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1.
La richiesta
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2. Una tesi
affascinante ma problematica
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3. Alcune
osservazioni e obiezioni
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4.
Approfondiamo la terminologia
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1.
LA RICHIESTA:
Un cristiano mi ha mandato dalla Svizzera un articolo, chiedendomi che
cosa ne pensassi. Ecco la richiesta completa: «…ti mando in allegato CCPVNEWS
dove c’è un articolo di Eric Pechin che commenta il brano di Atti 15,15-17. Mi
sembra che faccia un po’ di confusione tra Israele e la Chiesa, tu che ne pensi?
Ho sentito altri dare la stessa “interpretazione” nell’ambiente che ho lasciato.
Trattasi di ambiente carismatico dove danno appunto questa interpretazione
“profetica” che la restaurazione della tenda di Davide sia appunto il restauro
della lode nella chiesa e questa benedetta “unzione”» (G.F.).
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2.
UNA TESI AFFASCINANTE MA PROBLEMATICA:
Si tratta quindi di un articolo di Eric Pechin (leader di lode e
adorazione nella Francofonia svizzera) dal titolo «La restaurazione della tenda
di Davide» pubblicato nel marzo del 2006 su CCPVNEWS. Tra altre cose (p.es. un’attuale «eccezionale effusione
dello Spirito»), l’autore afferma: «Atti 15:15-17 ci parla della restaurazione
del tabernacolo, e di ciò che Dio fa oggi. E’ l’immagine del culto di lode
fondato sulla fede e sulla grazia. Tanto il tempio di Salomone quanto il
tabernacolo di Mosè erano fondati sull’alleanza della legge e delle opere.
Questo testo è importante, poiché ci spiega come Dio sta per toccare le nazioni
attraverso la restaurazione del tabernacolo. Allora tutta la Terra conoscerà la
sua Gloria, tutte le lingue, tutte le nazioni, ogni bocca confesserà che Egli è
il Signore». Sono belle parole. Poi l’autore prosegue: «Cosa c’entra
il tabernacolo di Davide con la nostra posizione davanti a Dio? Noi andiamo
avanti oggi a motivo della fede e della grazia, come pure grazie alla nostra
alleanza con Dio, proprio come avveniva nel tabernacolo di Davide. Ora il
tabernacolo riguarda la nostra qualità di sacerdoti, quando offriamo dei
sacrifici spirituali». Dove sta il problema? L’autore identifica la «tenda di
Davide» con un presunto «tabernacolo di Davide».Infatti afferma: «Il tabernacolo
di Davide comprendeva un solo spazio, in cui si trovava l’arca dell’alleanza e
dove avevano accesso i sacerdoti che adempivano i loro compiti e offrivano a Dio
dei sacrifici spirituali. I sacrifici offerti nel tabernacolo di Davide erano di
tipo spirituale, sacrifici di gioia, di lode e di adorazione». Poi parla
dell’attività che svolgevano i cantori dinanzi al santuario, del culto della
lode, degli strumenti musicali, degli autori di nuovi canti, di alcuni elementi
coreografici come alzare le mani, danzare, battere le mani. Egli riassume tutto
ciò nell’espressione «culto di lode secondo il modello davidico».
Poi l’autore passa all’applicazione per l’oggi,
affermando: «Dio sta restituendo alla Chiesa, nel luogo della Sua presenza, la
Sua unzione, tramite nuovi canti, danze, suoni, come al tempo di Davide. Egli
restaura il Suo tabernacolo oggi. […] Quando Dio parla della restaurazione del
tabernacolo di Davide, non si tratta di una tenda piantata su una collina di
Gerusalemme, bensì della potenza e dell’autorità che appartiene alla Chiesa,
quando essa loda e serve il Signore secondo il Suo modello… Facendo questo, ci
accorgeremo come Israele che ci verrà il desiderio di gioire, di danzare, di
gridare, di cantare».
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3.
ALCUNE OSSERVAZIONI E OBIEZIONI:
Come abbiamo visto, l’autore presenta i suoi pensieri in modo affascinante.
Anche qui constatiamo, dal punto di vista ermeneutico (o interpretativo) che si
possono dire cose anche giuste, ma usando brani biblici sbagliati; oppure si
proietta in brani biblici un’interpretazione «forzata», la quale non solo non
spiega correttamente il vero tenore storico, letterario e teologico del brano in
esame (esegesi), ma proietta in esso convinzioni e applicazioni (eisegesi)
che snaturano il senso originale del testo e propagano una falsa convenzione sul
vero significato delle espressioni originali. Così non solo non si taglia
rettamente la Parola di verità, ma la si snatura a proprio uso e consumo.
Come
abbiamo visto, l’autore identifica la «tenda di Davide» con un presunto
«tabernacolo di Davide», affermando che Davide avrebbe costruito il tabernacolo,
ossia il santuario — ma ciò è chiaramente falso: Dio glielo aveva proibito e fu
Salomone a farlo (1 Cr 28,3-6). Quest’ultimo ricorda «la promessa che
l’Eterno fece a Davide mio padre, quando gli disse: “Il tuo figlio che io
metterò sul tuo trono in luogo di te, sarà quello che edificherà una casa al mio
nome”» (1 Re 5,5; 8,19).
