Vincenzo è uno studente universitario, che ha conosciuto il Signore specialmente
mediante il mio sito; e da più di un anno e mezzo lo sto curando e discepolando
specialmente mediante e-mail e rispondendo alle sue domande, sia in privato, sia
sul sito stesso. Nella cittadina, in cui vive in Calabria, non c’è una chiesa
biblica equilibrata. Ultimamente fa moltissimi chilometri col treno per
frequentare almeno il culto di domenica in una chiesa biblica di Reggio
Calabria, ma occasionalmente anche la riunione dei giovani.
La sua fede non è rimasta però senza prove di diverso genere. Suo fratello si
professa ateo e lo attacca su questo fronte. Sua madre si crede a posto così
com’è dinanzi a Dio e lo provoca spesso su un altro fronte. Quanto segue sono i
tipici giustificazioni che questa donna usa per non accettare la salvezza che
Dio le offre.
1. Le questioni
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Le domande che ti
presento, sono scaturite da un confronto con mia madre. Se pur banale
all’apparenza, mi ha creato un po’ di grattacapi e inoltre, dopo un po’ che le
parlo della Bibbia, con me s’annoia. L’ho convinta ad avere un confronto con te,
ritengo che tu possa testimoniare la Parola in maniera nitida e da vero
servitore del Signore. Questo dibattito, potrebbe avvenire via telefonica o
tramite risposta scritta. La sua domanda, che ha posto a me e che mi ha detto di
rigirare a te, è la seguente. Più che una domanda è un ragionamento
provocatorio.
■ 1. Mi ha detto quanto segue: «Io ritengo
d’essere una brava mamma. Non vi ho fatto mai mancare niente, m’alzo
presto per prepararvi la colazione (mentre alcune mie amiche magari stanno a
letto), vi preparo il pranzo e la cena anche se non sto bene. Non dico d’essere
perfetta, ma come madre e moglie ho fatto sempre il massimo».
■ 2. Ora, fin qui non posso darle torto, poi
continua: «Non voglio male a nessuno, se vedo qualcuno in difficoltà, mi
dispiace e cerco d’aiutarlo….». ■ 3. Qui finisce la sua auto celebrazione.
Allora apro la Bibbia e le leggo la parabola del fariseo e del pubblicano (Luca
18,9-14). Senza batter ciglio, come se non avesse ascoltato ciò che leggo, mi
dice: «Ma il Dio a cui credi tu, non è un Dio d’amore, perché io, che
sono mamma, amo tutti i miei figli anche se sbagliano. Allora perché Dio non
m’ama e non mi salva, se non leggo la Bibbia? Eppure io sono una brava donna
[e ricomincia l’elenco]. Invece magari a molte evangeliche, che vanno in chiesa
e leggono la Bibbia, poi magari Dio le perdona e a me non mi salva?». ■ 4. Si ferma un attimo e ricomincia a raffica:
«Io non voglio essere vincolata a regole! Si va in chiesa, si legge la
Bibbia e poi a che serve. Non esistono evangelici che nella loro vita sono
perfetti, è tutta un’illusione, non c’è differenza con i cattolici…
ognuno pensa al suo. Tu ti comporti anche bene, ma è un illusione. Anzi non
capisco perché non ti godi la vita! Una volta sola si vive. Forse tu e
pochi altri seguite quello che c’è scritto nella Bibbia. E poi comunque anch’io
mi comporto bene e credo pure al mio Dio, non leggo niente, non
vado in chiesa e sono felice così». Lei parla di Dio, ma sinceramente non so
qual è. ■ 5. Alla fine mi lancia questa sfida: «Trovami
dei bravi credenti. Io non vi voglio giudicare, anzi andrei anche alla
chiesa di Palmi, ma tu mi dici che non è una buona comunità. E poi non
capisco più niente… battisti, pentecostali, siete pure divisi tra di voi… meglio
che me ne sto a casa mia». ■ 6. Dopo questa sfuriata, le ho detto quanto
segue: «Ti trovo io la persona giusta, con cui confrontarti (lei legge
ogni tanto il tuo sito)». E lei ha accettato, dicendomi di rigirarti tali
quesiti.
■ 7.
