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Lamenaṣṣeaḥ, che ricorre 55 volte
(p.es. Salmi 4-6, 53) è di solito tradotta «al maestro del coro» o «al capo dei
musici». Tranne che nel caso dei Salmi 66 e 67, questa attribuzione è sempre
associata con un’altra attribuzione, «di Davide», «di Asaf» eccetera. Questo termine è una prova che i
titoli sono stati aggiunti al Salterio assai prima del tempo ellenistico.
Infatti, molti termini tecnici che appaiono nei titoli ebraici non erano più
compresi dalla tradizione rabbinica, al tempo in cui fu prodotta la traduzione
della LXX, perché al tempo in cui fu eseguita (3° sec. a.C.), se ne era
dimenticato il senso. Questa espressione fu tradotta
senza alcun senso dalla LXX con eis to telos «sino alla fine» (cfr. Salmo
44 equivalente nei LXX al Salmo 43). Sembra che gli studiosi alessandrini
abbiano congetturato che la vocalizzazione fosse: le-min-nêṣaḥ «alla fine» (Così la
rendono la versione araba, etiope e la Vulgata). La versione caldea la rende
(Salmo 45) «alla lode». Un’altra ipotesi è che siccome alcuni inni egiziani
terminano con la nota finale «alla fine», questo può aver influito nella
traduzione della parola. Girolamo nel suo Commento a Daniele suggerisce
che la traduzione appropriata di questa espressione dovrebbe essere «al
vincitore»; senza alcun dubbio egli ha subito l’influsso della traduzione di
Teodozione: eis to nikos «per la vittoria»; o di Aquila (uno dei revisori
della Septuaguinta) tô nikopoiô, «al vittorioso» o di Simmaco
epiníkion «epinicio» o «canto di trionfo».
Si può ragionevolmente dubitare
che il lettore greco abbia capito eis to telos con «alla fine», anche se
si deve concedere che la parola telos, quando non è preceduta dalla
preposizione eis, può all’occasione significare una cerimonia o un rito
di iniziazione (cfr. Eschilo, Eumenide 799; Sofocle,
Antigone 1226; Platone, Repubblica 8, 560c). Il Targum traduce
Lamenaṣṣeaḥ con «per la lode» (lešibeḥā’). L’ebraico menaṣṣeaḥ è un participio
derivato dal verbo naṣṣeaḥ «splendere, superare».
Nel Piel questo verbo è adoperato per la presentazione liturgica della musica,
come risulta da 1 Cr 15,21. Il nome neṣaḥ potrebbe significare
«splendore, gloria» oppure «durata, perpetuità». In senso derivato può anche
significare «vittoria» e quindi a Colui che deve venire come interpreta il
Talmud.
È chiaro comunque che si
riferisce a una persona, ed è una dimostrazione ulteriore che i Salmi puntano a
Cristo: c’è Lui alla fine. È Lui che dà la vittoria; è Lui Colui che viene; e,
mentre il libro è chiamato
sefer
tehilîm, Libro delle Lodi, esse sono per Colui che
«dimora nelle lodi d’Israele» (22,3). In questo possiamo vedere un riferimento
al Signore Gesù che canterà Egli stesso una lode in mezzo all’assemblea (Sal
22,22; Eb 2,12). {elaborato da Argentino Quintavalle; rielaborato da Nicola
Martella}
▬ Letteratura■
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► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/DizBB/Maestro_coro_S&A.htm
08-05-2007; Aggiornamento: 08-07-2010
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