amatoriale e tifoso attuale (d’una squadra che non faccio il nome... il «Napoli»).

     Per me il calciatore credente può vivere la sua fede con la professione calcistica; ovviamente essere famosi è un’arma a doppio taglio: molti soldi, successo, gloria possono indurre al cuore umano a considerare poco la chiamata di fede, sapendo che essi sono elementi o piaceri che portano alla concupiscenza. Tuttavia mi sento di dire che non possiamo generalizzare o fare di «tutta un’erba un fascio», visto che si può rimanere ben collocati nella fede anche da calciatori.

     Nella lettera ai Romani Paolo dice: «Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. [Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Romani 8,33-39). Se viviamo nell’amore per la verità, in qualsiasi «campo» ci troveremo, onoreremo il Signore. {16-06-2010}

 

2. Parlando da calciatore amatoriale, credo che quando si gioca a calcio, possano accadere, purtroppo e ripeto a malincuore «purtroppo», delle divergenze, non solo contro gli avversari ma anche tra i compagni di squadra. Ad esempio si afferma: «Non hai mantenuto la posizione, non sei stato sull’uomo, non hai marcato bene»; c’è sempre quello più esperto che ti riprende, perche tu faccia meglio, per nervosismo agonistico o per altre ragioni. Capita di arrabbiarsi, specialmente quando in palio ci sono trofei.

     Io personalmente, quando gioco, cerco di metterci quell’agonismo che poi in realtà è «cinismo», freddezza, non contro l’avversario per procurare falli, ma per segnare.

     Tornando ai calciatori professionisti, è ovvio che si possa esultare; quando la squadra conquista un titolo importante come la Campions Ligue, mondiali, eccetera, sale l’ingaggio del calciatore nel mercato calcistico.

     Tuttavia un credente che pratica il calcio professionista, deve pure astenersi da sciocche e banali situazioni, che si vengono a creare, come baciare la coppa, comportarsi in un modo sconveniente nel campo e negli spogliatoi. Al contrario bisogna essere di esempio (apprezzo Legrottaglie), bisogna evitare di procurarsi ammonizioni per cattivi falli (ci sono falli involontari e falli volontari), sapendo che molti guardano e danno un giudizio negativo, specialmente se sono opinionisti atei.

     Infine, credo che ognuno debba tener in mente sempre che in campo, per strada, sul posto di lavoro od ovunque ci troviamo, dobbiamo esercitare il frutto dello Spirito. {16-06-2010}

 

 

6. {Antonio Capasso}

 

I passi biblici sullo sport a mio avviso non hanno niente a che vedere con l’argomento. Se no dovremmo giustificare la guerra, solo perché Paolo parla del soldato che va alla guerra. Premesso che la questione riguarda la coscienza personale, non credi che ci stiamo spingendo in un cristianesimo senza sequela? Non disse Gesù lascia ogni cosa e seguimi? Non stiamo propugnando un cristianesimo dove la grazia non è a caro prezzo, ma a buon prezzo? (Bonhoeffer). «Non amate il mondo ne le cose che sono nel mondo».

     Un calciatore cristiano, che dice di no al mondo del calcio, perché contrario ai principi cristiani, fa riflettere di più la gente, che non la testimonianza che si dà in TV, circondato da ballerine mezze nude. Non credo che ai cristiani primitivi era concesso di gareggiare negli stadi d’allora. Ripeto la questione riguarda la coscienza personale. I tempi cambiano, le coscienze s’allargano. {16-06-2010}

 

 

7. {Nicola Martella}

 

Se Paolo avesse parlato male dello sport, avremmo usato tali brani (e come!) per denigrare ogni attività agonistica. Non vedo perché non dovremmo usare tali brani, che lui usa come illustrazione per la vita della fede.

     Paolo parla della vita del soldato e della disciplina militare; poteva prendere l’occasione per parlare male della guerra, ma non lo fece. I soldati, un po’ come i carabinieri oggi, non servivano soltanto per fare la guerra, ma per mantenere la pace, anche come polizia. Quando dei soldati vennero a Giovanni Battista, chiedendo che cosa fare, questa era l’occasione giusta per dire: «Smettere di fare i soldati, poiché ciò non si addice a chi aspetta il regno di Dio!». Egli disse loro però: «Non fate estorsioni, né opprimete alcuno con false denunzie e contentatevi della vostra paga» (Lc 3,14). Questo comunque è un altro tema.