Sunto: Ha una visione legalista ed è troppo orgogliosa. Si sente saggia
ed è anche un po’ egocentrica. Non ha una chiara visione del peccato. Purtroppo
molti credenti o presunti tali, che vivono nel mio paese, hanno dato una cattiva
testimonianza anche nell’etica quotidiana. E anche il pastore pentecostale, che
avevo invitato a casa mia per parlare con mia madre, si è comportato con lei
come un «santone» guaritore e, invece di annunziarle l’Evangelo, ha voluto
praticare l’unzione e l’imposizione di mani, quando ha sentito che aveva dei
malanni. Conclusione di tutto riguardo a mia madre: la Bibbia è importante, ma
se ne può fare a meno. {Vincenzo Russillo; 28-01-2010}
2. Osservazioni e obiezioni
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Non ho scelto da me di iniziare un confronto con una persona che non conosco
direttamente, ma di cui conosco così tanto, perché appreso dalla storia
personale di Vincenzo. Chiaramente sarebbe stato meglio parlarsi viso a viso,
poiché la comunicazione è più delle sole parole, e avrei preferito sentire il
suo ragionamento direttamente dalla sua bocca. Sarebbe stato meglio che tale
donna mi avesse parlato personalmente, formulando da sé le questioni. È un
ragionamento di provocazione? Spero che diventi pro
vocazione a Cristo. Ho Numerato i paragrafi per rispondere a essi meglio.
■ 1. Avere a che fare con una brava mamma
e una moglie esemplare, non può che fare piacere. E ciò non è neppure
scontato, ed è da apprezzare dinanzi a tante donne che non fanno il loro dovere. Ciò non toglie però un’altra questione esistenziale,
che ha a che fare con un bilancio finale. Salomone, che di imprese ne
aveva fatte tante, ammette che dinanzi al limite della morte, che vanifica ogni
cosa e mette fine a ogni altra aspirazione, il bilancio finale è sempre questo,
umanamente parlando: «Nullità delle nullità» (Ec 1,2). Ossia
qualunque siano le cifre (persone, imprese, opere), saranno moltiplicate per
zero e il risultato sarà zero. Egli si domandò fin dall’inizio: «Nullità
delle nullità; tutto è nullità. Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che
dura sotto il sole?» (Ec 1,3). La risposta alla sua domanda retorica è che
non c’è nessun profitto, visto che la morte è una livella per tutti. Uomini e
bestie hanno la stessa sorte: la morte rende tutto nullo (Ec 3,19s). Anche i
sogni di gloria e le molte parole, che gli uomini usano, sono nullità rispetto
al risultato finale (Ec 5,7). Dinanzi a ciò che verrà con la morte, «tutto
quello che avverrà è nullità» (Ec 11,8). La sua conclusione, umanamente
parlando è la seguente: «Nullità delle nullità, dice l’Ecclesiaste, tutto è
nullità» (Ec 12,10). Quindi, sebbene una «brava mamma» e una «madre e
moglie» che ha «fatto sempre il massimo» sia da ammirare, il bilancio
finale è, umanamente parlando, anche qui di «nullità», poiché la morte vanifica
ogni cosa e toglie ogni prospettiva, sempre umanamente parlando. Salomone, però, non si fermò alla sola prospettiva
delle cose dinanzi alla soglia vanificante della morte. Egli mise l’intera
esistenza alla luce del Dio vivente, e così essa ottenne un altro
significato che va di là da tale soglia. Mi limito qui a poche cose. Dinanzi
all’inconsistenza dei progetti e delle illusioni umani, egli consigliò in modo
lapidario: «Temi Dio!» (Ec 5,7). Per l’Ecclesiaste non bastava
semplicemente credere in Dio, ma bisognava avere profondamente riverenza,
rispetto e onore per Dio, mettendolo al primo posto in ogni cosa. Anche la sua
conclusione finale recita così: «Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il
discorso: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è tutto
l’uomo”. Poiché Dio farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò ch’è occulto,
sia bene, sia male» (Ec 12,15s). Salomone riprese la quintessenza dell’insegnamento
mosaico, che si riassume così: «Temi l’Eterno, il tuo Dio, a lui servi,
tieniti stretto a lui, e giura nel suo nome» (Dt 10,20); ciò significava
amare Dio, il Dio che ama il suo popolo (Dt 23,5; cfr. 7,9), al di sopra di
tutto e con tutto ciò che si è e si ha (Dt 11,13; 13,3; cfr. Gs 22,5), ossia: «Ama
dunque l’Eterno, il tuo Dio, e osserva sempre quel che ti dice d’osservare, le
sue leggi, le sue prescrizioni e i suoi comandamenti» (Dt 11,1). La legge
mosaica prevedeva l’espiazione per coloro che amavano Dio e si accostavano a lui
penitenti. Sebbene, quindi tutto sia effettivamente «nullità
delle nullità», umanamente parlando, le opere umane acquistano un
significato concreto, anche di là dalla morte vanificante, se fatte in
funzione del Dio vivente, a cui bisogna rendere conto. Dinanzi al Signore,
che ben ci conosce nel segreto, non possiamo giustificarci, ma consci della
nostra insufficienza, possiamo solo accettare la sua grazia giustificante,
basata sull’espiazione mediante il sangue di suo Figlio, Gesù Cristo.
