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LA QUESTIONE DEL VELO (1 CORINZI 11,2-16)

 

 di Paolo Brancè - Nicola Martella

 

1. Le tesi {Paolo Brancè}

2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}

 

Paolo Brancè prende posizione qui riguardo all’articolo «Velo fra assolutismo e banalizzazione»; lo premettiamo nel seguente confronto, come pure la traduzione letterale ivi presente. La formattazione del suo articolo, i termini evidenziati e le correzioni sono della redazione. Il suo contributo dovrebbe trovare posto nel tema di discussione «Velo fra assolutismo e banalizzazione? Parliamone», ma a causa della sua lunghezza e della sua specificità, lo mettiamo extra. Tralasciamo d’approfondire che cosa significhi «profetare», indicando qui solo che significa «proclamare in modo ispirato ed estemporaneo», e rimandiamo in merito all’articolo «Profetare significa insegnare? Il ruolo della donna nel culto».

 

 

1. Le tesi {Paolo Brancè}

 

Una breve riflessione esegetica sul velo e la sua attualità nella chiesa d’oggi

 

1 Corinzi 11 è centrato sul tema del culto pubblico, tema che è anche affrontato nei capitoli 12-14. Probabilmente Paolo risponde ad alcune domande poste da alcuni della chiesa.

     Per comprendere correttamente il testo, è necessario inserirlo nel suo contesto. Paolo sta scrivendo alla chiesa di Corinto, città greca, economicamente florida, culturalmente ricca, moralmente riprovevole (la città era nota per la sua licenziosità sessuale). La chiesa era formata da pochi Giudei e un buon numero di pagani (cfr. Atti 18). Questi ultimi, sebbene convertiti, portavano ancora con sé la propria cultura ellenistica (significa filosofia ed eloquenza, una religiosità politeista, modo di vivere libertino).

     Noi notiamo che Paolo, scrivendo questa lettera ai Corinzi, ha cercato autorevolmente di riportare ordine e decoro in quella comunità estremamente caotica. (Nella comunità persisteva una vita partigiana, incesto, controversie dibattute nei tribunali civili, divieto del matrimonio, irriverenza verso colui che era più debole nella fede con la partecipazione ai banchetti con carne immolata agli idoli, disordine liturgico, negazione della risurrezione dei corpi).

     Il testo di 1 Corinzi 11,2-16, che stiamo esaminando riguarda la vita liturgica dei Corinzi estremamente caotica. Paolo era stato informato che le donne corinzie non indossavano il velo. Tutta la questione di questo testo è centrata essenzialmente sull’indumento femminile del velo nell’atto liturgico, che dalla cultura ebraica era entrato a far parte della tradizione cristiana, un segno o simbolo di sottomissione al marito. Infatti, il giudaismo contemporaneo prescriveva alle donne sposate di portare, fuori di casa, un velo sul capo quale segno d’appartenenza e di sottomissione al marito.

     La società greca era emancipata. Tuttavia, vigeva nella buona società greca una convenzione sociale, secondo la quale gli uomini si presentavano in pubblico con il capo scoperto e le donne con il capo coperto. Sembra dal tono della lettera che nella chiesa di Corinto si stava affermando una tendenza liberaleggiante, alla quale Paolo contrappone un ideale ispirato alle abitudini più rigorose dell’ebraismo, ma anche alle norme della tradizione più onorevole dei Greci. Prima di procedere con l’analisi esegetica del testo, è doveroso porsi due domande:

     ■ 1. Perché Paolo sta parlando dell’ordine creazionale inserito nella questione del velo e qual è lo scopo che vuole perseguire?

     ■ 2. Che significato ha la questione del velo per i cristiani d’oggi?

 

Se leggiamo attentamente i capitoli 12-14, notiamo che Paolo sta affrontando il disordine cultuale presente nella chiesa di Corinto. Il disordine riguarda il modo di vestire d’alcune donne durante il culto centrato sulla preghiera e sulla profezia, il modo dissacrante di vivere la liturgia della Santa Cena e l’autocompiacimento dei carismatici di Corinto nell’uso del dono carismatico delle lingue o glossolalia. Al centro di questi argomenti Paolo inserisce il grande poema dell’Amore (1 Cor 13).

