Il
seguente quadro rispecchiava il momento, in cui Fiorina Pistone scriveva qui le
sue tesi. Ella era una cattolica, che avrei definito «illuminata». Ella, sebbene
ancorata alle tradizioni della sua chiesa, amava la Parola di Dio e aveva
accettato un sereno e approfondito confronto sulla base delle sacre Scritture
ebraiche e cristiane. Fiorina trovava molte difficoltà particolarmente riguardo
alla dottrina calvinista della cosiddetta «doppia predestinazione»; e non solo
lei. Qui di seguito presentò le sue tesi, a cui rispose Nicola Martella.
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1.
TUTTI CORRESPONSABILI CON ADAMO?
(Fiorina Pistone): Caro Nicola, da anni mi capita spesso di
rileggere Romani 5,19 — «Come per la disobbedienza d’uno solo tutti sono
stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza d’uno solo tutti saranno
costituiti giusti» —, chiedendomi che cosa Paolo abbia voluto veramente
dire. Se m’aggiro sui siti dei calvinisti mi capita di trovare spesso
quest’interpretazione: noi esseri umani, trovandoci già presenti nei lombi
d’Adamo al momento del peccato originale, abbiamo partecipato al peccato del
nostro progenitore; siamo stati, insieme a lui, ribelli a Dio, e lo abbiamo
fatto con piena responsabilità, perché Dio ci aveva creati pienamente integri e
la nostra natura non era ancora corrotta e decaduta com’è ora. I calvinisti ne
traggono la conclusione che se Dio, come loro sostengono, ha deciso fin
dall’eternità d’abbandonare alla perdizione una parte degli esseri umani, lo ha
fatto con suo pieno diritto, perché noi tutti eravamo di null’altro meritevoli
che dell’eterna condanna.
Io non so come tu, Nicola, la pensi. Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice nella sezione
seconda, capitolo primo, paragrafo sette, nei passi contrassegnati dai numeri
404 e 405: «Adamo e Eva commettono un peccato
personale, ma questo peccato intacca la
natura umana, che essi trasmettono in una
condizione decaduta.
Si tratta d’un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità,
cioè con la trasmissione d’una natura umana privata della santità e della
giustizia originali. Per questo il peccato originale è chiamato “peccato” in
modo analogico: è un peccato “contratto” e non commesso, uno stato e non un
atto.
Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in
nessun discendente d’Adamo ha un carattere di colpa personale».
Un altro testo della Chiesa Cattolica più argomentativo, che è stato pubblicato
dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) nel 1995 ed è intitolato «La verità
vi farà liberi», proposto come «Catechismo degli adulti», dice alle pp. 197-198:
«Se ogni peccato ha una dimensione sociale, il peccato primordiale dell’umanità
ha un’influenza singolare, perché ha messo in moto tutta questa solidarietà
negativa e ha impedito la trasmissione della giustizia originale con le sue
modalità peculiari d’integrità e immortalità... La triste condizione in cui
l’uomo nasce è uno stato oggettivo della natura umana, trasmesso insieme a essa,
non un atto delle persone. Viene chiamato «peccato originale» non perché sia una
colpa, ma perché deriva dalla colpa altrui e fruttifica in successive colpe
personali».
Ritornando al passo di Paolo di cui sopra e
confrontandomi coi calvinisti, constato che io, sotto certi aspetti, vedo in
Romani 5,19a («come per la disobbedienza d’uno solo tutti sono stati
costituiti peccatori») una più forte analogia con quanto dichiarato in 19b
(«per l’obbedienza d’uno solo tutti saranno costituiti giusti»). Penso
infatti in questo modo: come noi siamo diventati giusti non contemporaneamente
al compimento dell’obbedienza suprema di Gesù al Padre nel suo sacrificio sulla
croce, ma soltanto quando abbiamo accettato, riconoscendo le nostre colpe,
d’essere da lui redenti, così si deve dire che noi siamo diventati colpevoli non
contemporaneamente al peccato d’Adamo, ma soltanto quando abbiamo commesso il
nostro primo peccato personale.
2.