■ 2. Non volere il male d’alcuno e, anzi,
cercare di aiutare il prossimo, sono cose nobili. Non dobbiamo però
giustificarci dinanzi agli uomini, ma dinanzi ad Dio santo che vede nel profondo
del cuore. Dinanzi a Lui saremo sempre insufficienti. L’unica alternativa vera è
di accettare la sua grazia, che ci viene offerta in Cristo Gesù. L’apostolo
Paolo ricordò: «Se è per grazia,
non è più per opere; altrimenti,
grazia non è più grazia» (Rm 11,6). E ancora: «Egli ci ha salvati e ci ha
rivolto una sua santa chiamata, non
secondo le nostre opere, ma secondo il proprio proponimento e la grazia
che ci è stata fatta in Cristo Gesù avanti i secoli» (2 Tm 1,9). Riporto qui due esempi. Il fariseo Nicodemo
viveva una vita pura e santa, religiosamente coerente con la legge mosaica e
moralmente integerrima. Eppure Gesù tagliò corto con lui, mettendogli davanti la
necessità di una rigenerazione spirituale da parte di Dio: «In verità, in
verità io ti dico che se uno non è nato dall’alto, non può vedere il regno di
Dio» (Gv 3,3ss). Del centurione
Cornelio fu detto che «era devoto e temente Dio con tutta la sua casa, e
faceva molte elemosine al popolo e pregava Dio del continuo» (At 10,1s.22).
Eppure ciò, sebbene ritenuto nobile da parte di Dio (v. 35), non bastava alla
sua salvezza. Dio gli mandò Pietro per annunziargli l’Evangelo della grazia (vv.
36-43). Tale annunciò creò in loro la fede in Gesù Cristo, la quale permise allo
Spirito Santo di fare l’opera di redenzione nei loro cuori (vv. 44s); essi
furono così pronti a farsi battezzare nel nome di Gesù Cristo (v. 48). Senza tale rigenerazione da parte dello Spirito di Dio,
si è perduti, sebbene sia persone oneste, buone, filantrope.
■ 3. Che il Signore sia un Dio d’amore, è
mostrato dal fatto che ha donato suo Figlio sulla croce per gli uomini (Gv
3,16). La differenza non si può quindi cercare nella qualità degli uomini, a
qualunque denominazione cristiana essi appartengano, ma dinanzi al
Dio santo. Chi non sceglie per la grazia, è già condannato, sebbene sia
religioso. L’apostolo Giovanni scriveva: «E la testimonianza è questa: Dio ci
ha data la vita eterna, e questa vita è nel suo Figlio.
Chi ha il Figlio ha la vita;
chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita» (1 Gv 5,11s). Egli
ribadisce che «l’ira di Dio resta sopra di lui», ossia sopra chi rifiuta
Gesù quale Salvatore e Signore (Gv 3,36). Dio è disposto a salvare e perdonare
chiunque si ravvede, accetta Gesù quale Salvatore e Signore personale, entra nel
suo patto e prende la decisione di vivere alla gloria di Dio, secondo la sua
Parola.