     Per quanto riguarda la questione del velo, che è il tema che a noi interessa particolarmente, Paolo esordisce con il lodare i Corinzi perché conservino la tradizione (gr. paradoseis), che significa «insegnamento» tramandato. La tradizione è, in effetti, l’insegnamento orale che formava una parte importante della primitiva istruzione cristiana. La tradizione non proveniva da Paolo, ma era stata ricevuta da Paolo, che a sua volta la trasmetteva ai nuovi convertiti.

     In seguito Paolo affronta la questione del velo come abbigliamento femminile dei paesi orientali, simbolo della modestia e subordinazione. Secondo Paolo, una donna corinzia, che non indossava il velo, rinunciava al decoro e misconosceva la sua subordinazione al marito. Paolo, per illustrare l’importanza d’indossare il velo da parte delle donne corinzie, come segno di subordinazione al marito, espone il principio che l’ordine, contrassegnato dalla cosiddetta subordinazione, pervade l’intero universo. Al versetto 3 Paolo afferma che il capo d’ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo e che il capo di Cristo è Dio. Cosa vuole intendere Paolo con la parola «capo»? La parola greca è kephale. Certamente non ha qui il significato di testa in senso anatomico. Ha, quindi, il senso traslato di vertice o cima, origine o principio fondamentale, la persona stessa (una parte per il tutto) oppure il capo gerarchico. Sembra essere accreditato quest’ultimo significato di «capo» gerarchico.

     È interessante notare che le relazioni Dio-Cristo e Uomo-Donna sono d’ordine ontologico: sono solo i ruoli differenti. Dio e Cristo condividono la stessa natura divina e la stessa dignità, ma nell’opera di redenzione Cristo è l’incarnato Figlio di Dio, subordinato al Padre. Allo stesso modo L’Uomo e la Donna sono uguali, condividendo la stessa natura dell’essere «Uomo», ma nell’ordine creazionale la donna deriva dall’uomo, cioè hanno differenti ruoli complementari all’interno della relazione tra i partner nel famiglia, in cui l’uomo è capo in senso di servo (cfr. Ef 5,22ss).

     C’è da notare che il costume d’indossare un copricapo da parte dell’uomo ebraico nel culto è rettificato con il costume della parte più onorevole della società greca, in cui l’uomo non indossa alcun copricapo. Infatti, l’uomo della chiesa di Corinto non deve indossare alcun copricapo, altrimenti fa oltraggio al suo «capo», che può essere Cristo o se stesso; mentre per la donna corinzia è doveroso indossare il velo per evidenziare la sua sottomissione al marito, altrimenti, non indossando il velo sarebbe come le donne soggette a punizioni o quelle di malaffare, che vanno in giro con il capo rasato. (A quei tempi v’erano due tipi di velo nell’Oriente antico: Il peplum, un abbigliamento che copriva il capo e avvolgeva l’intera persona, e l’altro era quello più comune, che copriva soltanto la faccia con l’eccezione degli occhi.)

     È interessante aggiungere che Paolo fa riferimento alla fine alla pari dignità tra uomo e donna (vv. 11s). Ho detto in maniera esegeticamente concisa che cosa aveva mosso Paolo nell’insistere sull’importanza dell’indossare il velo per le donne della chiesa di Corinto; esso sembra essere anche costume di tutte le chiese, il cui scopo era quello di ristabilire l’ordine cultuale nella preghiera e nella profezia. (Le donne potevano pregare e profetizzare, se rispettavano la rigida usanza dell’indossare il velo. Che cosa significa tutto questo per noi cristiani d’oggi che viviamo in occidente, dove non è previsto l’indossare il velo per le donne che s’aggirano per le strade, ma l’abbigliamento è estremamente diverso?)

     Quello che Paolo aveva in mente, era stabilire l’ordine nella chiesa caotica di Corinto; e, allora, nel culto la diversità sessuale nella relazione uomo-donna era marcata dal velo.

