Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Dall’avvento alla parusia

 

Discepolato

 

 

 

 

La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LA SEQUELA DI GESÙ

Il discepolato senza condizione (Luca 9,23-27)

 

 di Paolo Brancè

 

Il credente evangelico è abituato in genere ad ascoltare predicazioni riguardante la dottrina della salvezza, così com’è stata teologicamente elaborata dalla forte personalità carismatica di Paolo. L’intera cristianità deve a Paolo la corretta formulazione dogmatica della salvezza per grazia mediante la fede, che è e rimane uno dei capisaldi della teologia della Riforma classica. Tuttavia, questo dogma negli ultimi due secoli è stato banalizzato, privandolo della sua incisiva forza spirituale. L’evangelismo odierno chiacchiera molto intorno a questo dogma, ma pochissimo è fatto vedere nell’esperienza quotidiana della vita. Per i più sembra essere un nobile, accademico, eloquente dogma cristiano, su cui dissertare; ma la vita di molti cristiani evangelici scorre linearmente senza che vi sia stata nel corso della loro esistenza quella crisi causata dall’irrompere del Regno, di cui Cristo è il rappresentante.

     Il testo di Luca 9,23-27 (cfr. Mt 16,24-28; Mc 8,34-38) credo che possa essere uno dei detti fondamentali di Gesù (cfr. Mt 15,10-20), su cui Paolo ha elaborato la sua teologia della salvezza per grazia mediante la fede, osando dire con Bonhoeffer a caro prezzo.

     Il testo è incapsulato tra la professione di fede di Pietro, l’annuncio della passione e la trasfigurazione.

     Nel 1989 nelle sale cinematografiche era proiettato il film «L’attimo fuggente» (in inglese il titolo è «Dead poets society»), diretto dal regista Peter Weir. Il protagonista del film è Robin Williams nei panni del professor Keating, un brillante insegnante di letteratura inglese nella blasonata Accademia Welton, una scuola elitaria e conformista ubicata sulle colline del Vermont, un piccolo stato degli USA, situato nella regione del New England. Il professor Keating è rivoluzionario nella metodologia pedagogica. Sovverte la tradizionale metodologia dell’insegnamento della poesia per trasmettere ai ragazzi il concetto di creatività e libertà nello studio di Keats, Withman o Shakespeare, finalizzato a una personale fertile scelta di vita. «Essere se stessi» è uno degli insegnamenti di Keating insieme a quello di «cogliere l’attimo», in latino «carpe diem», significando cogliere in maniera repentina le occasioni favorevoli per la propria crescita umana. Molto suoi studenti seguirono le sue idee, perché esse erano rivoluzionarie per un sistema sociale chiuso all’interno d’un vissuto convenzionale.

     Quando Gesù iniziò a predicare, la sua stessa predicazione, i suoi insegnamenti, le sue parole, la sua stessa personalità carismatica entusiasmarono le folle, per le sue innovazioni rivoluzionarie all’interno dello stagnante sistema religioso giudaico. Molti lo seguirono. Pensavano che fosse un profeta, il messia vittorioso, che li avrebbe guidati alla liberazione dal giogo romano. Gesù respinse tale designazione. Anzi, affermò che sarebbe stato consegnato ai capi sacerdoti, che avrebbe sofferto e che sarebbe stato ucciso, e che il terzo giorno sarebbe risuscitato.

     Pietro, con la sua impulsività che lo contraddistingueva, si ribellò a queste affermazioni di Gesù, affermando che questo destino di sofferenza e di morte di Gesù non dovesse accadere. Gesù si dissociò dalle dichiarazioni di Pietro, il quale rifiutava il dolore e la sofferenza del Messia, e pronunciò quella fondamentale frase, che diede il senso dell’autentico discepolato; in seguito, Paolo lo spiegò teologicamente con l’assioma dogmatico della salvezza per grazia mediante la fede.

     Gesù dà una chiara immagine di cosa significhi essere suo discepolo. Egli dichiara solennemente: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Gesù dice con risolutezza e con tono imperativo che chi vuole essere suo discepolo deve compiere una triplice azione: rinnegare se stesso, prendere la propria croce e seguirlo. Per quale motivo Gesù pronuncia queste sconvolgenti parole che senz’altro producono imbarazzo e sgomento a chi l’ascolta?