■ 4. Non si tratta, quindi, di regole religiose
da seguire, ma di un incontro personale col Dio di grazia
e di un cammino col Dio di verità. Si può essere felici e beati, ma
improvvisamente tutto finisce. A un uomo che faceva grandi progetti per il
futuro, Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà
ridomandata; e quel che hai preparato, di chi sarà?» (Lc 12,20). Così ci si
trova improvvisamente alla presenza al giusto Giudice
divino, dinanzi a cui non si può nascondere nulla, visto che le opere d’ognuno
sono scritte; e chi non è iscritto nel libro della vita, verrà giudicato secondo
le sue opere (Ap 20,12s). Non basta quindi comportarsi bene, bisogna
ravvedersi, entrare nel patto di Gesù Cristo ed essere rigenerati dallo Spirito
Santo.
■ 5. La questione non si risolve trovando bravi
credenti o una comunità migliore, ma confrontandosi direttamente
col Dio santo e giusto che fa grazia al peccatore che si ravvede, sulla base
della sacra Scrittura. Gesù non disse a Nicodemo: «Se non frequenterai una
sinagoga (o comunità) migliore, non vedrai il regno di Dio», ma: «Se uno non
è nato dall’alto [= da Dio], non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3ss). È
scritto: «A tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato l’autorità di
diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome» (Gv 1,12).
■ 6. Non basta avere la persona giusta, con
cui confrontarsi, ma bisogna disporsi dinanzi a Dio con sincerità e senza
riserve, chiedendogli di essere illuminati col suo Spirito per capire il
messaggio dell’Evangelo della grazia, così com’è esposto nella sua Parola.
Bisogna cercare il Signore perché è Dio. Gesù stesso ha detto: «Colui che
viene a me, io non lo caccerò fuori» (Gv 6,37). Ai religiosi del suo tempo
egli mise in chiaro quanto segue: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”,
entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli»
(Mt 7,21). Gesù paragonò «chiunque viene a me ed ascolta le mie parole e le
mette in pratica» a colui che «ha scavato e scavato profondo e ha posto
il fondamento sulla roccia» (Lc 6,46s).
■ 7. Chi cerca il Signore con cuore onesto e
sincero, non può dettare regole a Dio riguardo a come deve agire o come
debba accettarci. Un medico può aiutare solo chi lo riconosce come tale,
accetta la sua approfondita diagnosi sulla malattia esistente ed è pronto a
seguire nei dettagli la sua precisa cura. Così è per Dio. Egli fa grazia
solo a peccatori confessi. Dio salva solo coloro che si ravvedono, ammettendo di
essere colpevoli dinanzi alla sua giustizia santa, e si convertono a Lui. Egli
redime solo coloro che accettano il rimedio: il riscatto dato da Lui in Cristo
Gesù. Nessun medico potrà aiutare chi non si crede
sano e non prende la medicina. Dio non potrà salvare e rigenerare chi non
accetta Gesù quale Signore e Salvatore personale della sua vita, consacrandosi a
Lui. Non dobbiamo misurarci con gli altri credenti,
varaci o mendaci che siano, ma col Signore stesso; ognuno dovrà rendere conto di
sé. È solo Dio che conosce i suoi figli (2 Tm 2,19). Alla fine dei conti, si
tratta della nostra anima e del nostro destino eterno. Chi fa ameno della Parola di Dio, fa a meno
della verità e, quindi, a meno della salvezza. Che dire riguardo a chi ha
conosciuto Dio e lo ha rifiutato? Amos diede questo avvertimento all’Israele
apostata: «Io ti farò come ho detto, o Israele. E poiché io farò questo
contro di te, preparati, o Israele, a incontrare il tuo Dio!» (Am 4,12). Siamo peccatori per natura e l’essere peccatori
non dipende, quindi, dalla quantità di peccati commessi. Come un ulivastro
necessita di essere innestato con l’ulivo domestico per portare buoni frutti,
così l’uomo dev’essere innestato con la vita di Cristo per poter piacere a Dio.
La salvezza o la condanna dinanzi a Dio dipende rispettivamente
dall’accettazione o da rifiuto di Gesù quale personale Salvatore e Signore
della propria vita.
►
Pretesti umani per non accettare la salvezza divina? Parliamone
{Nicola Martella} (T)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Pretesti-umani_salvezza-divina_OiG.htm
29-01-2010; Aggiornamento: 05-02-2010 |