     Oggigiorno al posto del velo, che è un abbigliamento culturalmente superato, le donne possono evidenziare nel culto il loro portamento decoroso, evitare ad esempio le critiche in pubblico rivolte al marito, quando le cose non vanno bene in famiglia, evitare di avere atteggiamenti di predominio, modi sprezzanti, insomma indossare i pantaloni, mentre il marito è costretto a indossare la gonna. Al contrario, il marito come «capo» della donna è chiamato a evidenziare il carattere sacrificale di Cristo (regge il paragone nella relazione tra Cristo e la Chiesa e tra marito e moglie, ossia Cristo è Capo della Chiesa, per lei ha dato tutto, ha sacrificato la sua vita; così è anche il senso del rapporto uomo-donna nella chiesa, l’uomo è Capo della donna, in quanto servo che si sacrifica per arrecare a lei tutto il bene e l’amore di cui ha bisogno).

     Il velo per Paolo era una convenzione culturale, che stranamente, lui — che è stato il paladino della libertà in Cristo, che si è sbarazzato di diversi simboli cultuali ebraici dell’AT, come la circoncisione e le tradizioni alimentari della purità — ha voluto conservare; e questo è accaduto forse perché il velo era un segno fortemente visibile d’una società onorata e onorabile, segno che ai nostri giorni nostri nella nostra società occidentale non ha più ragione d’essere. Ma rimane comunque il fatto che l’ordine nel culto e la diversità sessuale deve essere comunque visibile nella vita ecclesiale. {5 settembre 2009}

 

 

2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}

 

Ringrazio Paolo Brancè, mio studente di vecchia data presso l’Ibei, perché confrontarsi pacatamente su temi biblici è la via per avvicinarci alla verità scritturale. Il mio interlocutore ha spiegato molte cose interessanti riguardo all’ambiente culturale d’allora, sia fuori sia dentro la chiesa. La spiegazione di alcuni termini greci aiuta senz’altro nella comprensione. Nonostante ciò, alla fine della lettura del contributo, la mia «anima esegetica» non è stata del tutto appagata. Pongo perciò alcuni interrogativi che possono aiutare maggiormente nella discussione.

 

1. Principio culturale o teologico?

     Il mio interlocutore afferma che l’uso del velo provenga dall’ebraismo. Poi, però, per spiegare che gli uomini non sono obbligati a velarsi il capo durante il culto, fa riferimento a costumi greci. È una tesi interessante, ma in 1 Corinzi 11 Paolo non usò criteri culturali; se così fosse, dovrebbero essere chiari ed evidenti nel testo o nell’intera epistola.

     Analizzando il testo, si evincono solo i seguenti principi come motivazione al fatto che l’uomo debba pregare e «proclamare» a capo scoperto, ma la donna col capo velato.

     ■ 1. Principio teologico: L’uomo è immagine di Dio, la donna lo è dell’uomo, provenendo ella da lui in origine (vv. 7s).

     ■ 2. Principio dell’autorità: Ella deve velarsi per mostrare l’autorità da cui dipende, e ciò a motivo degli angheloi «inviati, messaggeri» (umani o celesti?; v. 10).

     ■ 3. Principio del sentimento naturale: Per natura alla donna è data la chioma come velatura del capo, all’uomo no (vv. 13ss).

     ■ 4. Principio dell’universalità ecclesiale: Né la squadra apostolica di Paolo né le chiese di Dio avevano l’usanza di far pregare le donne senza il capo velato.

     ■ 5. Principio culturale: Nel verso 6 c’è effettivamente l’unico argomento veramente culturale del brano. Sembra che Paolo affrontasse con veemenza l’omologazione delle donne all’uomo anche per quanto riguarda l’aspetto fisico. Sebbene fosse dato alle donne per natura una lunga e folta chioma (vv. 13ss), esse per ribadire le loro emancipazione in Cristo e che in Lui non c’è maschio né femmina (Gal 3,28 non ontologicamente né nell’economia dei sessi, ma per quanto concerne la salvezza!), presero l’abitudine di portare una chioma corta, assomigliando così ai maschi. Paolo sarcasticamente ingiunse di andare fino in fondo: se i capelli non servivano come velatura del capo, si facessero rasare del tutto (vv. 5s); ma così assomigliavano alla classe delle «rasate», le prostitute di Corinto. Ciò era un disonore per il suo capo; per la sua persona e per suo marito!

 

Si noti che gli unici criteri culturali sono gli ultimi due: uno ecclesiale e l’altro sociale. Nel 4° principio Paolo non fece però una distinzione fra chiese gentili (perlopiù greche, elleniste) e chiese giudaiche (nella Giudea e nella diaspora), ma espresse in merito un’unica convenzione oramai consolidata. Non si trattava del costume ebraico, altrimenti anche gli uomini si sarebbero coperti il capo. Non si trattava neppure del costume religioso greco, poiché esso era eterogeneo da culto a culto, a seconda del dio di riferimento, che si aveva.