     Un cristianesimo senza sequela non dipende dal mestiere che facciamo, ma si può essere cristiani impegnati per il proprio Signore e per l’Evangelo (quindi a caro prezzo), anche svolgendo la propria professione lavorativa. Paolo affermò che lui e i suoi collaboratori avevano «esortato, confortato e scongiurato ciascun di voi a condursi in modo degno di Dio» (1 Ts 2,11s). Non tutte le cose di questo mondo sono riprovevoli di per sé (Fil 4,8). Se in tutto ciò cercheremo di onorare Dio, dipende da noi. «Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcun’altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio» (1 Cor 10,31).

     Seguire il Signore è un atteggiamento della mente, come pure amare il mondo. Se volgiamo farci guidare, Egli sarà capace di farci capire individualmente quale sia l’ambito in cui Egli voglia essere onorato da noi. Ricordo le parole coraggiose di Mardocheo, rivolte all’indecisa regina Ester in quel tempo cruciale: «…e chi sa se non sei pervenuta ad esser regina appunto per un tempo come questo?» (Est 4,14). Lei si decise a prendersi le sue responsabilità. Parimenti, coloro che erano della «casa di Cesare» (Fil 4,22), non smisero esserlo, ma cercarono di portare la luce anche in tale ambito.

     Non sono sicuro che il calcio sia di per sécontrario ai principi cristiani; né sono sicuro che un calciatore cristiano, che smette esserlo, sia di maggiore testimonianza per il mondo di quanto faccia, se rimane. Queste sono soltanto opinioni personali di tale lettore. Penso che non si possa generalizzare così. Tutto dipende dalla chiamata del Signore e dall’effettiva consacrazione del singolo giocatore cristiano al Signore. Se queste condizioni sono vere, allora valga la seguente valutazione, che s’addice qui, perché riguarda opinioni diverse: «Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piè, perché il Signore è potente da farlo stare in piè» (Rm 14,4).

     Conosco poco il mondo del calcio e dello sport in genere. Ho sentito e letto di belle testimonianze di sportivi consacrati e coerenti con la fede, che sono (stati) luce e sale in tale ambiente. Tale mondo non fa per me, ma non posso escludere che Dio abbia dato una chiamata a un altro. Il mio collega missionario, Fausto Gaeta, è membro di un’associazione sportiva a Tivoli e corre regolarmente, vincendo anche premi. Egli è una grande testimonianza in tale ambiente. Mi ha detto che, prima della gara, pregano insieme. Anche prima di mangiare insieme, gli chiedono di pregare, e in altre occasioni gli permettono pure di dare un pensiero biblico.

     Noi stessi potremmo non immaginarci come gestire la chiamata e una fede coerente in un ambiente come lo sport; ciò non dovrebbe escludere che altri siano in grado di farlo. Lo Spirito del Signore distribuisce i suoi doni e talenti come piace a Lui.

 

 

8. {Pietro Calenzo}

 

Vi sono molti sportivi credenti, a cominciare da Leandro, ex allenatore, al pugile campione del mondo George Foreman. Personalmente non penso che ci sia nulla di non scritturale. A mio avviso destano qualche perplessità alcuni stratosferici ingaggi, che essi a volte richiedono, e le ammonizioni o le espulsioni, in cui talvolta incorrono da parte degli arbitri, per evidenti comportamenti antisportivi o per proteste nei confronti degli arbitri. Tali comportamenti, se sono perpetrati da credenti, (anche quando baciano i trofei vinti), mi lasciano un po’ da pensare. Ma nulla di dogmatico, solo qualche pensiero espresso ad alta voce. Benedizioni. {16-06-2010}

 

 

9. {Fortuna Fico}

 

Avere queste testimonianze di fede nel mondo dello spettacolo, dello sport, e di personaggi pubblici, è molto importante, perché hanno una platea molto ampia, verso la quale rivolgersi; e di conseguenza, il messaggio di fede e di amore lanciato, viene recepito da una moltitudine di persone! Grazie, fratello!  {16-06-2010}

 

 

10. {Antonietta Tardio}

 

La verità è sempre quella biblica... Per qualsiasi mestiere noi facciamo sulla terra, forziamoci di tenere alta la Parola di Vita, di essere sale e luce, di vivere nel mondo, ma non essere del mondo, avendo la consapevolezza di trovarci nel posto, in cui il messaggio di salvezza per Cristo dev’essere annunciato, in un luogo che forse, senza di te, non si sarebbe potuto raggiungere! In Cristo, siamo più che vincitori!!! {17-06-2010}

 

 

11. {Eliseo Bassotto}

 

Pace. Il mio pensiero è che è importante distinguere lo «spirito agonistico» (spirito combattivo), al quale Paolo faceva riferimento, dallo spirito agonistico tipico e proprio della competizione sportiva (gara, lotta, contesa: competizioni politiche, elettorali; una c. sportiva; entrare, essere in c. con qualcuno).