OSSERVAZIONI
E OBIEZIONI (Nicola Martella)
■ Approccio e metodo: Quantunque siano
importanti asserzioni dogmatiche di una o dell’altra chiesa, ritengo che faccia
una gran differenza nell’affrontare un tema, se si parte da una sovrastruttura
dogmatica o da una corretta esegesi contestuale. Quest’ultima analizza il
contesto letterario, culturale, storico, religioso, eccetera, in cui sono nate
certe concezioni, e cerca di riprodurle con la massima fedeltà. Se si analizza
un testo, partendo da asserti dogmatici stabiliti a priori, si arriverà a
conclusioni del tutto differenti. Ritengo che sia il romanesimo sia il
calvinismo siano approcci dogmatici; ciò non significa che non diranno cose
anche giuste, ma gli approcci e i metodi usati sono viziati a priori da
decisioni stabilite in un certo momento della storia e formulati in asserti
irremovibili, con cui poi si pretende analizzare e insegnare i contenuti
biblici.
■ Mondo d’idee: È difficile capire un testo
antico e appartenente a un’altra cultura, partendo dalla propria cultura e dal
proprio tempo, che si ritiene normativi. La logica, il razionalismo e il mondo
d’idee occidentali sono l’humus in cui ci muoviamo, ma se li prendiamo a unica
«livella» per misurare altre civiltà e culture, non capiremo queste ultime e ne
daremo un quadro distorto. Così è per il mondo dell’AT e del NT. Rimando al
riguardo all’articolo «Lingua – mentalità – approccio al mondo» presente nel mio
libro
Manuale Teologico dell’Antico Testamento
(Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 216s; cfr. qui anche «Globalità», p. 180.
■ Padri e figli: Per mostrare il mondo delle
idee dei Semiti, che è differente da quello degli Occidentali, bisogna tener
presente la «compartecipazione di colpa» o la «compartecipazione di giustizia»
della discendenza nel capostipite. Se non si tiene presente questo aspetto, non
si capirà di che cosa stiamo parlando. Ecco qui di seguito alcuni aspetti. ● Canaan fu
maledetto in Cam, suo capostipite (Gn 9,25). La perversione di Cam (v. 22),
si ritrova nei culti orgiastici dei Cananei (Lv 20,5; 1 Re 14,24). Chiaramente i
Cananei potevano convertirsi a Jahwè, entrando nel patto d’Israele. ● Quando Dio
benediva qualcuno, tale benedizione si estendeva alla sua discendenza (Gn
22,16ss; 26,3s; 28,3s; Is 44,2s). Certo, come mostra il caso di Esaù, tale
benedizione si perde (col tempo), quando si abbandona il terreno sicuro delle
promesse di Dio e perciò non la si trasmette alla discendenza (Eb 12,16; cfr, Dt
30,19s). ● Sebbene la
colpa del capofamiglia era personale, la pena s’estendeva all’intera sua
famiglia, che era identificata in lui; in caso di responsabilità nella morte
d’altri uomini e famiglie, pagava l’intera famiglia del reo al momento (Nu
16,27.31ss; Gs 7,19.24ss) o per generazioni (Es 20,5; 34,7; Nu 14,18; Dt 5,9;
29,59). ● Sebbene
l’atto di giustizia del capofamiglia era personale, il beneficio
risultante s’estendeva all’intera sua famiglia, che era identificata in lui (Gn
15,6.18; 26,3.5.24; 28,4; 2 Re 10,30). ● Se non si
accetta di ragionare con la mentalità degli autori di testi biblici,
difficilmente li si capirà veramente e, anzi, si cercheranno di mettere briglie
razionalistiche e dogmatiche ai testi biblici, snaturandoli. Noi Occidentali non
diremmo mai di qualcuno che abbia commesso un atto qualsiasi, quando era «nei
lombi» di un suo avo. I Semiti potevano dirlo. Il ragionamento dell’autore
dell’epistola agli Ebrei, che intendeva dimostrare la superiorità del sacerdozio
di Melchisedek rispetto a quello levitico, fu basato proprio su questa evidenza:
«E, per così dire, nella persona d’Abramo, Levi stesso, che prende le decime,