     Da tutto ciò ci sembra che il criterio culturale sia alquanto precario e che Paolo non lo usò, ma fece uso specialmente del criterio teologico. Stando così le cose, esso non può venir meno col mutamento della cultura, di là se la velatura del capo si riferisse a un «copricapo» o alla chioma naturale della donna.

 

2. Capo della donna, suo servo?

     Giustamente il mio interlocutore ha fatto intendere che il fine dell’autorità è il servizio. Ed è anche vero che Gesù insegnò che l’autorità si mostra nel servizio per gli altri. Questo è però solo una parte della medaglia; e Paolo non usò qui questo argomento (cfr. Ef 5). Come l’autorità non deve diventare autoritarismo e non deve servire per aggiogare l’altro, così la funzione di un capo non si esaurisce in quella del servizio; ciò è evidente quando bisogna prendere decisioni importanti. Egli ha una responsabilità rispetto all’altro, ma anche un’autorità decisionale. Sebbene l’amore nel matrimonio stemperi tutto, e un marito fa sempre bene ad ascoltare la moglie (bisogni, punti di vista, desideri, ecc.), la famiglia non è una democrazia, in cui si decide a maggioranza. Nel NT se alla moglie era chiesto di essere sottomessa a suo marito, era evidente che un marito come capo aveva un una potestà (decisionale, giuridica, ecc.) su di lei (Ef 5,22ss; Col 3,18; 1 Pt 3,1). Certamente c’è la controparte per i mariti, chiamati ad amare le loro mogli (Ef 5,15ss; Col 3,19), ma ciò non sminuisce quanto chiesto alle mogli, lo stempera soltanto.

 

3. La rilevanza per loggi di 1 Corinzi 11

     Il mio interlocutore è partito da argomenti culturali, in parte illuminanti. Poi conclude che il velo sia «un abbigliamento culturalmente superato». Ammetto di essere rimasto meravigliato delle sue frettolose conclusioni. Egli non discute se la «velatura del capo» sia il copricapo o la chioma femminile (il termine «velo» ricorre di per sé in geco solo una volta, nel v. 15, ossia proprio dove viene detto che i capelli sono date alla donna al posto di un velo!). Non tiene neppure presente gli argomenti teologici di Paolo. Chiaramente sono giusti i principi, che egli evince per l’oggi (non bellicosità delle donne, cura degli uomini per le loro mogli). Devo confessare però che l’apostolo Paolo nel brano non ne fa uso.

     Se, come ho mostrato, gli argomenti maggiori dell’apostolo non erano culturali, ma teologici, allora non si può considerare la «velatura del capo» durante il culto a Dio un costume superato. Tutt’al più bisogna chiarire, come detto, se si trattava della folta chioma femminile o di un copricapo. Ambedue le possibilità sono aperte. Purtroppo le traduzioni italiane di 1 Corinzi 11 sono spesso alquanto partigiane e non rendono il senso del testo greco (per la traduzione letterale si veda in «Velo fra assolutismo e banalizzazione»).

     L’argomento culturale (vv. 5s), se unito alla spiegazione che la chioma femminile le è data come «velo» naturale, è un forte indizio che qui Paolo parlasse della chioma naturale della donna, in genere folta e lunga, come tale velatura naturale del capo. Che si aderirà o meno a questo principio, vediamo che la natura non è venuta meno negli ultimi due millenni e che a ragione si deve anche oggi distinguere una donna da un uomo, sia nell’abbigliamento, sia nella chioma. Una donna, che prega o «proclama» (ma non insegna!) nella chiesa, deve avere il capo velato, almeno da una chioma, che mostri la sua femminilità. Similmente è per l’uomo, ma in modo diverso.

     Per l’approfondimento si veda Nicola Martella, «La donna in 1 Corinzi 11», Generi e ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 9-27; si veda qui anche «La donna e il culto», pp. 54-66.

 

Volere velare per pregare? {Nicola Martella} (D)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Velo_esegesi_oggi_GeR.htm

05-09-2009; Aggiornamento: 17-10-2012

 

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