     A questo punto, a me appare chiara come il sole, l’incompatibilità d’una simile «disciplina», sia a livello professionale che per «passatempo» (perdita di tempo, fra l’altro «competendo» con il prossimo), con l’insieme dell’insegnamento del Cristo.

     L’insegnamento del Cristo è fondamentalmente il «dare», il cedere, non il «prevalere», sebbene sia semplicemente «per gioco», il che fra l’altro, sarebbe solamente un’aggravante in più.

     Il fine d’una qualunque «competizione» è di stabilire chi è «il primo», il «maggiore», il più bravo ed eccellente nella propria disciplina; questo sia professionalmente che nel cortile di casa, dove a guadagnarci non è il conto in banca, né il sostentamento della famiglia, ma «l’amor proprio», la soddisfazione personale dell’aver «vinto», aver sostenuto «vittoriosamente» una competizione con il proprio prossimo.

     E se io vinco, lo faccio ai danni di chi perde; io ricevo «l’onore», e l’altro il «disonore», in maniera più o meno evidente. Poco importa infatti se ne parla tutto il quartiere, oppure i giornali di mezzo mondo, il risultato è lo stesso: S’innalza e si dà gloria al vincitore, e il perdente viene spesso messo nel ridicolo, sotto gli occhi di tutti.

     Questa è competizione! E il perdente, se continua così, si ritroverà senza lavoro, senza conto in banca, e senza pane per i propri figli. E nel «cortile di casa», il perdente, camminerà a capo chino, subendosi magari i «fischi» di tutti, inasprendosi dentro, il che gli darà la «forza» per «rifarsi» alla prossima competizione.

     Mi chiedo dunque cosa ci sia d’onesto, di puro, d’onorevole, di vero, d’amabile in tutto questo, dov’è una «qualche virtù» o una «qualche lode», se non quella degli uomini, a discapito fra l’altro del proprio prossimo.

     Non entro chiaramente nel merito dei «giocatori» convertiti, non sta a me giudicare, ma essi sono amati e lodati da tutti, cristiani e non, sono «acclamati» da tutti, cristiani e non, a motivo della loro professionalità (vincere le competizioni) spesso sia dai non credenti che dai credenti.

     I «credenti» in più, attribuiscono loro una qualche «virtù» extra, ed ecco che tutti li vogliono e tutti li cercano, e le loro agende sono piene d’inviti e appuntamento in lungo e in largo per tutto il territorio, per «testimoniare» della loro fede, ecc.

     Non appena un VIP si converte, ecco che comincia la «macchineria» della popolarità, e tutti ne vogliono un pezzo, e di quel «bambino» nato di nuovo (dando per certo che lo sia), viene trasformato di botto in un «ministro» di Dio, del quale Dio s’usa «potentemente» per la testimonianza. Ed ecco che spuntano i libri come i funghi, si diventa «testimonial», insomma si è VIP anche nel regno di Dio, già «appena nati». Quanto mi dispiace, per questi «nuovi nati», sinceramente... non hanno nemmeno il tempo di mettere i dentini, che già sono considerati e chiamati «ministri di Dio» per la sua opera.

     E sono incoraggiati fra l’altro, a continuare tranquillamente a competere con il proprio prossimo, magari argomentando con il discorso di Paolo sullo spirito agonistico. Paolo prendeva solamente esempio dallo sport, facendo appunto leva sullo «spirito combattivo» dello sportivo, ben sapendo però che il «nemico» del cristiano non è il suo prossimo, e il combattimento è per ottenere la corona della vita, non gli applausi d’una platea, sia nel cortile di casa che in mondovisione.

     E il pensiero mi riporta a Giovanni, e alle parole di Gesù: Il mondo vi ha odiati! Ma di quest’odio, io non ne trovo traccia, né nel cortile di casa, né nei salotti televisivi (in mondovisione). Che Gesù abbia preso un abbaglio? Scusate se mi sono dilungato. Pace. {18-06-2010}

 

 

12. {Nicola Martella}

 

Sebbene io non pratichi nessuno sport né sia appassionato di alcun sport, tanto meno di calcio, devo ammettere che il discorso di quest'ultimo lettore è alquanto massimalista. Si prende dal testo biblico soltanto ciò che fa comodo, per far quadrare il cerchio della propria ideologia radicale.