fu sottoposto alla decima; 10perché egli era ancora nei lombi di suo
padre, quando Melchisedek incontrò Abramo» (Eb 7,9s). ● Perciò,
partendo da questa mentalità, non era nulla d’eccezionale che uno scrittore
biblico, di provenienza ebraica, dicesse qualcosa di simile per Adamo e
la sua discendenza! «La morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli
che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella d’Adamo… per la
trasgressione di quell’uno i molti sono
morti… il giudizio da
un’unica trasgressione ha fatto capo alla condanna… per la trasgressione di
quell’uno la morte ha regnato
mediante quell’uno…
con una sola trasgressione la
condanna si è estesa a tutti gli
uomini… per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati
costituiti peccatori» (Rm
5,14ss.18; cfr. 1 Cor 15,21s). Per brevità mi risparmio l’altra parte della
medaglia rispetto ad Adamo, ossia ciò che Dio ha fatto in Cristo come
contrappasso. ● Alcune
conclusioni: Secondo la mentalità ebraica, effettivamente tutta l’umanità ha
peccato in Adamo (ebr. ’ādām «uomo»). A ciò si aggiunga che il peccato
contratto da Adamo quale natura peccaminosa si trasmette alla sua discendenza,
come chi è infetto fa con un virus (cfr. l’AIDS). Questo è l’aspetto del
«peccato» che necessita l’espiazione. Il peccato in Adamo non ci rende
«colpevoli», ma «peccatori»; chi è peccatore si rende personalmente colpevole
nella sua propria vita. Perciò qualunque essere umano, essendo peccatore
(infetto), produrrà anche personalmente dei peccati (trasgressioni, colpe) nella
sua vita. Questo è l’aspetto dei «peccati» (trasgressioni, colpe) che
necessitano il perdono. Riprenderemo sotto questo aspetto.
● Una
considerazione finale: Trarre da ciò l’asserto dogmatico della cosiddetta «doppia
predestinazione», è solo un falso sillogismo. Una cosa è il diritto
indiscutibile di Dio, altra cosa è invece ciò che Dio ha fatto realmente. La
chiamata dei patriarchi d’Israele è stata finalizzata, fin dall’inizio, alla
benedizione nella discendenza di tutte le famiglie della terra (Gn 12,3; 18,18;
22,18; 26,4; 28,14; At 3,25). Dio non fece morire suo figlio per gli eletti, ma
per tutto il mondo (Gv 3,16) e il suo desiderio è che «tutti gli uomini siano
salvati e vengano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4).
■ Peccato e colpa: Per capire bene la questione,
bisogna assolutamente distinguere fra «peccato» e «colpa». Il peccato è
l’infrazione della legge, mentre la colpa è di natura morale. Non a caso in
Israele c’era il «sacrificio per il peccato», che produceva l’espiazione (esso
colpiva l’albero, la natura peccaminosa); e c’era poi il «sacrificio per le
colpe (o peccati)», che produceva il perdono, ossia l’accettazione nella
comunione (esso colpiva i frutti). La differenza fra «peccato» (l’albero, la
natura peccaminosa) e «peccati» (o colpe; i frutti) e fra «espiazione» e
«perdono», si trova chiaramente anche nel NT! (cfr. 1 Gv). Molta confusione sul
piano teologico, deriva proprio dalla mancanza di comprensione di questi
aspetti. Così, leggendo brani come Rm 5 e 2 Cor 5, gli universalisti pretendono
che tutti gli uomini siano tutti salvati, i romanisti vogliono aggiungere ai
propri meriti quelli di Cristo (e di altre persone considerate meritevoli) e i
calvinisti devono spiegare che l’espressione «Dio riconciliava con sé il
mondo in Cristo» (2 Cor 5,19) intenderebbe solo gli eletti. Questa problematica diventa chiara, quando ci chiediamo
se i bimbi che muoiono in tenera età, siano salvati o meno, visto che non hanno
commesse colpe che possono essere loro imputate. Tratto tutta questa questione
nell’articolo «I bimbi morti vanno in paradiso?» in Escatologia biblica
essenziale.