Andiamo
ad analizzare ora Atti 15,16: «Dopo queste cose io tornerò e
edificherò di nuovo la tenda di Davide, che è caduta; e restaurerò le sue
rovine, e la rimetterò in piè». Ci troviamo nella cosiddetta conferenza di
Gerusalemme, in cui si dovette decidere del rapporto dei cristiani, provenienti
dalle nazione, verso le leggi e le tradizioni giudaiche. Giacomo prese la parola
(vv. 13-21), mostrando che Dio aveva preveduto che i Gentili cercassero il
Signore alla fine dei tempi. Al riguardo l’espressione «la tenda di Davide»
non poteva riferirsi al tempio e al suo culto di lode, visto che la conferenza
interecclesiale di Gerusalemme avvenne negli anni quaranta del primo secolo,
mentre il tempio fu distrutto solo nell’anno settanta. Si noti poi che tale
compito non era previsto per Israele (tempio materiale) o per la chiesa (culto
di lode), ma Dio stesso lo avrebbe fatto: «Io tornerò e edificherò di nuovo».
Si noti pure che ciò sarebbe avvenuto «dopo queste cose». Nel contesto
originario di Am 9,7ss si parla della distruzione del regno d’Israele (avvenuto
nel 722 a.C. per mano assira) e della dispersione degli Israeliti su tutta la
faccia della terra (v. 9). Poi Dio passò a descrivere ciò che avrebbe fatto «in
quel giorno», ossia alla fine dei tempi (v. 11): Egli rialzerà la «capanna di
Davide» così com’era nei giorni antichi. Di che cosa si trattava? Nel 586 a.C. i
Babilonesi misero fine al regno di Giuda e inficiarono il diritto dei figli di
Davide a regnare su Israele. Dio promise che, alla fine dei tempi, avrebbe
ripristinato nuovamente il diritto dei Daviditi di regnare sopra Israele. Ciò
coinciderà con la restaurazione dell’antico regno di Davide («i giorni antichi»)
e Dio darà a esso non solo la supremazia sugli altri regni, ma un ampliamento
territoriale straordinario (Edom e tutte le nazioni; v. 12). Tutto ciò
coinciderà col grande ritorno escatologico d’Israele nella sua terra, con la
ricostruzione, la prosperità e la stabilità perpetua (vv. 13ss): «Io li
pianterò sul loro suolo, e non saranno mai più divelti dal suolo che io ho dato
loro» (v. 15). Tutto ciò si accorda con «l’impianto predizionale» di Dt 30),
su cui i profeti legittimi basavano le loro proclamazioni.
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4.
APPROFONDIAMO LA TERMINOLOGIA:
Che cos’era quindi nel contesto storico, culturale, letterario e teologico
dell’AT e del NT la «tenda di Davide» o la «capanna di Davide»? Era
un’espressione che designava — al pari della più comune «casa di Davide»
(presente in 27 versi) — quello che noi chiamiamo «casato, dinastia, lignaggio»
e indicava il diritto della stirpe davidica a regnare sopra Israele.
L’espressione «casa di Davide» indicava il casato di Davide, a cui Dio aveva
affidato il trono e il regno in Israele (cfr. 1 Re 12,26; 14,8). L’espressione «tenda di Davide» ricorre solo ancora in
Is 16,5, dove Isaia parla della situazione escatologica, dopo la fine degli
invasori: «Il trono è stabilito fermamente sulla clemenza, e sul trono sta
assiso fedelmente, nella tenda di Davide, un giudice amico del diritto, e pronto
a far giustizia». Si noti come la «tenda di Davide» avesse a che fare col
trono e con l’esercizio del governo (non con il santuario e la lode!). In tutta la Bibbia la tenda o la capanna intendeva,
oltre al casato (Sal 52,5; Lm 2,4s Israele) e al santuario (Lm 2,6), la
fragilità della struttura e della dimora (Is 1,8; 24,20; 38,12), se raffrontata
alla casa murata; e in senso metaforico designava il corpo attuale quale dimora
provvisoria, se raffrontato con quello della risurrezione (2 Cor 5,2.4; 2 Pt
1,14). Gli autori intendevano esprimere l’incapacità antropologica (di Davide,
della sua progenie e d’Israele) a ricostruire politicamente ciò che era finito,
e per evidenziare l’aspetto teologico dell’evento escatologico: Dio farà ciò!
(Am 9,11). Ciò esprimeva pure la dipendenza del casato di Davide dall’Eterno.
Come si vede ancora una volta,
per troppo zelo spiritualista si possono dire cose più o meno giuste ma al posto
sbagliato; oltre a ciò, si manca di cogliere la verità storica, culturale,
letteraria e teologica di un brano. Al contrario, si isolano singole espressioni
(qui «tenda di Davide»), le si svuota del loro significato originario
(snaturamento), si crea un nuovo aggancio con altri contenuti (qui con un
presunto «tabernacolo di Davide», ossia il santuario) sulla base di una falsa
analogia («versettologia») e si presenta come ovvia un’interpretazione
soggettiva e arbitraria. Poi, una volta che tale proiezione verrà assunta e
diverrà «convenzione» mediante la ripetizione e la prassi, sarà difficile
sradicarla. Può addirittura succedere che chi si esprimerà in modo critico verso
tale «consenso», sarà tacciato di mancanza di «spiritualità» o di aver
addirittura «peccato contro lo Spirito Santo». L’esperienza insegna.
Per l'approfondimento di alcuni concetti, ricorrenti nel testo, si vedano i
seguenti articoli in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002): «Davide (Patto con ~)», pp. 134s; «Ermeneutica», p.
155; «Impianto predizionale», pp. 184s; «Interpretazione deduttiva», p. 193; «Versettologia», pp. 378s. |
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Tenda_di_Davide_MT_AT.htm
24-04-2007; Aggiornamento: 06-04-2009 |