     Se esaminiamo la frase attentamente alla luce dell’insegnamento complessivo di Gesù, possiamo ragionevolmente affermare che rinnegare se stessi non significa che il discepolo deve rinunciare alla propria personalità, alla propria umanità per essere trasformato in un automa. Con questa fortissima espressione Gesù richiede al suo discepolo di rinunciare alla sua autonomia, a vivere in maniera indipendente da Dio, a essere sovrano di se stesso, o meglio, a essere il dio di se stesso. Rinnegare se stesso significa detronizzare il proprio «io» divinizzato e intronizzare Gesù come Re. La tendenza umana naturale dell’uomo è l’egoismo. L’uomo pensa d’essere un dio, vuole escludere Dio dalla sua vita, anche nel caso in cui egli professa una propria fede religiosa. Rinnegare se stessi nella sequela di Gesù significa paradossalmente acquisire la vera umanità: il discepolo di Gesù è veramente Uomo, un uomo libero, libero d’amare, di donarsi all’altro, che partecipa alle sofferenze e alle gioie altrui, capace di gentili atti d’amore.

     Proseguendo nell’analisi del brano, Gesù richiede al suo discepolo di caricarsi quotidianamente la sua croce. La croce, di cui sta parlando Gesù adesso, non è una croce nel senso fisico del termine: al discepolo non è richiesto di fabbricarsi una croce e caricarsela tutti i giorni, né le sofferenze che derivano da essa hanno valore espiatorio. Tuttavia è una croce vera. Gesù vuole che il suo discepolo porti la sua croce. Di quale croce sta parlando? Significa morire dentro al peccato, ossia alla pretesa di vendetta, ad esempio, quando il discepolo è offeso o gli è stato arrecato un danno. La reazione dell’uomo naturale è cercare la vendetta. Nel portare la croce il discepolo è chiamato a morire al peccato della vendetta, a quello dell’adulterio, della sessualità disordinata, vissuta fuori dal matrimonio, a quello della frode, dell’inganno, dell’ira, della bugia, dell’idolatria, dell’odio, del cinismo, dell’invidia, dell’accidia. Se al discepolo Gesù richiede l’umiliazione della croce, la motivazione consiste nell’uccidere il peccato che è dentro l’uomo. Morire in croce significa essere liberato dalla propria concupiscenza. La croce, che il discepolo patisce, non è una croce punitiva, ma paradossalmente una croce che libera l’uomo dalla schiavitù della propria umanità decaduta. La croce è uno dei più importanti simboli cristiani. La croce è il segno della libertà dell’uomo che Dio ha determinato per il sacrificio di Gesù. Paolo dirà nella 1a lettera ai Corinzi che la «parola della croce» è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano è potenza di Dio (1 Cor 1,18). Portare la croce significa, infine, che il discepolo deve essere consapevole che egli soffrirà per il semplice fatto d’essere un cristiano.

     La parte finale del brano, ossia l’imperativo alla sequela, è l’affermazione chiave che dà senso e valore alla richiesta della rinuncia di se stessi e a quella di portare la croce. Rinnegare se stessi, caricarsi tutti i giorni della croce acquista significato se il discepolo s’incammina, andando dietro a Gesù, per le strade dell’esistenza terrena. La fede in Cristo non è statica, non è l’adesione intellettuale ai dogmi della fede cristiana. Certamente, la dottrina è rilevante, ma non è salvifica. Se il discepolo non segue quotidianamente Gesù, senz’altro non sperimenterà la parola della croce, che è sapienza e potenza di Dio. Non c’è rottura con il suo passato. Egli è uno dei tanti astanti che assistevano alla crocifissione di Gesù. La sua è una fede senza la croce. Gesù dice: «Se osservate i miei comandamenti voi siete veramente liberi, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31s). Nella lettera ai Galati Paolo enfatizza il concetto di libertà in Cristo: «Voi siete chiamati a libertà... quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo dello Spirito, camminiamo secondo lo Spirito» (Gal 5,13.24). tale verità è il senso vitale della vita in Cristo, è il senso profondo della saggezza.

     Nel film «L’attimo fuggente» uno dei protagonisti, Neil Perry, impersonato dall’attore Robert Sean Leonard, in una delle loro riunioni segrete nella grotta, in cui venivano recitati versi di poeti famosi, declamò questo verso di Henry David Thoreau, un poeta e filosofo americano del 19° secolo: «Io andai per i boschi, perché volevo vivere con saggezza e in profondità, succhiando tutto il midollo della vita per sbaragliare tutto ciò che non era vita e per non scoprire in punta di morte che non ero vissuto».

     Chi salverà la propria vita, dice Gesù, la perderà. E chi la perderà per amor mio, la salverà. Questo è il profondo senso della saggezza, il succhiare il midollo della vita. Sarà terribile per un cristiano, che afferma d’essere cristiano, ma non segue Cristo, e alla fine della propria vita s’accorge di non avere vissuto.

     «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

 

Sequela e caro prezzo (Luca 14,25-35) {Nicola Martella} (D)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Sequela_di_Gesu_Avv.htm

20-11-2009; Aggiornamento: 20-12-2010

 

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