Escatologia 1 (Punto°A°Croce, Roma 2007), pp. 390ss.
Per non ripetermi, rimando a tale trattazione.
■ Totale depravazione?: Che il peccato possa
depravare gli uomini, è fuori discussione. I calvinisti affermano però che il
cosiddetto «peccato originale» abbia totalmente depravato l’uomo. Facendo
un’esegesi dei primi capitoli della Genesi, notiamo che le cose non stanno
proprio così. Adamo ed Eva rimasero «immagine di Dio» (Gn 5,1ss). Dio diede loro
strumenti di salvezza e di comunione (Gn 3,21; 4,3ss). Dio non avrebbe potuto
dire a Caino: «Tu lo devi dominare!» (Gn 4,7), se egli non ne era per
nulla in grado. Riprenderemo sotto questo aspetto. Per gli approfondimenti
esegetici contestuali rimando alla mia opera «Le
Origini 1-2».
■ Nessun automatismo: Dio pose fin dall’inizio
la «dottrina delle due vie», indicando sulla base dei suoi strumenti di salvezza
(i sacrifici sostitutivi) la via della legittimità e dell’abuso, della giustizia
e dell’ingiustizia. E l’umanità si divise proprio a tale bivio. L’uomo però
rimaneva immagine di Dio e, qualora Dio si rivelava agli uomini, essi potevano
ascoltare la sua chiamata e decidersi di entrare nel suo patto di salvezza (cfr.
Abramo) e di inaugurare nella sua discendenza una via di legittimità. Che
l’elezione di Dio e la sua benedizione non funzioni automaticamente è mostrato
dal caso, ad esempio, di Esaù, di Saul e degli altri discendenti di Abramo. A
ciò si aggiunga la continua scelta all’ubbidienza, dinanzi a cui il popolo viene
continuamente posto da Mosè e dai profeti, il tutto secondo la «dottrina delle
due vie».
■ La totale corruzione dell’uomo?: Che
esistano persone più oneste, più buone, più nobili e più pie di altri, non ce lo
dice solo la Scrittura, ma fa parte della nostra esperienza. Quindi la «totale
corruzione dell’uomo», d’ogni uomo, è un asserto dogmatico non una realtà
esegetica. Il «tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio» (Rm
3,23) è qualcosa di diverso da tale asserzione dottrinale. La totale corruzione premetterebbe che gli
uomini siano ugualmente tutti dei bruti, moralmente parlando, al pari di quelli
(forse epicurei) descritti da Pietro: «Costoro, come bruti senza ragione,
nati alla vita animale per esser presi e distrutti, dicendo male di quel che
ignorano, periranno per la loro propria corruzione, ricevendo il salario della
loro iniquità. 13Essi trovano il loro piacere nel gozzovigliare in
pieno giorno; sono macchie e vergogne, godendo dei loro inganni mentre
partecipano ai vostri conviti; 14hanno occhi pieni d’adulterio e che
non possono smettere di peccare; adescano le anime instabili; hanno il cuore
esercitato alla cupidigia; son figli di maledizione» (2 Pt 2,12ss). Pietro
stesso conobbe però un Cornelio (At 10). Se tutti sono «bruti senza ragione», non si può
parlare di persone più nobili di altre (Est 6,9; Is 22,24; At 17,11) o di
qualcuno che è «perverso agli occhi dell’Eterno» (Gn 38,7; 1 Cr 2,3; Gdc
19,22). Non ci sarebbe differenza fra l’insensato e il sapiente (Gb 11,12). Tale
paradigma dottrinale vieterebbe a Davide di dire in preghiera: «Tu ti mostri
pietoso verso il pio, integro verso l’uomo integro; 27ti mostri puro
col puro e ti mostri astuto col perverso» (2 Sm 22,26). Davide non potrebbe
rincuorare il suo prossimo, dicendo: «Non ti crucciare a motivo dei malvagi;
non portare invidia a quelli che operano perversamente» (Sal 37,1). Non
potrebbe neppure prendere le distanze da costoro (Sal 102,4) né chiedere a Dio
d’essere liberato «dalla mano dell’empio dalla man del perverso e del
violento» (Sal 71,4), se tutti lo sono allo stesso modo. Sebbene tutti sono
peccatori che necessitano di espiazione e di perdono, non sono tutti allo stesso
modo totalmente corrotti, altrimenti tutta la sapienza d’Israele sarebbe un
ammasso di menzogne (cfr. Pr 2,12ss; 3,31ss; 6,12ss; 8,13; 10,31s; 11,13.20;
ecc.). Lo stesso pensiero era condiviso dai profeti (cfr. Is 26,10; Hb 1,3s; Sf
3,3ss; Mal 2,6). Similmente insegnarono gli apostoli (At 20,29s).