     Faccio presente che Paolo non parlò soltanto dello «spirito agonistico», ma della competizione, visto che scrisse: «Non sapete voi che coloro i quali corrono nello stadio, corrono ben tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo» (1 Cor 9,24). Inoltre tale apostolo aveva l’occasione di parlare contro la competizione sportiva, ma non lo fece, ma anzi la usò come paragone per la vita e il servizio dei cristiani.

     Tale lettore presenta il competere nel gioco come il male assoluto. Stiamo parlando di un gioco o di una guerra mondiale? Eccellere in qualcosa viene visto di mal’occhio, poiché ciò creerebbe complessi di inferiorità negli altri. Hanno avuto torto allora gli scrittori dell’AT, quando parlavano di Davide quale eroe sopra Goliat (1 Sm 17), dei successi di Davide e di come era ben voluto dal popolo (1 Sm 18,7; 29,5), per non parlare della lista degli eroi di Davide (1 Cr 11,20ss). Secondo tale logica non dovrebbe esserci neppure la liste degli eroi della fede (Eb 11), poiché altri si sentirebbero danneggiati e perdenti, non arrivando a tale «assicella». Si vede che l’autore di tale epistola la pensava diversamente e avesse messo scrupoli «pietistici», visto che affermò: «Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da un così gran nuvolo di testimoni, deposto ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, corriamo con perseveranza l’arringo che ci sta dinanzi, riguardando a Gesù, precursore e perfetto esempio di fede…» (Eb 12,1s). Come si può notare già da questo brano, nella Bibbia eccellere è visto come una cosa positiva, così anche porsi come esempio e modello positivo a cui gli altri possano protendersi (cfr. Tt 2,7; 1 Pt 5,3).

     Si drammatizza, come se perdere una competizione sportiva fosse la catastrofe della vita, che metterà sul lastrico il perdente una volta per tutte e creerà una tale vergogna, da cui costui non si riprenderà mai più, ma andrà vagando da «appestato», consumandosi come una candela. Stiamo parlando di sport o di un crac finanziario?

     Giocare magari a pallone, a calcio balilla o ad altro sembra che sia il peccato originale stesso. Qui si fa demagogia. Si comunica una visione massimalista della vita, un cristianesimo monacale con vocazione da martirio, una visione di mondo che vede il male anche laddove non c’è, e che getta via il bambino pur di disfarsi dell’acqua sporca.

     Tale modo di fare avrebbe probabilmente proibito a Cana di fare una festa di matrimonio (Gv 2), poiché avrebbe fatto sentire male coloro che non potevano trovare un partner o non se lo potevano permettere economicamente parlando. Avrebbe impedito ai fanciulli di giocare per strada al gioco «chi piange e chi ride» (Lc 7,32), poiché qualcuno di loro avrebbe perso o avuto il ruolo peggiore. Bisogna proibire di giocare a «guardie e ladri», poiché quelli che fanno i «ladri» potrebbero subire un grave trauma esistenziale?

     Si ritiene che un VIP convertito sia così sprovveduto che si farà strumentalizzare dai benpensanti. Che questo pericolo ci sia, è plausibile; ma presentare tutto in modo così drammatico, è esagerato.

     Da come parla questo lettore, sembra che viva da anacoreta in uno sperduto deserto o in una comunità amish, dove tutto è proibito. Oppure, può darsi che abbia rinunciato a tutto (carriera, lavoro, patrimonio, matrimonio), per possedere soltanto quanto ha addosso, per fare il predicatore itinerante, per stare continuamente nelle piazze a sfidare i suoi contemporanei con discorsi ammonitivi. Forse questo lettore si sente l’uomo più odiato al mondo; perciò crede di potersi permettere di misurare la genuinità degli altri cristiani con l’indice di odio che essi hanno dal mondo. Forse crede di poter dire loro: «Se non siete odiati, non siete veramente cristiani!». Bisognerebbe conoscere meglio la vita di questo lettore, per appurare se le cose stanno così.

 

Sport, coerenza e testimonianza? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Calciatori_fede_cristiana_Mds.htm

15-06-2010; Aggiornamento: 17-08-2010

 

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