■ Il decreto: Tutto ciò però non ha nulla a che
vedere con la salvezza, poiché il metro di misura non è la giustizia dell’uomo,
ma quella di Dio. Paolo argomentò che Dio ha rinchiuso, per decreto,
tutti gli uomini sotto il peccato, per così togliere ogni vanto umano e per
permettere a ognuno d’accedere alla salvezza. «Se fosse stata data una legge
capace di produrre la vita, allora sì, la giustizia sarebbe venuta dalla legge;
22ma la Scrittura ha rinchiuso ogni
cosa sotto peccato, affinché i beni promessi alla fede in Gesù Cristo
fossero dati ai credenti» (Gal 3,21s). «Abbiamo dinanzi provato che
tutti, Giudei e Greci, sono sotto il
peccato» (Rm 3,9). «Dio ha
rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti» (Rm
11,32). Perciò chiunque accetta Cristo come Signore e Salvatore, ottiene non
solo misericordia (Rm 11,30s), riconciliazione con Dio e l’espiazione del
peccato, ma anche il perdono dei peccati (colpe, trasgressioni) personali.
■ I puntini sulle «i»: Riprendo quanto detto
sopra. Non sono le trasgressioni personali a renderci per prima «peccatori»; ma
poiché siamo peccatori, commettiamo iniquità. Non sono i frutti a far
cattivo l’albero, ma l’albero cattivo produrrà frutti cattivi (Mt 7,17; Mt
12,33). Non si può ridurre la connessione di colpa in Adamo a
sole istanze sociali, secondo un’ideologia umanista che traspare dal «Catechismo
per adulti» della CEI. Non è solo il cattivo esempio a produrre iniquità e atti
peccaminosi; qui l’umanesimo punta tutto sull’educazione o la rieducazione, che
seppur utili non risolvono il vero problema dell’uomo. Anche in famiglie
beneducate e civili vengono commessi delitti efferati. Paolo affermò che proprio i principi morali stabiliti «destano
le passioni peccaminose» e queste agiscono «nelle nostre membra per
portar del frutto per la morte» (Rm 7,5). Sebbene «la legge è santa, e il
comandamento è santo e giusto e buono» (v. 12), «il peccato, colta
l’occasione, per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno; e, per mezzo
d’esso, m’uccise» (v. 11; cfr. v. 8). Egli trae le conseguenze: «Noi
sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo
al peccato. Perché io non approvo quello che faccio; poiché non faccio quel che
voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, io
ammetto che la legge è buona; e allora non son più io che lo faccio, ma è il
peccato che abita in me» (vv. 15ss). E similmente argomenta nei versi che
seguono (vv. 18-25), mostrando che il peccato (la natura peccaminosa), sebbene
sia un corpo estraneo, è un’istanza e un paradigma indipendente dalla mia
volontà. La soluzione non è il miglioramento, ma la
rigenerazione. A ci è credente viene chiesto di «mortificare» il peccato nella
sua vita, ossia di metterlo fuori uso mediante lo Spirito Santo e la
sottomissione alla Parola di Dio (Rm 8,23s). «Avete svestito l’uomo vecchio
con i suoi atti e rivestito il nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a
immagine di Colui che l’ha creato» (Col 3,10; Ef 4,22ss).
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Peccatori_giusti_MT_AT.htm
06-11-2007; Aggiornamento: 19-01-2014 |